Sono sempre poche le vie, le piazze e i parchi che portano nomi di donne rispetto ai loro colleghi uomini, sostiene da anni l’attiva Associazione Toponomastica Femminile. Costituitasi nel 2014 ha l’intento di restituire voce e visibilità alle donne che in tutti i campi hanno contribuito a migliorare la società; il gruppo di socie e soci più attivo, di almeno trecento membri - non si contano ormai i simpatizzanti della loro pagina Facebook che toccano i 10.000 iscritti - fa ricerche e pubblicazioni a livello locale e nazionale per sollecitare istituzioni ed enti affinché dedichino a donne di rilievo strade, piazze, giardini e spazi urbani.

Il gruppo ha condotto un censimento in materia, da cui risulta che la media di strade intitolate alle donne si aggira tra il 3 e il 5% (spesso religiose, sante e martiri) mentre quelle dedicate agli uomini arrivano al 40% del totale.

Diverse le personalità che si sono distinte in questi anni tra ricercatrici, insegnanti e docenti per aver portato avanti progetti sulla parità di genere nell’ambito accademico, giornalistico, istituzionale e soprattutto nella scuola, luogo in cui l’associazione cerca di coinvolgere più insegnanti possibile perché il messaggio arrivi alle nuove generazioni. Ho avuto l’opportunità di conoscere una rappresentante di Toponomastica femminile, la matematica Sara Sesti, docente e membro dell’Associazione Donne e Scienza che da molti anni si occupa di ricostruire biografie di donne che non hanno avuto un degno riconoscimento nella storia, nonostante abbiano lasciato segno di sé attraverso opere, scritti, invenzioni, scoperte in campo scientifico, umanistico e sociale. Nell’ultimo libro Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie (Ledizioni, 2020) Sesti e Liliana Moro, coautrice e anche lei insegnante, percorrono oltre 2000 di storia per raccontarci l’intento e la lunga ricerca per far luce sul difficile rapporto tra donne e studio delle discipline convenzionalmente affrontate, studiate, argomentate dagli uomini. In questi ultimi venti anni è stata indiscutibile e direi esponenziale la crescita delle pubblicazioni dedicate alle biografie di donne, più o meno note, a saggi critici sulla storia di genere, alla stampa e ristampa di opere di studiose poco apprezzate in vita, lasciate a margine per molto tempo.

Per fare qualche esempio si ricorda la fisica serba Mileva Marić-Einstein (1875-1948) collega e poi moglie del notissimo Albert Einstein, con cui ebbe un rapporto di collaborazione fondamentale per lo sviluppo delle sue teorie, essendo Albert in difficoltà - come ammise nel 1903 - per gli aspetti strettamente matematici: “Ho bisogno di mia moglie. Lei risolve tutti i miei problemi matematici”; la biologa tedesca Maria von Linden (1869-1936) che divenne membro della Società di Antropologia di Vienna e fu la prima donna a laurearsi in Scienze Naturali in Germania e nonostante la pubblicazione di un centinaio di ricerche non le fu mai permesso di tenere lezioni a studenti maschi. Da non dimenticare la prima donna laureata al Massachusetts Institute of Technology, Ellen Swallow-Richards (1842-1911), che dovette fondare in un garage il primo “Laboratorio di Scienze per le donne”, dopo il diniego di poter insegnare al MIT, oggi invece considerata la fondatrice dell’ingegneria ambientale e dell’ecologia. Fortunatamente oltre a questo ricco contributo sono molte anche le attraenti pubblicazioni indirizzate a bambine e bambini che in forma di graphic novel raccontano in modo leggero e colorato, la vita e la storia di queste pioniere della scienza1, di esploratrici, scrittrici e avventuriere. Passare dalla vita di una biologa a quella di una medichessa, di una fisica, astronoma o informatica come la stravagante Ada Byron-King (1815-1852) “prima programmatrice della storia”, figlia del più noto dandy, scrittore e poeta, Lord Byron2 e Annabella Milbanke, è come viaggiare nel tempo. Si incontrano mondi che oggi ci appaiono incredibilmente lontani e diversi ma che rivelano un comune denominatore: la tenacia delle donne, a partire da Ipazia, la matematica più celebre dell’antichità, per arrivare alle scienziate afro-americane dei primi programmi spaziali, la cui storia è arrivata al grande pubblico solo nel 2016.

Un ultimo successo di Toponomastica femminile lo voglio ricordare perché parla di una ottocentesca scienziata friulana Silvia Zenari, coraggiosa scienziata mai salita in cattedra a Padova, di cui tanto amava l’Orto Botanico.

Insieme a Nadia Cario, attivissima referente dell’associazione per il Triveneto, si è riusciti a dedicare, il 23 marzo scorso, su proposta della scuola primaria Lambruschini di Padova, un’area verde della città proprio a lei, la naturalista Silvia Zenari. Nata a Pordenone nel 1895 e distintasi nella sua vita per l’attività indefessa fu esploratrice botanica, ricercatrice e docente universitaria, in un periodo storico in cui le donne avevano serie difficoltà a raggiungere posti di rilievo nel mondo accademico, nonostante le qualità di studiose e scienziate. Infatti, Zenari si distingue come ricercatrice operando nell’orbita della famosa scuola di Fitogeografia di Firenze. Nel 1950 pubblica Elementi di Fitogeografia, proprio per gli studenti che frequentavano il corso di Fitogeografia all’Orto botanico di Padova, suddividendo il volume in tre parti: floristica, storica ed ecologica, oltre a dedicare un capitolo sulla Fitosociologia e allo studio dei consorzi vegetali, compreso il metodo di rilevamento di Braun-Blanquet. Tra gli anni ’20 e ’40 del Novecento a Padova si occupa della vegetazione di varie località del Veneto (Val Cellina, Monte Schiara-Monte Pelf, Comelico) descrivendo i “consorzi vegetali” con nomenclatura fitosociologica. Eccola in una sua testimonianza:

Negli anni precedenti l'ultima guerra possedevo una Fiat 514 della quale conservo sempre graditissimo ricordo, perché mi era di prezioso aiuto nelle mie ricerche di geologia e fitogeografia alpina, brava com'era ad arrampicarsi su per qualsiasi straducola, purché ci fosse lo spazio sufficiente a posarvi le quattro ruote e questo senza mai darmi noia alcuna per cambi, balestre, bronzine od altro. Un vero muletto d'artiglieria da montagna! In quell'anno 1936 lavoravo sulle Alpi Breonie, in Alto Adige e, con base a Vipiteno, perlustravo sistematicamente monti e vallate, parte in macchina e parte a piedi secondo le possibilità, in modo da avere il più vasto raggio d'azione possibile.

È infatti la prima donna naturalista a dedicarsi a questi argomenti, non le concessero più di un’assistenza alle lezioni, nonostante determinazione e genialità. Grazie ad un suo affezionato erede, avvocato Pompeo Pitter, dal 1966 esiste a Pordenone la Società Naturalisti Silvia Zenari a lei intitolata e dal 2007 le è stato dedicato il Museo civico di storia naturale a Pordenone nel cinquecentesco Palazzo Amalteo.

Quanti parchi e viali, orti e giardini botanici aspettano di avere un nome che ricorda una vita una storia dimenticata un’anima femminile che ha dedicato la vita alla scienza, alla natura e all’universo? Pensateci lettrici e lettori … ne varrà sempre la pena farle rivivere!

Note

1 Interessante l’iniziativa dell’Associazione Anonima Fumetti, in collaborazione con Global Thinking Foundation alla pagina Libere di Vivere, dove potrete trovare l’ultima graphic novel proposta proprio sulla scienziata Eva Mameli Calvino, di sei storie tutte scaricabili dal sito in pdf.
2 Di Lord Byron parlai in questa rubrica proprio in merito alla celebre e straziante storia di Allegra la bambina che ebbe da Claire Clairmont e che morì a soli cinque anni, si veda Un parco letterario “in monte a Este” Nei luoghi di Petrarca, Shelley e Chatwin.