La complessità sociale ha sempre affascinato molti studiosi, soprattutto etologi, sociologi e psicologi umani e animali. Abbiamo sempre ritenuto che l’uomo fosse da sempre l’animale socialmente più complesso. Questo è vero, siamo i più complessi di tutto il regno animale, ma molti altri animali lo sono. Sono infatti gli animali più prossimi all’uomo che dovremmo comunque guardare per capire meglio l’origine e l’evoluzione della nostra complessità sociale, anche se in questi ultimi tempi ci sono state delle sorprese osservando degli animali come gli scimpanzé che sono dei mammiferi al pari dell’uomo ma che evolutivamente sono piuttosto lontani da noi. Un esempio per tutti sono le giraffe, ma, se vogliamo, anche gli elefanti, i lupi e i leoni. Su queste tre ultime specie, a riguardo, ci sono molti studi. Esistono addirittura dei libri sulla vita sociale degli elefanti e dei leoni. Anche sui lupi, con il loro fascino selvaggio, sono stati scritti moltissimi libri che sono diventati dei best-seller editoriali, mentre pochi sono invece quelli sulle giraffe. Non che le giraffe costituiscano un anello di congiunzione fondamentale tra i cosiddetti mammiferi inferiori e quelli superiori, ma la conoscenza della loro socialità costituisce pur sempre una bella novità, anche se, a dire il vero, non eravamo completamente digiuni di notizie sulla loro vita sociale.

Giraffe

Le giraffe sono gli animali più alti al mondo. Gli adulti, con un peso massimo di 1200 chilogrammi possono raggiungere 6 metri di altezza. Sono gigantesche. Sulla loro tassonomia ci sono diversi punti di disaccordo tra gli studiosi. Alcuni sostengono che esistono quattro specie di giraffe (settentrionale, meridionale, masai e reticolata), mentre una classificazione più attendibile ritiene che ne esista solo una, la Giraffa camelopardalis, o giraffa dalle tre corna, con nove sottospecie, la più nota delle quali è certamente la Giraffa c. reticolata. La giraffa ha un ruolo importantissimo nel mantenimento dell’ecosistema in cui vive, in Africa, in quanto disperde i semi delle acacie e di altre piante nell’ambiente che poi crescono spontaneamente, ma, purtroppo, al contrario di quanto si creda, è una specie “vulnerabile” secondo le stime dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature) Red List. Vive principalmente nella savana e nelle steppe arboree africane, da Nord a Sud, dal Ciad al Sudafrica e da Ovest a Est, dal Niger alla Somalia.

In questi ultimi anni però le giraffe sono scomparse da ben nove Paesi africani e dal momento che erano una ventina i Paesi in cui erano presenti, vuol dire che in più della metà di essi le giraffe non esistono più. Negli ultimi trent’anni, soprattutto a causa del bracconaggio, di guerre, malattie e fame, la popolazione delle giraffe è diminuita del 40%, nonostante questi animali possano scalciare mortalmente e scappare velocemente a più di 60 Km/h. Si tratta di una grande velocità, ma non sufficiente a evitare le fucilate dei cacciatori di frodo. Oggi in tutta l’Africa si contano circa 100mila giraffe, ma fino a qualche decennio fa erano il doppio. 100mila potrebbe sembrare un gran numero, ma se guardiamo l’estensione del continente africano, più di 30 milioni di km2, sono pochissime. Molte sono sopravvissute perché si trovano protette nei parchi nazionali di vari Paesi. Vederle oggi, al di fuori di questi luoghi, è praticamente impossibile.

Socialità tra le giraffe

Su questo animale si era spesso pensato che vivesse una vita piuttosto caotica, che le sue aggregazioni fossero casuali e che non esistessero delle regole sociali particolari per tenere unite le giraffe in gruppi, grandi o piccoli che fossero. Questa era un’idea piuttosto naïf in quanto per tutti gli animali, in particolare per i mammiferi, sarebbe impensabile ritenere che i membri costituenti i gruppi non abbiano delle regole per aggregarsi tra loro. I mammiferi non lo fanno mai a caso. Hanno delle capacità cognitive e intellettive di un certo livello che consentono il riconoscimento reciproco e la comprensione del ruolo di ogni singolo individuo nella società, dei legami di parentela e dei rapporti di dominanza e sottomissione fondamentali per la costruzione di gruppi solidali organizzati. Senza queste qualità nessun gruppo di mammiferi potrebbe sopravvivere in libertà; verrebbe immediatamente annientato dai suoi nemici naturali che trovano nell’individualismo e nella indipendenza degli individui dal gruppo il loro lato debole e ne diverrebbero facili prede. Questi animali, ma anche altri, ben organizzati, sono sopravvissuti nel corso dei millenni, anzi, per milioni di anni. Vuol dire che hanno trovato un sistema per difendersi reciprocamente e con successo da tutti i pericoli della savana: le giraffe sarebbero state sterminate dai leoni, le gazzelle dai leopardi, gli elefanti degli uomini, soprattutto quando questi ultimi hanno iniziato a costruire gli strumenti per ucciderli, cioè trappole, lance, frecce e infine fucili a pallettoni.

Ciò che c’è di nuovo nello studio della socialità nelle giraffe indagate scientificamente e con metodologie etologiche di ottimo livello, che hanno consentito di saperne di più sulla loro socialità, fondamentalmente è la presa di coscienza che vivono in un sistema cooperativo molto complesso, ben organizzato e con un forte cameratismo tra tutti i membri del gruppo. Allora, qual è la novità rispetto a quanto si sapeva nel passato? La novità è, se andiamo a vedere bene, che le giraffe socialmente assomigliano molto agli scimpanzé e a molte altre specie di scimmie. Passano gran parte del tempo ad alimentarsi, circa 13 ore al giorno, più o meno come tutte le scimmie. Lo fanno principalmente nelle ore che precedono l’alba e il tramonto e poi trascorrono le altre ore della giornata a ruminare, ciò che invece non fanno ovviamente gli scimpanzé che non sono ruminanti. Come gli scimpanzé, però, i gruppi di giraffe, costituiti da un minimo di sei individui a un massimo di venti, subiscono processi di fusione e fissione. In sostanza i gruppi non sono numericamente rigidi, ma si allargano e si riducono a seconda dei casi, delle opportunità e delle necessità.

Le femmine di giraffa rimangono nel loro gruppo originario per sempre, mentre i maschi, una volta diventati adulti, emigrano favorendo l’attività riproduttiva dell’unico maschio adulto e dominante che resta nel gruppo. In sostanza vivono in una struttura ad harem. La lotta per la leadership è cruenta e i maschi adulti combattono tra loro per avere il sopravvento sugli avversari e allontanarli. I maschi lasciano i loro gruppi in cui sono nati a circa tre anni di età e quindi quando diventano sessualmente maturi. Diventano dei maschi solitari ma sempre nella speranza di incontrare in disparte una femmina in calore che si è momentaneamente allontanata dal suo gruppo. Lo stesso avviene negli scimpanzé maschi e adulti costretti a lasciare il loro gruppo originario, ma pur sempre pronti a inseminare le femmine in calore che lasciano momentaneamente il loro gruppo originario per poi farvi ritorno. Le femmine lo fanno per non disperdere il loro ovulo fecondabile, un bene molto prezioso, il più prezioso per una femmina.

Nelle giraffe tutti proteggono la prole dai pericoli costituiti fondamentalmente dai predatori, soprattutto i leoni. Le mamme lo fanno con particolare attenzione, anche se i piccoli vengono sempre tenuti sott’occhio anche dalle zie e dalle nonne. A volte nelle giraffe l’allattamento si estende, oltre che alle mamme naturali, alle femmine più imparentate che stanno già allattando la propria prole e quindi con un’alimentazione che si può considerare, a tutti gli effetti, vicendevole, in un sistema che possiamo considerare matrilineare, proprio come quello degli scimpanzé.

Le giraffe non sono stanziali, come gli scimpanzé. Emigrano da un luogo all’altro, ma ogni tanto ritornano nei luoghi in cui erano state precedentemente, soprattutto per alimentarsi e quindi per consentire alle acacie, le piante da loro preferite, di rigenerarsi. Il sistema comunicativo delle giraffe non è ancora ben conosciuto, ma molto probabilmente si basa su alcuni meccanismi comuni a tutti i mammiferi superiori e quindi in cui gli organi di senso, vista, udito, odorato e tatto, sono sfruttati al massimo per riconoscersi e comunicare. C’è uno scambio di suoni tra madre e prole che assomiglia molto al muggito degli altri ungulati che nelle giraffe però è quasi impercettibile ai nostri orecchi, su cui bisognerebbe indagare per saperne di più.

Qual è la conclusione che possiamo trarre da tutto questo? Per rispondere è necessario ritornare alle parole di un noto psicologo animale del passato, Conwy Lloyd Morgan, vissuto tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, allievo di Thomas Henry Huxley, entrambi sostenitori delle teorie evoluzionistiche darwiniane, il quale disse che “in nessun caso [nessuno] possiamo interpretare un’azione [per esempio, quella di una giraffa] come il prodotto di una facoltà psichica superiore [per esempio, quella di un essere umano], se può essere interpretata come il prodotto di una facoltà situata a livelli inferiori della scala psicologica”. E questo non è valido solo per una giraffa, ma per uno scimpanzé o per qualsiasi altra specie animale, importante è non proiettarsi con la nostra mente su quella degli animali che hanno la loro mente, libera e indipendente. Questo è in fondo quello che ci voleva suggerire Lloyd Morgan, più di un secolo fa.

Letture consigliate

Barry Holstum Lopez, 1978. Of wolves and Men. New York, Scribner Book Company (tr. it. Lupi. Casale Monferrato (AL), Edizioni PM Pocket).
Zoe Muller & Stephen Harris, 2021. A review of the social behaviour of the giraffe (Giraffa camelopardalis): a misunderstood but socially complex species.
Anne Innis Dagg, 2014. Giraffe: Biology, Behaviour and Conservation. Cambridge, Cambridge University Press.
Cara Giaimo, 2021. Giraffes may be as socially complex as chimpanzees and elephants. The New York Times, 8th August.