Tutte le culture umane, le più primitive come le più avanzate, fanno musica. Tutti noi cantiamo, o almeno canticchiamo; tutti battiamo le mani e balliamo (o almeno ci proviamo). Quindi il cervello umano è programmato per distinguere la musica dal rumore e per rispondere al ritmo e alle melodie: si tratta di capire come questo incide sul nostro benessere.

Fin dai primi tentativi di curare i malati, la musica è stata messa in relazione con la medicina. Come scrive la psicobiologa dell'University College di Londra, Daisy Fancourt nel suo libro Arts in Health, già 35.000 anni fa, quando l’Homo Sapiens iniziò a dipingere figure di animali sulle pareti delle caverne, gli sciamani usavano nei rituali di guarigione flauti d'osso e tamburi di pelle animale.

Nell'antica Grecia, la kithara (una specie di piccola arpa) e il flauto venivano suonati durante i Giochi Olimpici con l'obiettivo di migliorare le prestazioni degli atleti, cosa che in epoca moderna è stata dimostrata sperimentalmente. Il filosofo Pitagora, intorno al 500 a.C., riteneva che la musica avesse alcuni benefici terapeutici, persino poteri curativi sulle malattie fisiche e mentali. E non è un caso che al dio Febo (o Apollo) fossero ascritte sia la medicina che la musica, alla quale anche i Romani riconoscevano virtù terapiche.

La musica è stata già da tempo identificata come una possibile base terapeutica basata sulle emozioni positive. Il neuroscienziato Daniel J. Levitin, della McGill University di Montreal, in una meta-analisi di 400 studi, ha scoperto che la musica migliora la funzione del sistema immunitario del corpo e riduce lo stress.

Resta da verificare se la musica influisce positivamente solo sulla parte emotiva ed è quindi sussidiaria rispetto alle terapie mediche propriamente dette, o influisce in modo più diretto sulla nostra salute. Sulla base di questa seconda ipotesi, si stanno studiando i meccanismi con cui la musica agisce sul sistema cardiovascolare, su quello respiratorio o sul cervello, e infine, se è possibile individuare addirittura un protocollo e giungere a una vera e propria farmacopea fatta di brani musicali.

La musicoterapia viene già utilizzata sperimentalmente in diverse aree, dalle malattie neurologiche alla terapia intensiva, alla medicina palliativa. Si è evidenziato che la musica può migliorare la funzione delle reti neurali, rallentare il battito cardiaco, abbassare la pressione sanguigna, ridurre i livelli di stress e le citochine infiammatorie, e anche dare sollievo ai pazienti sottoposti a intervento chirurgico, a quelli con il morbo di Parkinson, a chi ha subito un ictus, un attacco di cuore, come anche a chi soffre di depressione e di varie malattie croniche. Studi sulla risonanza magnetica e sulla tomografia assiale suggeriscono che le reti nervose in diverse parti del cervello hanno la responsabilità della decodifica e dell'interpretazione dei diversi elementi costitutivi della musica. Ad esempio, una piccola area nel lobo temporale destro è deputata a percepire l'altezza delle note, gli accordi (cioè più note che suonano contemporaneamente) e l’armonia (in pratica, la successione degli accordi).

Mentre il cervelletto elabora il ritmo, i lobi frontali traducono la musica in emozioni, un altro centro cerebrale è responsabile della decodifica del timbro, cioè consente di distinguere tra diversi strumenti che suonano la stessa nota.

Quindi, negli ultimi anni la musica è stata sempre più utilizzata come strumento terapeutico. È allo studio la possibilità di selezionare il trattamento musicale appropriato per le diverse malattie. Sembra che la musica classica, specie quella di Bach, Mozart, ma anche di Corelli e Tartini, sia la più efficace nel trattare patologie come ansia, sindromi depressive, problemi cardiovascolari o disturbi del sonno.

Le melodie della musica popolare invece pare sollevino l'umore e inducano una maggiore tonicità generale. L'Heavy metal e la Techno sarebbero invece controindicati, perché favoriscono la rabbia e il comportamento aggressivo, facendo aumentare la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna; quanto al jazz, ci sono pochi studi sui suoi effetti sulla salute.

In ogni modo, le basi fisiologiche della musicoterapia e la risposta delle malattie ai diversi stimoli musicali sono ancora da indagare a fondo: la ricerca transdisciplinare di neuroscienziati e musicologi ha davanti a sé ancora molto lavoro da fare, ma si preannuncia feconda.