In un recente viaggio nella Ville Lumière mi sono imbattuta in una realtà dal fascino inconfondibile, quella dei Bouillons. I francesi, si sa, sono dei rivoluzionari e a loro si deve anche l’innovazione della moderna formula ristorativa che si fa carico di tutti gli step nel passaggio dalla materia prima al prodotto finito, dal produttore al consumatore per intenderci.

Facciamo un tuffo in un passato non troppo remoto. È il 1860 e il rinomato macellaio parigino Pierre-Louis Duval, per rendere la sua attività ancora più redditizia, ha una brillante intuizione. Secondo la filosofia del “non si butta via nulla”, pensò bene di creare dei locali in cui proporre agli operai e ai lavoratori del Marché des Halles gli scarti e i tagli di carne meno nobili, non graditi alla sua clientela agiata. Ne fece un caldo brodo ristoratore, un bouillon restaurant appunto, che diede il nome a questa nuova tipologia di ristorante.

Venne così inaugurata la prima catena di ristorazione francese. I Bouillons si diffusero a macchia d’olio in tutta la capitale e finì per esserne attratta anche la borghesia, non solo per la promessa di pasti abbondanti a prezzi modici, ma soprattutto per l’atmosfera chic che vi si respirava. Nonostante l’originaria vocazione a essere luoghi di ristoro per la manodopera stanca e sporca di una Parigi in trasformazione, l’estetica delle sale veniva curata fin nei minimi dettagli, con decori raffinati ed eleganti in stile Art Nouveau. Nell’architettura e nell’arredamento dei Bouillons sono immancabili ampie vetrate, specchi e motivi floreali dalle linee sinuose. A passare è un messaggio straordinario di uguaglianza: tanto i poveri quanto i ricchi hanno occhi per ammirare la bellezza e palati per apprezzare la bontà.

Ben presto comparve la concorrenza e l’offerta dei menù si diversificò includendo tutta una serie di piatti tipici della gastronomia francese. Nel 1900 a Parigi si contavano più di duecento Bouillons. Tra i più popolari ancora oggi non si può non menzionare il Bouillon Chartier, nella rue du Faubourg Montmartre, e il Bouillon Julien, nella rue du Faubourg Saint-Denis, entrambi classificati tra i monumenti storici francesi.

Il primo non passa certo inosservato, soprattutto per la lunga coda di persone che freme per entrare. Non sono ammesse prenotazioni e la gente è disposta ad attendere il proprio turno con la determinazione di chi sa bene che ne varrà la pena. Per tradizione l’ordinazione e il conto vengono appuntati sulle tovagliette di carta.

Il secondo è uno dei ristoranti obiettivamente più belli di tutta Parigi. La struttura presenta opere di gran pregio artistico: le famose femmes-fleures, ninfe che incarnano le quattro stagioni, furono realizzate dal mastro vetraio Trezel, mentre il celebre ebanista Majorelle si occupò del mobilio in legno, creando un delizioso angolo bar in mogano di Cuba rivestito di stagno. In una recente ristrutturazione dell’immobile volta a restituirgli autenticità, attraverso una stratigrafia della pittura, si è scoperto il colore originario delle pareti, un magnifico verde céladon, che oggi è possibile osservare in tutta la sua singolarità.

Al Bouillon Julien sono state girate alcune scene de La Môme, un film biografico sulla vita di Édith Piaf, interpretata da Marion Cotillard. Si narra infatti che la cantautrice francese fosse una cliente affezionata del ristorante ed era solita sedersi al tavolo numero 24 aspettando il suo amato Marcel Cerdan, campione di pugilato.

All’entrata del Bouillon Julien c’è uno spesso tendone che non lascia trasparire nulla dall’interno e segna il confine tra la Parigi del ventunesimo secolo fuori e quella della Belle Époque dentro. Varcata la soglia la meraviglia è assicurata. Sei immerso in un’aura di convivialità e familiarità. C’è un via vai di camerieri in divise rétro e uno di loro ti accoglie con garbo per farti accomodare nel tanto atteso tavolo libero, spesso a fianco di altri ospiti, turisti o autoctoni che sia, con cui scambiare sguardi e sorrisi appena accennati. Ebbene sì, i Bouillons sono ancora molto frequentati da parigini doc, senza dubbio un’ottima garanzia di qualità. Provare per credere.