Nel momento in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro.

(Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti Editore, Milano, 1988)

Non è facile chiedere alla leggerezza di non abbandonarci in questo momento nel quale ci portiamo addosso il dolore del mondo, sembra quasi una mancanza di sensibilità, eppure bisogna oltrepassare la sofferenza attraverso emozioni e lampi di bellezza che sappiano trasformare il dolore in vita, farlo passare dentro di noi fino a tesserne consapevolezza e continuare a danzare nella poesia.

Il nuovo sguardo passa dal distacco, quello di chi osserva il paesaggio di un dipinto come in contemplazione mentre l’occhio cerca di ampliare la visione per non essere travolto dall’intensità del turbamento che la materia pittorica suscita nell’anima dell’osservatore.

Il distacco è esercizio di allontanamento dalle certezze del conoscere e riconoscere le regole del vivere quotidiano per lasciarsi andare all’interiorità fino ad entrare in contatto con il sapere profondo delle cellule del nostro corpo che, se le ascoltiamo con il grande orecchio che ode i suoni cosmici, si svelano come preziosi frammenti di un Tutto al quale apparteniamo.
Proviamo una sorta di conforto che si fa respiro condiviso, scopriamo il piacere di lasciarci avvolgere dalla cedevolezza, sicuri come bambini che hanno sfidato la paura del buio. E allora accade che la tristezza si faccia leggera nell’incontro con la malinconia che accarezza l’anima con la dolce tenerezza dei ricordi.
Qui il distacco è saggezza, l’abbandono è attesa di cambiamento, opportunità di trovare finalmente l’incontro con la lingua del cuore.

Cambiare l’approccio alla conoscenza è tenere vivo il desiderio di ascoltare altre storie, di oltrepassare il limite doloroso di ciò che finisce, è affidarsi a parole che abbiano il coraggio di dire nuove verità, che sappiano rinascere alla fantasia, ad un agire capace di ricondurci all’origine del Bene.
È modificare il rapporto con il tempo cercando vie meno calpestate, è accettare continui cambiamenti di rotta, affrontando l’ignoto e il meraviglioso come in una digressione letteraria: “una strategia per rinviare la conclusione”, un modo per moltiplicare e dilatare il tempo.

L’arte che permette a Sheherazade di salvarsi la vita ogni notte sta nel saper incatenare una storia all’altra e nel sapersi interrompere al momento giusto.

Ciò vale anche per le nostre storie personali che si inanellano senza sosta con le storie del mondo a volte mischiando immaginazione e realtà, a volte incapaci di raggiungere il castello fatato di qualche principessa indovina ma sempre attratti dal desiderio di narrare e condividere il senso della vita.

E c’è un modo altro di guardare le cose che ha a che fare con la coscienza originaria, un terreno sul quale ci muoviamo tentoni poiché abbiamo dimenticato i segni di riconoscimento della nostra appartenenza.
Tornare ad indagare il reticolo finissimo della nostra coscienza ci riserva risultati impensabili, porta conseguenze inattese.

Non avere paura di inoltrarsi nell’oscura incertezza dell’oggi è viatico per ritrovare speranza, per riappropriarci della forza custodita con mistica devozione all’interno del fragile involucro della nostra umanità.

Mutare il nostro punto visuale è possibilità di cambiare il corso delle cose.

Quando tocchi una piccola cosa il suo riflesso è nella grande.
C’è un rapporto costante tra microcosmo e macrocosmo: siamo all’interno di un tessuto nel quale ogni filo che si annoda aiuta il disegno a configurarsi.

Cambiare punto visuale è ricordare che “ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”.

Cambiare punto visuale è mettersi in osservazione, “sedendo e mirando”, con la mente leggera, senza giudizio, senza aspettative, lasciando che timori e pensieri scorrano come nuvole passeggere nel cielo.

L’osservazione non è solo un guardare fisico: c’è nella parola un aspetto intimo, sacro, fatto di attenzione e cura (il latino observare), quasi che attraverso lo sguardo, si potesse custodire nella propria anima ciò che abbiamo veduto.

Osservare è anche accogliere un punto di vista pacificato grazie al quale apprendere l’arte di trasformare la difficoltà in una sorta di specchio di fronte al quale è possibile vedere se stessi in una luce diversa, più ampia, più completa così che gli ostacoli possano essere sorgente di cambiamento.
Ostacolo è cambiamento, transizione e noi siamo transizione: la transizione è l’anima dell’esistenza.

Osservando si comprendono gli atteggiamenti che sono frutto della nostra abitudine a pensare che tutto si muova attorno alla nostra centralità, che ogni cosa si compia per noi dimenticando che ciò che muta e si trasforma non sono le cose bensì il nostro modo di guardarle, di incontrarle.

Allora si fluisce nella leggerezza della fiducia, nell’ascolto di ciò che ci accomuna e ci induce a compiere insieme un cammino.

C’è uno sguardo mutato anche nell’ascolto che non è più soltanto mettersi ad ascoltare ma disporsi ad un sentire sottile, continuo, una percezione forte e delicata ad un tempo.
Attraverso questo ascolto possiamo cogliere le infinitesime sfumature di situazioni e comportamenti così da scoprire consonanze inattese, altri luoghi che rimandano ad energie in essi depositate.

L’ascolto amplia la sensibilità, riceviamo segnali più intensi; si è presenti con una vasta attitudine ad incontrare, ci si dispone ad un benefico stupore.
L’ascolto lascia spazio al rispetto che accoglie ogni modo d’essere, che placa la nostra ansia di certezze, di direzioni decise una volta per tutte.
Nel rispetto tace la rabbia che nasce quando ci si sente feriti, non compresi.

Abbiamo bisogno di un cambiamento nel modo di affrontare la difficoltà: non con la disperazione, con la paura di perdere una sicurezza di bene già raggiunta, bensì accogliendo il movimento delle cose con forza quieta, pur nel vortice dei sentimenti, mettendoci di fronte alle nostre piccole o grandi menzogne per aiutarci a comprendere altre verità.
Un passaggio impegnativo eppure un cammino costellato di meraviglia.

Un grande insegnamento che ci costringe a guardarci senza trucco, ad ammettere la difficoltà di accogliere fino in fondo la libertà degli altri di pensare e dire cose che scatenano la paura di veder mutare la sicura realtà alla quale tenersi aggrappati.
Eppure la precarietà è una dimensione dell’esistenza: è così che ogni istante diventa prezioso, uno squarcio di leggerezza.

(A cura di Save the Words ®)