Un ritratto cinico della società occidentale dei consumi e del capitalismo, conquista la Palma d’Oro al 75° Festival di Cannes. Il regista svedese, Ruben Östlund, dopo l’esplosivo The Square, Palma d’Oro nel 2017, firma con Il triangolo della tristezza (Triangle of Sadness), una riuscita parodia del mondo dei ricchi e si aggiudica il riconoscimento più ambito della kermesse d’oltralpe. C’è il mondo della moda, dell’immagine, della leggerezza e frivolezza, della promiscuità e della prostituzione. Una satira grottesca e disinibita della disparità di genere e di estrazione sociale; una critica vendicativa dell'apparenza e del classismo, in cui i ruoli vengono capovolti per una nuova condizione della società. Feroce e sovversivo, Östlund non risparmia nessuno, mette alla berlina personaggi stressati e stravaganti, relazioni interpersonali, dinamiche di coppia e ipocrisie del quotidiano, con peripezie ai limiti dell’immaginabile e con l’irresistibile umorismo nero e stravagante dei fratelli Coen.

Diviso in tre ambientazioni (Carl e Yaya, lo yacht e l’isola), Il triangolo della tristezza (che si riferisce a una piccola porzione della fronte, poco sopra le sopracciglia dove si ammassano emozioni e stress) inizia da una coppia di modelli, Carl (Harris Dickinson) insicuro e paranoico, e Yaya (Charlbi Dean) influencer assolutamente vittima della sua immagine da mostrare e vendere sui social. Dopo aver litigato per il conto al ristorante e avendo discusso tutta la notte su femminismo e patriarcato, i due giovani vengono invitati a fare una crociera di lusso nell’Egeo, in cui conoscono i loro compagni di viaggio: un oligarca russo con moglie e amante al seguito, un’anziana e ricca coppia britannica, un facoltoso single svedese e un comandante della nave, con la passione per gli alcolici e il socialismo, interpretato magistralmente dall’attore statunitense, Woody Harrelson.

Inaspettatamente gli avvenimenti si ribaltano, i rapporti si invertono, si scatena una violenta tempesta che rischia di fare affondare lo yacht, mettendo in serio pericolo i ricchi e bizzarri passeggeri. Östlund, nel film di cui è regista e sceneggiatore, non risparmia nessuno nel suo racconto di gerarchie e disuguaglianze; travolge tutti con spunti farseschi, senza pause o punti morti, facendoci ridere, dall’inizio alla fine, delle nostre tragicità. Al centro “del triangolo della tristezza”, titolo che riprende una battuta rivolta a Carl durante il casting per una sfilata (“rilassa un po’ il triangolo della tristezza”), ci sono le deviazioni più assurde e irragionevoli della società capitalista con le sue regole rigide, le incongruenze, i pregiudizi e le concezioni classiste.

Cinismo e vendetta, in due ore e mezzo di film in chiave tragicomica, che mettono a nudo le sperequazioni di status, i meccanismi collettivi di cui siamo tutti vittime e complici in una società dei consumi, tutti colpevoli e impossibili da difendere.

In una perfetta fotografia delle nostre ingiustizie sociali, ispirandosi a Lina Wertmüller e Buñuel, che impostavano le tematiche serie anche in modo allegro e frizzante, Östlund, propone il suo sguardo tagliente e spassoso sulle questioni dell'oggi, attaccando palesemente in modo crudele e meschino, le assurdità del sistema capitalistico fino a esporlo al ridicolo. La pellicola, la prima del cineasta svedese girata in lingua inglese, distribuita da Teodora film, uscirà nelle sale cinematografiche italiane in data ancora da definire ma in una versione più lunga rispetto a quella presentata al Festival di Cannes 2022.