Ernest Hemingway apparteneva agli espatriati americani a Parigi negli anni Venti del Novecento, quel gruppo di giovani chiamati “generazione perduta” dopo avere vissuto la Prima guerra mondiale. Nato nel luglio del 1899 in un sobborgo di Chicago, trascorreva il tempo immerso nella natura e a caccia, mentre la sua propensione per la scrittura e la letteratura divenne evidente sin dalla più giovane età.

Con i suoi primi scritti e la voglia di seguire le orme musicali materne, arrivò a collaborare per il quotidiano di Kansas City quando decise di arruolarsi per combattere in Europa. Voleva entrare nel corpo di spedizione del generale Pershing al quale appartennero anche Faulkner e Fitzgerald ma, inabile al combattimento per problemi di vista, venne impiegato come autista di ambulanze per la Croce Rossa, destinato al Pasubio.

Arrivò a Parigi, quindi a Milano e poi a Vicenza proprio poco prima della Battaglia del Solstizio del 1918. Iniziò a collaborare con un giornale locale e conobbe Dos Passos, ma voleva avere esperienze belliche più intense per poterne scrivere. Così venne assegnato al Basso Piave come assistente di trincea, dove portava generi di conforto ai soldati.

Ferito, dovette essere riportato a Milano per subire un intervento chirurgico e lì conobbe l’infermiera Agnes di cui si innamorò. Tornato al fronte, con la fine del conflitto rientrò negli Stati Uniti dove intraprese l’attività di giornalista, tenne conferenze e iniziò a scrivere.

La vera carriera letteraria per Hemingway iniziò a Parigi dove conobbe Ezra Pound che ritenne suo maestro. Inviò al Toronto Star per cui collaborava, la relazione sugli accordi di Rapallo, per poi essere inviato a Costantinopoli a seguire la guerra greco-turca e di nuovo a Parigi per gli accordi di pace che siglavano la fine del conflitto, poi in Spagna, tra cui Pamplona.

Tutte esperienze che si ritroveranno poi nei suoi lavori tra cui Fiesta, Addio alle armi, Per chi suona la campana.

Lo scrittore viaggiò molto e fu testimone dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Intanto dai suoi scritti vennero tratte sceneggiature per il cinema hollywoodiano e venne candidato al Pulitzer. Alla vigilia dello sbarco in Normandia tornò a Londra come inviato speciale. Tornato a Cuba dove aveva vissuto, negli anni Cinquanta scrisse il suo ultimo romanzo Il vecchio e il mare che vinse la prima edizione del “Premio Bancarella” nel 1953. L’anno seguente gli venne assegnato il “Premio Nobel” per la Letteratura, sempre per Il vecchio e il mare, per la maestria nell’arte narrativa e l’influenza esercitata sullo stile contemporaneo, ma per problemi di salute non si recò a ritirarlo a Stoccolma, delegando l’ambasciatore statunitense John Cabot.

Pochi anni dopo iniziò a soffrire di depressione, con alterni momenti in cui scriveva ancora, fino a quando decise di occuparsi di relazionare di corride. L’impegno diventò maniacale, con sempre maggiori segni di squilibrio mentale che lo portò a viaggiare di continuo tra i continenti, manifestando una salute sempre più precaria.

Dovette essere ricoverato e, sottoposto a cure specifiche; non dava segni di effettiva ripresa, fino a quando, tuttavia, venne dimesso perché ritenuto guarito.

Rincasato apparentemente sereno, il 2 luglio 1961 riuscì a procurarsi il fucile con il quale si suicidò. La generazione di cui era stato esponente era perduta per sempre.