Oggi vi parlerò della chiesa fiorentina di San Bartolomeo a Monte Oliveto, una chiesa di cui ad oggi non abbiamo alcuna pubblicazione.
La chiesa sorse come parte del monastero nel 1334, quando un monaco olivetano abbandonò l’Abbazia di Monte Oliveto vicino a Siena, dove era sorta la congregazione, e si trasferì sulla collina di Bellosguardo a Firenze. Qui fondò l’abbazia fiorentina di Monte Oliveto.
Essa rappresentò quindi il primo insediamento della Congregazione Benedettina Olivetana a Firenze, che era stata fondata nel 1319 da Bernardo Tolomei, un nobile senese, che al denaro preferì la vita religiosa. La congregazione, a differenza di un ordine monastico, non prevedeva la carica a vita per l’abate e dava la possibilità ai monaci di trasferirsi da un monastero all’altro.
Ritornando a Firenze, dopo la fondazione da parte del monaco olivetano, il complesso fu ingrandito nel 1377, grazie ad una donazione di terreni da parte di Bartolomeo Capponi.
La svolta più importante si ebbe però nel 1454 quando la bottega dell’architetto Michelozzo riedificò chiesa e monastero nelle forme delle strutture ancora oggi visibili.
Altro contributo fondamentale venne poi da Giovan Battista Strozzi, che nel 1555 finanziò sia il restauro della chiesa che la realizzazione di alcune opere visibili al suo interno. Fece inoltre costruire la villa del Boschetto, un gioiello ancora esistente e situato accanto al monastero.
L’abbazia venne soppressa nel 1866 a seguito delle leggi eversive decise dal nuovo governo del Regno d’Italia e fu destinata ad Ospedale Militare; la chiesa invece continuò ad essere officiata dagli olivetani.
Nel 2015 la chiesa fu riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco e riaperta al pubblico per le celebrazioni religiose, mentre il monastero fu messo in vendita.
Parlando della chiesa, la facciata è semplice ed è caratterizzata dalla presenza di un portale con lunetta sormontato da una bifora. All’interno della lunetta si trova lo stemma della congregazione che consiste in tre monti con due olivi ai lati e la croce al centro.
L’interno è ad unica navata con volte a crociera; il vestibolo dietro all’altare ricorda la scarsella della sagrestia vecchia di San Lorenzo, opera del Brunelleschi, maestro di Michelozzo.
Nella navata sono ancora conservate opere originarie ad affresco tra cui l’Ultima Cena del Sodoma, che si trovava nel refettorio del monastero e che fu staccata insieme alla sinopia per essere collocata nella chiesa, dove la vediamo oggi. Anche se mancano le parti laterali, l’affresco è un capolavoro della pittura di passaggio tra il Rinascimento ed il Manierismo di inizio del Cinquecento; il pittore vi si rappresenta sotto le spoglie di Giuda, che rivolge lo sguardo verso lo spettatore con un ghigno spavaldo.
Gli altri affreschi cinquecenteschi sono invece di Bernardino Poccetti; molto belli sono quelli dipinti nelle pareti della controfacciata, in cui il pittore rappresenta a destra San Bartolomeo e David e a sinistra, San Miniato e Santa Cecilia. Colpiscono soprattutto gli angeli le cui espressioni vivaci valgono da sole la visita alla chiesa.
Ci sono poi numerose tele dipinte da alcuni dei maggiori protagonisti della pittura riformata fiorentina. Le più importanti sono, Cristo e la Emorroissa, pala d’altare, realizzata dal Poppi nella seconda metà del Cinquecento; l’Assunzione di Maria nella navata destra, realizzata da Domenico Passignano nel 1592.
E nella navata sinistra, partendo dall’entrata e andando verso il presbiterio, abbiamo nel primo altare una pala del 1610 di Fabrizio Boschi che rappresenta Francesca Romana oblata e nel secondo un dipinto di Simone Pignoni in cui vediamo il fondatore della congregazione Bernardo Tolomei.
La parte più affascinante della visita è forse la sala capitolare, accessibile da una porta collocata a destra del presbiterio. Qui fino al 1867 si trovava la pala dell’Annunciazione dipinta da Leonardo, e che i monaci avevano l’opportunità di ammirare durante i loro incontri.
L’opera, oltre ad essere un capolavoro dell’allora ventitreenne Leonardo, è suggestiva perché il paesaggio ricorda l’esterno della chiesa. Il muretto alla sinistra dell’arcangelo Gabriele, infatti, è quello che vediamo ancora oggi alla sinistra della facciata, ed anche i cipressi dipinti ricordano quelli che vediamo ancora oggi. Al posto dell’originale è stata posta una copia stampata delle stesse dimensioni.
Dalla finestra di questo refettorio in passato si vedevano tutte le porte della città. Ed è da questo punto di vista che furono realizzate due delle carte cittadine più importanti nella storia della cartografia, sto parlando della Carta della Catena del 1482 e di quella del Buonsignori del 1584.
Vi invito quindi a visitare la chiesa di Monte Oliveto, un gioiello ancora tutto da scoprire!