Se, nonostante l’attuale situazione globale possiamo ancora parlare di scelta medica, allora è sempre valido il detto: dimmi come ti curi e ti dirò chi sei e in cosa credi; dimmi da che parte del mondo vieni e ti dirò come ti curi. Presupposto che, nell’era della globalizzazione medica coatta, possiamo ancora applicare a certe realtà definibili come resistenti o tradizionali. Ci troviamo quindi di fronte ad un coacervo variegato di tecniche mediche invasive, tecniche dolci; una matassa complessa e varia che fluttua e cambia a seconda dei luoghi e del divenire storico, delle culture così dette complesse e di quelle semplici. Da dove iniziare? Dall’attualità storica e da questa parte del mondo che si erge a maestra nel campo della cura, anche se le certezze nella scienza medica, stanno sempre più vacillando. Come siamo arrivati a questo punto?

Nel mondo occidentale egemone e dominante, la cultura ha imposto, da un certo periodo storico in poi, la separazione tra corpo, anima e psiche. Il processo è durato secoli fino ad arrivare all’attuale punto di rottura definibile come riduzionismo organicista della biomedicina. L’uomo viene separato nelle sue parti e ogni organo da sanare necessita di uno specialista o diagnostica specifica. Il medico demanda alla tecnologia medica la diagnosi, e al rimedio la cura. Nulla di contestabile ma l’unità dell’individuo non viene più considerata e la malattia è intesa come male privo di senso.

Non si mette quindi in discussione la biomedicina (nonostante negli ultimi decenni non siano state fatte nuove scoperte) che è indubbiamente in grado di affrontare e debellare la malattia, soprattutto in situazioni emergenziali ma la necessità di integrarla creando una connessione tra malessere soggettivo, stato di malattia, contesto sociale e personale del malato. Insomma l’ampiezza totalizzante dello sguardo medico che caratterizza i sistemi di cura tradizionali. Il rapporto medico paziente, burocratizzato, viene spogliato ad oggi dell’aspetto umano. I terapeuti che fino a cinquanta anni fa erano i custodi della salute di un’intera famiglia e della comunità che ne faceva parte, lasciano spazio ad altre figure professionali che prescrivono farmaci o esami diagnostici. Il paziente resta muto, spaesato, pronto ad eseguire le prescrizioni. Il processo terapeutico, in realtà, nasce dalla parola, dal dialogo, dall’integrazione degli aspetti che ruotano intorno al malato. Affidarsi ad un professionista che tiene nelle proprie mani il benessere e la salvezza ha in sé qualcosa di magico che via via si è perso. Ecco perché nelle società occidentale si assiste al rifiorire delle medicine profanamente definite alternative e all’affermazione dell’autonomia del paziente che negli ultimi due anni è stata vilipesa e calpestata.

Ed è qui che iniziamo a dipanare la matassa, riscoprendo la forza della parola, elemento magico, nel processo terapeutico. Per farlo metteremo a confronto medicina tradizionale e medicina ufficiale.

Analizziamo così un testo eccezionale, divenuto pietra miliare dell’analisi etnomedica grazie a Claude Lévi Strauss. Si tratta di un lungo incantesimo, un canto magico-religioso il cui scopo è quello di aiutare una donna a partorire. Il testo, analizzato in Antropologia strutturale dall’antropologo, psicologo e filosofo francese, ci aiuta a comprendere quello che Lévi Strauss definiva: l’efficacia simbolica.

Siamo a Panama, presso i Cuna1. Una levatrice chiede l’aiuto dello sciamano: una donna che deve partorire e che lei sta assistendo, non riesce a “tirar fuori” dal suo corpo il neonato. È una situazione limite, un caso eccezionale. Il canto inizia con la richiesta di aiuto, l’arrivo dello sciamano presso la capanna della partoriente e i suoi preparativi per iniziare l’intervento taumaturgico.

Suffumigi di fave di cacao bruciate, invocazioni, e confezioni di immagini sacre o nuchu. Tali immagini, scolpite in essenze prescritte che ne costituiscono l’efficacia, rappresentano spiriti protettori che lo sciamano rende suoi assistenti.

(C. Lévi Strauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, 2009)

Come fa lo sciamano ad individuare subito il problema? Ha l’autorità per farlo, perché presso la cultura dei Cuna viene classificato come nele2, ovvero il suo potere ha origini sovrannaturali ed il suo talento è considerato innato, riesce immediatamente grazie alla sua veggenza a determinare la causa della malattia, quindi è proprio un vero sciamano.

E così avviene. Cantando, aiutato dai suoi assistenti invisibili: gli spiriti protettori, si reca, descrivendo alla paziente il suo itinerario, presso la dimora di Muu, (l’utero) potenza responsabile della formazione del feto percorrendo la via di Muu (la vagina). Muu - andando contro i suoi compiti- si è impadronita dell’anima (purba) della futura madre. Mansione dello sciamano ritrovare il purba perduto e aiutare la donna a partorire. Ma quali sono le azioni che compiono lo sciamano e i suoi assistenti invisibili? Intraprendere un viaggio immaginario-simbolico e descriverlo alla futura madre con il suo canto, affinché quest’ultima ne percepisca fisicamente l’effetto e lo viva come reale poiché: “La strada di Muu e la dimora di Muu non sono (o non sono solo), per il pensiero indigeno, un itinerario e una dimora mitici, ma rappresentano letteralmente la vagina e l’utero della donna incinta, che lo sciamano e i nuchu esplorano, e nelle cui profondità disputano la loro vittoriosa battaglia”. (Op. cit. pag. 212).

Lo sciamano, infatti, nonostante riconosca lo stato patologico dell’organo, non tocca il corpo della donna e non le dà nessun rimedio, ma parla con la donna e stabilisce subito una relazione immediata con lei e con i suoi organi malati. Fa di più, si presenta insieme ad un esercito di aiutanti. Li nomina uno ad uno, li esorta a combattere per liberare la via e permettere al bambino di nascere. La donna ascolta il canto, la donna si affida, sente che l’esercito di aiutanti sovrannaturali: animali-scavatori, perforatori, spiriti che lottano per aprire la strada al bambino, agiscono su di lei e il parto avviene grazie ad una manipolazione psicologica dell’organo malato.

Lo sciamano non è solo un conoscitore del corpo fisico, ma lavora su un piano emotivo e simbolico. Il canto aiuta la paziente le rende certo l’intervento. Dalla sua parte agiscono potenti esseri, lottano creature sovrannaturali che attraverso la descrizione minuziosa dello sciamano assumono fattezze ben definite, prendendo forma. Diventano creature reali, ben lontane dagli invisibili microbi e virus della biomedicina contro cui non viene intrapresa una guerra emozionale. La malata li vede, grazie alla minuziosa descrizione, li rende veri e loro realmente liberano la strada e il bambino nasce (L’efficacia del rito di guarigione è sempre inerente al contesto culturale). La lotta viene giocata su più fronti: piano biologico e piano psicologico, ed il medicamento consiste nella parola, nel prendersi cura. Se crediamo che un battaglione di esseri sovrannaturali ci aiuti a guarire, probabilmente così avviene, almeno in questo caso documentato.

Effetto placebo? Non è interessante, qui, capirne i meccanismi ma la funzionalità. Ormai è in dubbio che il potere della mente, la predisposizione ottimistica alla risoluzione del problema, giochino un ruolo fondamentale per quanto riguarda la remissione di un malessere psico-fisico. Ed ecco che la dicotomia culture semplici e culture complesse cade! Qualcuno direbbe che questi “uomini semplici” sono predisposti al pensiero magico e non considerano l’aspetto razionale-scientifico delle moderne tecniche di cura.

Invece…

Lontano da Panama e nel cuore dell’Europa c’è un luogo (in realtà ce ne sono molti, ma il più autorevole è questo) dove l’efficacia simbolica agisce ed è anche presa in seria considerazione dalla scienza medica: Lourdes. Siamo nella Francia laica e orientata scientificamente eppure questo comune francese è luogo di ritrovo per milioni di malati e centro focale del mondo del miracoloso. Lourdes è uno dei più autorevoli santuari della guarigione. Arrivando in questa cittadina si respira un’atmosfera sacra. I pellegrini giungono da ogni parte del mondo. Sei milioni l’anno, oltre sessantacinque mila i malati; settecento tonnellate di candele accese; circa cinquanta messe al giorno. L’atmosfera, al di là della fede personale è coinvolgente anche se si è lì solo per studiare il fenomeno. Non può esserci un giudizio in merito e la fila per far scorte di acqua miracolosa alla sorgente che alimenta le piscine dove si immergono milioni di persone, la può fare chiunque, non c’è limite di fede. Sani e malati, diffidenti e fiduciosi, peccatori e innocenti; giovani e anziani, ricchi e poveri, laici e cristiani, musulmani e induisti, etc. La Via Crucis continua, come le preghiere ininterrotte di fronte alla grotta delle prime apparizioni. Sì perché qui avvennero miracoli e qui ancora si celebrano quei miracoli e se ne attendono di nuovi. Nulla di diverso da tante altre mete? Sì, c’è qualcosa di diverso. A Lourdes, il 28 luglio 1858, epoca delle prime guarigioni, si formò una commissione d’inchiesta composta da ecclesiastici che si avvalsero della consulenza di alcuni medici. Da quei lontani giorni nacque il bureau des constatations, una sorta di ufficio in cui i medici non curano ma ricevono le persone che dichiarano di essere state guarite miracolosamente3. Un luogo di verità scientifica dove l’attenta analisi medica trasforma le storie di guarigioni in realtà comprovata. Ma qual è la potenza di Lourdes e dei luoghi come Lourdes? Perché i santuari non risentono del calo della religiosità? Perché come nella capanna della partoriente agisce sugli uomini il meraviglioso, l’impossibile, il sacro e si manifesta in tutta la sua magia.

Ma come avviene il miracolo? Se si guarisce veramente, come sono andate realmente le cose? E cosa accomuna, ancora una volta, il canto rituale dei Cuna di Panama a Lourdes? Sia nella seduta sciamanica che nel viaggio dei pellegrini al santuario, è il cambio di predisposizione d’animo dei soggetti protagonisti che predispone alla guarigione, il sentirsi agito dal sacro e la certezza che qualcosa di sovrannaturale ci stia aiutando che è dalla nostra parte e lotta per noi; molto meglio di un rimedio con controindicazioni scritte sul bugiardino. Ecco il potere simbolico. Se in aiuto dell’ammalato accorrono potenze sovrannaturali, cosa c’è di più autorevole e potente? Se vi crediamo fermamente non c’è rimedio più risolutivo. Inoltre, per quanto riguarda Lourdes e i sistemi di cura tradizionali l’uno non esclude l’altro. Ecco perché in sperduti villaggi del mondo, anche se il medico, orientato scientificamente, propone gli antibiotici, i pazienti dopo averne fatto uso si rivolgeranno comunque ai loro curatori.

L’efficacia terapeutica è dovuta al potere della suggestione, alla legittimazione da parte dell’apparato culturale, come per i Cuna e Lourdes, della possibilità di guarire, Questi aspetti non si escludono l’un l’altro. Non possiamo comunque tralasciare l’effetto placebo che si potrebbe definire come un potentissimo rimedio!

È il caso di Quesalid, stregone appartenente al gruppo etnico dei Kwakiutl, società nativa americana stanziata nel nord dell’isola di Vancouver4.

Un altro documento eccezionale quindi, un frammento di autobiografia indigena, raccolta dall’antropologo Franz Boas.

Il testo narra di un certo Quesalid che non credeva al potere degli stregoni-sciamani. Spinto dalla voglia di smascherarli, inizia a frequentarli fino a quando uno di loro gli offre la possibilità di entrare nel suo gruppo e iniziare l’apprendistato. Da quel momento in poi Quesalid descrive le sue prime lezioni.

Strano miscuglio di pantomima di prestidigitazione e di conoscenze empiriche in cui si trovano mescolate l’arte i fingere lo svenimento, la simulazione di crisi nervose, l’apprendistato di canti magici, la tecnica per vomitare, nozioni abbastanza precise di auscultazione e di ostetricia, impiego di ‘sognatori’ cioè di spie incaricate di ascoltare le conversazioni private e di riferire segretamente allo sciamano elementi di informazione sull’origine e sui sintomi dei mali sofferti da questo o da quello, e soprattutto l’ars magna di una scuola sciamanistica della costa nord-occidentale del Pacifico, cioè l’uso di un batuffoletto di peluria che il praticante nasconde in un angolo della bocca per espettorarlo tutto insanguinato al momento opportuno, dopo essersi morso la lingua o aver fatto uscire sangue dalle gengive, e presentarlo solennemente al malato e ai presenti come il corpo patologico espulso in seguito alle sue suzioni e manipolazioni. (Op. cit. pag. 198).

Quesalid ascolta, impara e capisce che i suoi sospetti sono più che mai fondati fino a quando succede qualcosa di imprevedibile. Viene chiamato da un membro della famiglia di un uomo malato che lo aveva sognato ed aveva avuto precise indicazioni sulle sue capacità di stregone-sciamano in grado di guarire. Quesalid decide di andare a fare la visita e miracolosamente la sua ‘cura’ ridona la salute all’uomo. Ne rimane stupito ma non perde il suo spirito critico, è convinto che il suo successo sia dovuto a cause psicologiche. L’uomo ammalato ha creduto fermamente nel sogno che lo aveva indicato come il suo reale salvatore, e così è stato. Ma ormai Quesalid non può tornare più indietro, è diventato per la sua comunità un grande sciamano. Nonostante l’inaspettata attribuzione, continua la sua ricerca, recandosi in visita presso una tribù vicina per assistere alle tecniche di cura dei suoi colleghi. Scopre addirittura che molti di loro non utilizzano neanche il batuffolo insanguinato, simbolo della malattia-malessere rimossa ma si accontentano di espettorare un po’ di saliva. Assiste ad una tentata guarigione con questa tecnica per rimuovere la malattia da una povera donna. Tecnica questa che non funziona. Quesalid chiede di testare il suo metodo, l’ammalata guarisce. La sua carriera proseguirà smascherando i falsi sciamani. Dichiarerà di averne incontrato solo uno, uno vero, nella sua carriera, ma lui lo è? Continuerà a esercitare la sua professione, essendo ormai per la comunità un vero sciamano in grado di guarire e continuerà a curare usando la tecnica del batuffolo insanguinato, tecnica che all’inizio della sua carriera aveva ritenuto fallace.

Come interpretare i suoi indiscussi successi? Quesalid è diventato un grande guaritore poiché i suoi pazienti lo consideravano tale, non importa se lo sia effettivamente. Se non ci fosse reale efficacia la sua comunità non lo avrebbe valutato positivamente; se non ci fosse reale efficacia le usanze magico-curative, non avrebbero mai conosciuto una così vasta diffusione spazio-temporale. Anche l’occidente orientato scientificamente non ne è immune, Lourdes ne è solo un esempio. Forse uno dei più clamorosi imponenti e spettacolari del mondo occidentale. Quindi Quesalid è veramente un potente taumaturgo o è solo effetto placebo che innesca i meccanismi endogeni di auto guarigione? Ma cosa sono? Come spiega Gilles Bibeau in Medicina, magia, religione, valori. Dall’antropologia all’etnopsichiatria:

Anche quando si possa affermare- con minore o maggiore certezza- che vi è stata guarigione, resta da chiedersi che cosa, di fatto, ha provocato la scomparsa della malattia e il recupero della salute. Più nessuno specialista della valutazione clinica attribuisce. D’ufficio, il successo di una terapia alla somministrazione di un medicinale o di un trattamento: è infatti risaputo che molti sono i meccanismi che lavorano in sinergia per realizzare il ritorno ad uno stato di salute. Tra i meccanismi fondamentali che intervengono nella produzione della guarigione, gli studiosi citano il formidabile recupero biologico endogeno del corpo, il condizionamento psicologico positivo provocato nel malato dall’ascrizione del male a una causa, dall’atto di denominazione della malattia, dalla qualità della relazione tra terapeuta e il paziente, così come l’influenza della riorganizzazione della dieta e in generale dello stile di vita, sulla patologia. Come si può veramente isolare e misurare la parte che il trattamento propriamente detto ha nella guarigione, quando si sa per esperienza che molte malattie seguono il corso naturale, ovvero che scompaiono o si aggravano ineluttabilmente, quale che sia l’intervento terapeutico? Non si può dunque considerare scientificamente il problema dei meccanismi di guarigione se non situandolo all’intersezione tra fattori esogeni- ciò che viene dall’esterno, come il trattamento-e fattori endogeni-quel che la persona stessa mette in atto per auto-guarirsi.

La matassa, quindi, si aggroviglia ulteriormente, ma un dato è certo: l’importanza del rapporto medico-paziente. Per medico si intende una vasta categoria di operatori della saluta che va dagli operatori sanitari della biomedicina, ai curanderos, gli sciamani, i medicin-man, e altre figure legate alla guarigione, che erano-sono ancora vive e hanno un ruolo marginale a più livelli in ogni contesto culturale. Queste figure non prescindono dall’aspetto “magico-simbolico” dell’approccio terapeutico. In qualsiasi parte del mondo, e scegliendo cure differenti, questo incontro pesa sulla possibile rimozione di un problema fisico e mentale. A di là della malattia in questione - variamente grave o di entità lieve, ricordiamo che per un dato gruppo umano una patologia è considerata tale e per un altro no - gli operatori della salute giocano un ruolo fondamentale. Ecco perché due persone con lo stesso problema avranno esiti differenti rispetto al rimedio cui si sono affidati. Le varianti personali, sociali, organiche sono disuguali. Per questo lo sguardo medico dovrebbe esser olistico. Statisticamente è molto più facile che due persone con problematica di salute uguale abbiano risultato positivo alla cura, grazie al rapporto istaurato con il medesimo terapeuta che due persone con il medesimo problema, curate da due medici diversi. L’approccio differente gioca un ruolo preponderante. Affidarsi ad un professionista che tiene nelle proprie mani benessere e malessere, vita e morte ha in sé qualcosa di magico. Sì, perché la guarigione ha in sé qualcosa di sovrannaturale. Entrando in un moderno ospedale, troveremo immagini votive ed in genere una piccola cappella. Siamo tutti uomini arcaici e questo prescinde dalla fede e dal raziocinio, qualità che si disperde di fronte ai misteri della vita e della morte.

La malattia, la morte, sono gli aspetti più misteriosi del vivere umano. L’uomo, minuscolo puntino, nella grandezza dell’universo, arranca sbilenco cercando risposte e soluzione al suo stato di creatura indifesa di fronte ai grandi misteri della vita. Precari e fragili cerchiamo risposte. Una di queste trova uno sfogo rassicurante nella fede. Per questo nei moderni ospedali troveremo piccole cappelle ed immagini sacre cui chiedere una grazia o semplicemente la possibilità di alleviare le proprie o le altrui sofferenze. Nonostante questo, la nostra venuta al mondo e la nostra morte rimangono il mistero insondabile, sia per uomini di fede sia per quelli senza Dio. Il malessere psico-fisico è uno stato dell’essere che ci mette in contatto con uno stato emotivo particolare. Ed è in quei momenti che ciechi e claudicanti, chiediamo aiuto a chi ci può ancora tenere aggrappati alla vita e tenere lontani dalla morte. Quell’avventura incognita che Francois Rabelais chiamava “il grande forse”.

Ed ecco che la figura del medico si pone centrale in questo dramma tutto umano. Ma chi sono gli addetti alla cura? Uomini come tutti gli altri che hanno acquisito delle competenze specifiche ed hanno la capacità, spesse volte, di individuare qual è la patologia che causa la malattia. Riduttiva come spiegazione. L’etimologia dei termini presi in esame ci aiuta ad approfondire la questione.

La parola medico deriva da medicina – radice indoeuropea med, dalla quale derivano mediazione, meditazione, medicazione; patologia – dal greco pathos, patimento, commozione, affetto, dolore corporale o spirituale e logia, logos, discorso, ragionamento.

Ed ecco che l’origine dei termini ci aiuta a riscoprire il loro senso profondo: l’addetto alla cura è un mediatore tra l’evidenza scientifico-diagnostica e il mistero della guarigione e della morte. Non solo questo. La radice indoeuropea rivela l’originaria qualità di questo lavoro: la mediazione tra la realtà tangibile della malattia ed il mondo magico-misterico ad essa legato.

Sì perché come scriveva l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi:

La reazione al male e alla malattia determina non solo azioni mediche, ma anche una serie di misure difensive che fanno riferimento a un complesso sincretismo magico-religioso. Ad avvicinarsi a questo si rimane colpiti dalla varietà e dalla diffusione delle credenze relative a forze e agenti sovrannaturali, a potenze invisibili. Si apre davanti ai nostri occhi un universo di sofferenza e di fede a comprendere il quale forse non bastano gli strumenti scientifici dell’approccio socio-antropologico. Di fronte alle forze che la pietà e il dolore mobilitano, l’interpretazione delle credenze, della loro origine, delle loro connotazioni sembra sempre inadeguata. Si mostra all’osservatore uno spaccato della condizione umana entro cui si agitano passioni che coinvolgono i morti e i vivi, i santi e i demoni, l’immaginazione e la fede. A rendere ragione di questa realtà esistenziale le categorie euristiche del pensiero civilizzato sono a volte insufficienti.

(Cecilia Gatto Trocchi, I miracoli, 1998)

Ed ecco che la complessità del fenomeno invece che districarsi si aggroviglia caoticamente, ponendoci una domanda: siamo proprio sicuri che a tutt’oggi, nel mondo orientato scientificamente, vediamo il medico come un professionista-tecnico e non come un guaritore-mago? Perché sentiamo la necessità di giustificare come casuali le guarigioni reputabili come miracolose? La nostra opposizione razionale al fatto che volenti o non siamo tutti uomini arcaici è dovuta forse al fatto che come diceva Carl Gustav Jung:

Nel nostro mondo non c’è spazio legittimo per l’invisibile, per l’arbitrario, per le cosiddette forze sovrannaturali (…) Noi abbiamo un accentuato risentimento contro le forze arbitrarie invisibili, perché non è molto che siamo sfuggiti da quel mondo pauroso di sogno e di superstizione e ci siamo costruita un’immagine del mondo degna della nostra coscienza razionale, immagine che è la più recente e più grande creazione dell’uomo. Ci circonda un universo che ubbidisce a leggi razionali. È vero che non conosciamo tutte le cause, ma le scopriremo ed esse corrisponderanno alla nostra aspettativa razionale. Ed è anche vero che esistono i casi fortuiti … I casi fortuiti ripugnano alla nostra coscienza amante dell’ordine, disturbano in modo ridicolo e quindi irritante il corso regolare del mondo. Il nostro risentimento contro i casi è simile a quello che abbiamo contro le forze arbitrarie invisibili. Essi ci ricordano troppo i diavoletti o l’arbitrio di un deus ex machina.

(Ernesto De Martino, Magia e civiltà, 1995)

Il confine si assottiglia. Di fronte al malessere psico-fisico ci appelliamo a forze sovrannaturali oltre che alla -contestabile scienza medica. Insomma, si cerca di integrare facendo ricorso alla sfera extraumana. E nel patrimonio culturale italiano, abbiamo a chi rivolgersi! Nel nostro calendario ‘laico’ l’elenco dei santi predisposti alla cura, abbonda. Ognuno di essi controlla una parte del corpo e ne è il protettore. Santa Lucia, per problemi oculistici; San Bartolomeo per quelli dermatologici; Sant’ Erasmo per i dolori addominali; San Biagio per problemi alla gola… L’elenco è lungo. Oltre a loro ci sono individui eletti come Padre Pio, invocato per ottenere la remissione totale della malattia.

No, non sto parlando di una sperduta popolazione lontana dalla modernità, ma del nostro tempo. “Prega che ti passa” è un detto valido ancora oggi che ci riporta all’asserzione: siamo tutti uomini arcaici.

Quindi, la divisione seicento-settecentesca tra scienza, magia, religione è veramente avvenuta?

No, è un’apparenza che inganna. Ci comportiamo spesso come quelli che definimmo con ignoranza e ancora definiamo primitivi e per fortuna. È solo che non lo vediamo, perché navighiamo a spanne cercando sempre di ridurre tutto all’evidenza empirica. Perché la guarigione è un’arte dalle mille sfaccettature e la panacea per sconfiggere i mali fisici ed emotivi non è ancora stata trovata. Quindi non c’è contraddizione con la medicina ufficiale ma semmai possibile integrazione. Prego il santo e prendo l’antibiotico. Questo sincretismo rispetta l’antica tradizione su cui il nostro orizzonte culturale si è formato. Scriveva Carlo Levi:

Io rispettavo gli abracadabra, ne onoravo l’antichità e l’oscura misteriosa semplicità, preferivo esser loro alleato che loro nemico, e i contadini me ne erano grati, e forse ne traevano davvero vantaggio. Del resto, le pratiche magiche di quaggiù sono tutte innocue: e i contadini non ci vedono nessuna contraddizione con la medicina ufficiale. L’abitudine di dare a ogni malato, per ogni malattia, anche quando non è necessario, una ricetta, è un’abitudine magica: tanto più se la ricetta era scritta, come un tempo, in latino, o almeno con calligrafia incomprensibile. La maggior parte delle ricette basterebbe a guarire i malati, se, senza essere spedite, fossero appese al collo con una cordicella, come un abracadabra.

(Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli)

Note

1 Cuna (o Kuna) sono una popolazione indigena che vive tra Panama e la Colombia. Nel 1925 sono riusciti ad ottenere l’indipendenza, dopo una rivolta contro il governo panamense. Oggi vivono secondo i dettami della loro cultura e della loro lingua madre. La struttura sociale è di tipo matriarcale. Ogni villaggio ha la sua autonomia politica, guidato dal Sahila, guida politica e spirituale.
2 Nella società dei Cuna ci sono diversi tipi di curatori. I medici indigeni si suddividono in nele (più propriamente considerato uno sciamano, poiché il suo potere è innato e ha origini sovrannaturali; inatuledi e absogedi, che attraverso lo studio e appositi esami possono curare attraverso l’uso di canti e la prescrizione di rimedi.
3 “Perché una guarigione possa esser dichiarata miracolosa, si richiede la compresenza in essa di tre caratteristiche: che sia improvvisa, totale (e non solo di un organo) e duratura. Questa definizione, già presente nella patristica, ha trovato la sua compiuta formulazione canonica in un testo, ancor oggi capitale: il De servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonozatione del cardinal Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, del 1738”. Clara Gallini. “Lourdes e il discorso medico”, in Medicina, magia, religioni, valori. Dall’antropologia all’etnopsichiatria, V. Lanternari, M.L. Ciminelli.
4 I kwakiutl. Popolazione nativa americana, divenuta celebra grazie alle ricerche dell’antropologo Franz Boas. È una società gerarchizzata di pescatori, raccoglitori. Nella stagione invernale praticano il Potlach, vietato dalle autorità canadesi e oggi, nonostante la cristianizzazione e l’occidentalizzazione, nuovamente praticato. Il Potlach (dono) è una festa rituale emblema della società Kwakiutl. Durante questa cerimonia vengono rinforzate le gerarchie tra i gruppi e scambiati doni tra rituali, danze e canti. Il Potlach è una delle cerimonie maggiormente studiate dagli antropologi.