Al Museo Civico di Verona è esposta la Pala delle Virtù, dipinta da Paolo Morando, detto il Cavazzola (1486-1522), in cui il pittore raffigura la Madonna con Bambino in gloria insieme alle virtù cardinali e teologali rappresentate dai santi Francesco d’Assisi, Antonio da Padova, Elisabetta d’Ungheria, Bonaventura, Luigi IX, Ivo o Ivone (tra l’altro protettore degli avvocati), Ludovico da Tolosa ed Elzeario. Come sappiamo, le virtù teologali sono la Fede, la Speranza e la Carità, mentre quelle cardinali la Prudenza, la Giustizia, la Fortezza e la Temperanza. Le virtù, secondo la morale del buon cristiano, ma non solo, sono predisposizioni a fare del bene al prossimo con azioni concrete.

Non voglio entrare nella questione teologica, ma le virtù potrebbero essere spiegate anche in modo diverso, con altri principi morali che erano già presenti nell’uomo molto prima dell’avvento del Cristianesimo che le ha rivelate secondo una morale evangelica dal primo secolo dopo Cristo in poi. I cristiani del Rinascimento non sapevano, o non volevano sapere, che molte virtù appartenessero anche ad altri popoli non cristiani, magari pagani o a qualche animale. Nell’ultimo caso, ammetterlo sarebbe stato blasfemia.

Ma le virtù che origini hanno avuto?

Sulle virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, potremmo pensare che non appartengano agli animali, ma su quelle cardinali la questione potrebbe essere diversa. Infatti, molti animali sanno essere prudenti, giusti, forti e temperanti (o poco temperanti, a seconda dei casi). Esistono molti esempi che lo dimostrano. Il noto divulgatore scientifico e giornalista inglese Matt Ridley, parlando dell’origine evolutiva della cooperazione, scrisse che negli uomini la tendenza a essere altruisti, identificata con le virtù, sia molto diffusa e presumiamo anche negli animali, almeno in quelli più evoluti.

Jean-Jacques Rousseau e prima ancora Platone sostenevano che, per sua natura, l’uomo fosse virtuoso, buono e caritatevole ma che poi venisse corrotto da una società iniqua, ingiusta e che quindi si comportasse diversamente. Questo vuol dire che la collettività è il prodotto dei nostri comportamenti manifesti e che se essi rimangono incontaminati possiamo sviluppare una società sana nei principi, giusta e cooperativa, come d’altra parte pensò il filosofo anarchico russo Pëtr Kroptkin (1842-1921) che considerava la cooperazione un’antica tradizione che noi uomini abbiamo ereditato dagli animali. Kroptkin scompaginò una convinzione, quella di chi aveva erroneamente interpretato le teorie darwiniane secondo cui i più adatti fossero sempre i più forti, sostenendo invece che i più adatti fossero i più cooperativi, cioè coloro che manifestavano più di frequente comportamenti altruistici offrendo appoggi a tutti i membri della comunità di appartenenza. Kroptkin aggiunse che questa è la regola e che la socievolezza rappresenta un vantaggio per il benessere e la sopravvivenza delle specie: una lotta comune contro le avversità della natura.

Socievolezza, solidarietà e compassione sono quindi i pilastri fondamentali del nostro progresso, mentre l’individualismo, contrario alla natura umana, è il prodotto di società moderne qualunquiste, irresponsabilmente ludico-edonistiche e certamente non una caratteristica dei nostri lontani antenati e di molti animali. In sostanza, bisogna possedere le virtù cardinali, prudenza, forza, giustizia e temperanza per avere sentimenti etici e morali degni di essere chiamati tali.

Le virtù animali

Ci stiamo riferendo alle virtù cardinali, che in una grande quantità di specie animali, soprattutto quelle dei mammiferi superiori, delle scimmie in particolare, sono fondamentali ai fini della sopravvivenza. Nelle scimmie, nella difesa della sua comunità un leader deve in primo luogo valutare le sue forze e quelle dei suoi alleati. Deve inoltre calcolare attentamente la probabilità che ha il nemico di vincere o perdere la sfida. In sostanza deve essere un bravo stratega. Tutto questo richiede tempo e non bisogna mai gettarsi nella mischia spavaldamente senza aver fatto tutte queste valutazioni. Il leader e i suoi alleati devono mostrarsi, prima di tutto, prudenti. Una volta presa la decisione di combattere, il leader, soprattutto lui, deve sentirsi sicuro di essere sufficientemente forte per contrapporsi adeguatamente al nemico, deve essere anche convinto che quello che sta facendo sia giusto, cioè che venga fatto esclusivamente per il benessere del suo gruppo e non solo per il suo. Deve inoltre manifestare temperanza, moderarsi o, altrimenti, si troverebbe subito in svantaggio.

Se vogliamo scegliere una scimmia che abilmente riesce a mettere in campo tutte queste qualità, è proprio il babbuino. La società dei babbuini è strutturata in gruppi che possono raggiungere numeri abbastanza elevati e se non esistessero delle regole sociali rigide, se ognuno facesse a modo suo, il gruppo si dissolverebbe drammaticamente nella savana, non saprebbe più andare alla ricerca del cibo e difendere il proprio territorio. Per farlo, però, oltre che essere in grado di mantenere l’unità, occorre avere la capacità, da parte del leader, di difendere il suo gruppo nei momenti di pericolo, nei confronti sia di altri gruppi di babbuini sia di altri animali, soprattutto di felini che nel loro territorio sono molto frequenti. Si tratta di una difesa double-face, nel senso che le strategie per difendersi devono adeguarsi al nemico: se si tratta di un conspecifico, cioè di un altro gruppo competitivo di babbuini è un conto, se si tratta di un gruppo di leonesse o di ghepardi è un altro conto e non è detto che nel primo caso sia più facile che nel secondo. Quando si tratta di un altro gruppo di babbuini, le armi da affilare devono essere più sottili, più raffinate, e ogni volta bisogna cambiare strategia, mentre nel secondo caso, le difese vengono messe in campo sempre allo stesso modo perché i felini attaccano sempre con la stessa tattica e con le stesse astuzie.

Se però esiste una virtù nelle scimmie, cosa di cui si è sempre parlato poco, è la temperanza, come se questo profilo psicologico non potesse appartenere al loro mondo, ma solo a quello umano. Non è così. Tutti gli animali, scimmie in particolare, sanno essere temperanti.

Senza scomodare troppo la psicologia, la temperanza indica una combinazione di aspetti diversi della personalità tendenzialmente predisposizionali, che si manifestano con un proprio stile cognitivo e che quindi sono molto soggettivi come nella organizzazione dei pensieri, dei ragionamenti e dei concetti fondamentali, non solo ai fini della propria salvaguardia, ma, nel caso di un babbuino leader, della salvaguardia del suo gruppo di appartenenza. È per questo che un babbuino leader deve sapersi moderare, essere temperante, non precipitoso per poter proteggere dovutamente il suo gruppo e mantenerlo in sicurezza.

A proposito della cognizione sociale, molto sviluppata nei babbuini, dobbiamo dire che questi animali hanno la capacità mentale di interpretare nel migliore dei modi il significato dei ruoli sociali dei singoli individui nei gruppi: capi, sottocapi, eccetera. Ci sono leader che qualche volta però devono essere ingannati con dei sotterfugi perché impediscono ai sottomessi di stabilire liberamente delle relazioni sessuali con femmine che magari appartengono alle alte gerarchie del gruppo o anche con femmine sottomesse. Come sappiamo, l’attività sessuale è fondamentale per ogni individuo a qualsiasi specie e ruolo esso appartenga perché senza di essa egli non diffonderebbe il proprio patrimonio genetico che invece è il suo desiderio massimo. Per superare questi ostacoli, alcuni individui sottomessi sfruttano proprio alcune virtù cardinali, soprattutto la moderazione (temperanza), per raggiungere lo scopo, cioè per accoppiarsi con delle femmine con le quali è “proibito” farlo, in pratica per mettere in atto un nascondimento, ma senza esagerare, senza dare troppo nell’occhio. In pratica, questi individui, si nascondono dietro una roccia mostrando solo la parte superiore del corpo, mentre con quella inferiore, ben occultata, intrattengono un rapporto sessuale. Per avere successo, quindi, occorre prudenza e si devono evitare intelligentemente gli sguardi dei maschi dominanti che vorrebbero sempre tutte le femmine disponibili solo per loro. Bisogna poi avere un senso della giustizia, cioè essere convinti che tutti gli individui hanno il diritto, comunque, di riprodursi e che non solo i leader devono avere questi privilegi. In conclusione, sono tutte situazioni e fatti che dimostrano la complessità dei sistemi sociali dei babbuini ed è proprio vero, come scrisse molto tempo fa Charles Darwin, che colui che fosse riuscito a comprendere il comportamento dei babbuini (in realtà furono poi gli etologi a chiarirlo) avrebbe dato alla metafisica un contributo superiore a quello dato da John Locke (1632-1704), il grande filosofo inglese considerato il padre del liberalismo e dell’empirismo moderno.

Bibliografia

P. Kropotkin, 1902. Mutual aid: a factor of evolution. London, William Heinemann (tr. it. Il mutuo appoggio. Trieste, Edizioni Anarchismo, 2008).
M. Ridley, 1996. The origins of virtue. London, Viking (tr. it. Le origini della virtù. Torino, IBL Libri, 2012).
C. Camerer, 2003. Behavioral Game Theory. Princeton, Princeton University Press.
A. Tartabini. 2020. Moral judgment. Wall Street International Magazine, 2020.