È uno dei luoghi turistici più famosi della Sicilia, un angolo di paradiso incastonato tra cielo e terra, caratterizzato da una vegetazione lussureggiante e variegata e da un mare cristallino. Stiamo parlando della Riserva dello Zingaro: sette chilometri di natura incontaminata compresi nel tratto di costa che va da Castellamare del Golfo a San Vito Lo Capo. L’ambiente è caratterizzato da piccole baie che hanno dei candidi ciottoli come pavimento naturale, una macchia mediterranea rigogliosa formata da olivastri, mandorli, eleganti orchidee e dalle palme nane, che ne sono diventate un po’ il simbolo.

Tutta questa meraviglia, in mezzo a cui la presenza dell’uomo è sempre stata discreta e non invasiva (come è giusto che sia), ha rischiato di non esserci più, per colpa di alcune infelici scelte che potevano essere fatte dalla politica locale. Rischio che è stato scongiurato grazie ad un’azione collettiva, forte ed energica, che ha lasciato traccia nella coscienza collettiva non solo dei siciliani, ma di tutti gli italiani.

Il riferimento è a quanto avvenne il 18 maggio del 1980, e che è passato alla storia come “la marcia dello Zingaro”. In ballo, c’era la costruzione di una strada litoranea che doveva andare da Scopello a San Vito Lo Capo, secondo un progetto che era stato già finanziato dall’Assessorato al Turismo della Regione Sicilia. Molto probabilmente, la costruzione di questa strada avrebbe dato il via a una notevole speculazione edilizia, con la costruzione selvaggia di strutture ricettive, e non solo. Il pericolo era quindi quello di danneggiare uno degli ecosistemi di maggior valore naturalistico e paesaggistico di tutta Italia. Contro questo pericolo, le associazioni ambientaliste avevano già presentato esposti, petizioni, relazioni scientifiche, che però non avevano prodotto nessun effetto.

L’unica strada ancora da tentare era quella della grande mobilitazione di massa, capace di smuovere le coscienze e l’opinione pubblica. Ecco quindi che, il 18 maggio 1980, più di duemila persone si misero in moto con l’unico obiettivo di salvare quel paradiso naturale. Persone molto variegate tra di loro (c’erano operatori forestali, docenti universitari…), che arrivarono da mezza Sicilia, accogliendo l’appello che era stato divulgato da diverse associazioni (Wwf, Legambiente, Italia Nostra, tanto per citarne alcune). Più di duemila persone che, quel 18 maggio del 1980, occuparono fisicamente lo Zingaro con l’obiettivo di “salvare 1500 ettari tra cielo e mare”.

L’impatto sull’opinione pubblica fu straordinario: ricordiamoci che eravamo all’inizio degli anni ’80, e sicuramente ancora non c’era (o comunque era assai poco diffusa) quella sensibilità ecologica che in molti adesso dichiarano di avere. Parole come “transizione ecologica”, “ambientalismo”, che adesso sono così usate da essere quasi abusate, erano sconosciute. Di fatto, era la prima volta che in Sicilia ci si mobilitava in maniera tanto energica per una questione ambientale, e “la marcia dello Zingaro” rappresentò un momento importantissimo per i movimenti ambientalisti di tutta Italia.

“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”, diceva San Francesco. E appunto, quello che sembrava fino a poco tempo prima impossibile, grazie a questa grande mobilitazione collettiva divenne possibile. Non solo fu scongiurato il pericolo della costruzione della strada litoranea: poco meno di un anno dopo, ovvero il 6 maggio del 1981, fu approvata da tutti i gruppi parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana una legge che sanciva l’istituzione della Riserva naturale dello Zingaro, la prima in Sicilia.

Quella battaglia, quella presa di coscienza collettiva, quel muoversi all’unisono per il raggiungimento dell’obiettivo, ha quindi portato a preservare un territorio di immensa ricchezza naturalistica, che con il tempo è diventata anche una delle riserve naturali più note e più visitate dal turismo internazionale. La legge istitutiva della Riserva naturale ha posto come obiettivo la conservazione del patrimonio artistico, ma anche la ricerca scientifica e la promozione turistica del luogo. Nel corso degli anni, sono aumentati anche i servizi offerti ai visitatori: dalle visite guidate agli incontri di educazione ambientale, in collaborazione con diverse Associazioni.

Per questo paradiso naturale, insomma, tutto sembrava procedere per il verso giusto… finché si arriva ad un giorno terribile, il 29 agosto 2020, quando un incendio, di origine dolosa, devastò una parte considerevole di questa area. Su 1600 ettari di macchia mediterranea, ben 1400 andarono in rogo. I colori brillanti e vivaci della vegetazione lussureggiante furono improvvisamente sostituiti da un unico colore: il nero, predominante ovunque, dalla costa fin sopra le montagne.

Ancora una volta, è avvenuta una grande mobilitazione per riportare questo luogo all’antico splendore: “Un simbolo non lo distruggi, neppure se lo bruci”, fu lo slogan di Legambiente Palermo all’indomani dell’incendio. E, pian piano, il lavoro dell’uomo unito alla forza rigenerativa della natura ha portato a una vera e propria “rinascita” dello Zingaro. Da una parte, infatti, sono stati messi in sicurezza i sentieri, si sono curate le piante e si è rinnovata la segnaletica. Dall’altra, la macchia mediterranea si è riappropriata dei propri spazi, e le svariate e brillanti sfumature di verde e di marrone sono tornate a dominare in ogni angolo, sostituendo quel triste colore nero che aveva preso il sopravvento dopo l’incendio.

E così, il 26 aprile del 2021, dopo quasi 8 mesi di chiusura totale, alcune parti della Riserva dello Zingaro sono state riaperte al pubblico, con l’obiettivo di riaprire gradualmente tutte le zone. La natura sta facendo il suo corso, e sicuramente le immagini della Riserva nella fine dell’estate 2021 sono una testimonianza di una decisa ripresa, che dà speranza che venga completamente recuperato lo splendore iniziale.

Concludendo, possiamo considerare davvero esemplari le vicende che hanno riguardato la Riserva dello Zingaro. Esemplari di quale sia la forza rigenerativa della natura, che ha avuto la capacità di ricostruirsi dal niente, anzi dalla terra bruciata, ed esemplari di quanto l’azione collettiva possa veramente cambiare quello che sembrava già deciso e già scritto. E vogliamo sperare che la storia di questo luogo diventi sempre più una voce di speranza, di cura del territorio e di amore esemplare per la natura che ci circonda.