Il ben noto caso di Saman Abassi, la ragazza diciottenne pakistana scomparsa da quasi tre mesi dalla cittadina di Novellara, in provincia di Reggio Emilia (Italia), che secondo l’indagine in corso e per quanto si apprende dalla stampa nazionale e internazionale potrebbe essere stata uccisa perché non voleva contrarre matrimonio con un ragazzo che le era stato imposto dai genitori, ha creato grossi problemi nelle comunità musulmane di tutto il mondo.

Sembra che la giustificazione dell’eventuale omicidio trovi riscontro in antiche tradizioni musulmane, ancora vigenti in alcuni Paesi, secondo le quali il padre ha un potere assoluto sulle decisioni matrimoniali delle figlie e che la loro eventuale disubbidienza rappresenta un’onta da punire con la morte. Ciò perché, nella retrograda mentalità di un genitore impregnata di tale cultura, quell’atto di disubbidienza ha rappresentato una grave offesa subita, per la quale, per antica tradizione, doveva dare riscontro tangibile alla società del suo Paese d’origine. È emerso, ancora una volta, un sistema patriarcale arcaico e di estrema pericolosità, un sistema che priva la donna del riconoscimento dei propri diritti essenziali e per primo del diritto alla vita.

Si potrebbe obiettare che fino a poco tempo fa, anche nei nostri “Paesi occidentali”, i diritti delle donne erano ridottissimi, ma il loro riconoscimento è oggi uno dei grandi traguardi raggiunti e di cui dobbiamo essere fieri e comunque, ad un dissenso su una proposta di matrimonio imposto dalla famiglia non seguiva certamente la pena di morte. Pertanto, è auspicabile che anche in Paesi dove la donna è ancora sottomessa a tali regimi con potere di vita e di morte su di essa, possano essere modificati tali barbari costumi. Ancora oggi in Pakistan e in altri Paesi musulmani una donna non si può sposare se non con l’autorizzazione del padre o del fratello maggiore e ciò in rispetto alle norme e tradizioni religiose vigenti e a seguito di disubbidienza vengono perpetrate torture e commessi omicidi che nulla hanno di umano.

Il rispetto delle leggi del Paese dove abiti

Chi desidera vivere in un Paese diverso dal proprio ha il dovere di rispettare le leggi del Paese ospitante, comprese quelle riguardanti il rispetto dei diritti umani e in particolare del diritto alla vita. Gli usi e costumi di altri popoli con differenti culture potranno essere accettati fin quando non sono in contrasto con le leggi del Paese ospitante. Purtroppo grandi problemi sono emersi e continuano ad emergere prevalentemente con persone provenienti dal mondo musulmano e soprattutto da Paesi islamici governati nel rispetto di pesanti interpretazioni delle disposizioni religiose.

Un aspetto sicuramente paradossale è dovere assistere, di contro, a lamentele da parte di musulmani che vivono in Paesi occidentali e ai quali sono state imposte alcune opportune limitazioni ai loro usi e costumi, ad esempio, in relazione alla necessità che le donne debbano circolare col volto visibile e ben riconoscibile per motivi di sicurezza. In questi casi, chi ostenta dette lamentele, fa certamente finta di non conoscere come vengono trattati i non musulmani che visitano alcuni Paesi musulmani, quando, ad esempio, si vedono limitati in molte azioni che per loro rientrano nella normalità dei loro costumi occidentali e che certamente non possono nuocere ai musulmani, ma probabilmente turbano alcune menti maschili di retrograda cultura puramente maschilista. Non vige cioè la reciprocità e agli stranieri è imposto il rispetto delle loro tradizioni con pesanti accuse e condanne in caso di non accettazione.

Basti pensare alle donne non musulmane che, in molti Paesi musulmani, sono costrette ad adeguarsi ad usi e costumi fortemente differenti delle loro tradizioni e ad essere velocemente processate in caso di inadempienza. Donne cristiane che in Paesi musulmani vengono spesso violentate e a volte trucidate solo perché non sono musulmane e talvolta soprattutto perché sono cristiane.

Sono quei Paesi dove si assiste all’arroganza di uomini che, sotto il nome di Allah, costringono le loro donne a mantenere rigidi usi e costumi ormai totalmente anacronistici, forse credendo così di fare prevalere la loro superiorità sulla donna, superiorità non certo intellettuale.

Fortunatamente, in diversi Paesi musulmani, ma sono ancora pochi, si sta assistendo ad un processo evolutivo che vede la donna assumere una propria autonomia nelle decisioni che riguardano la gestione del proprio corpo e della propria persona in genere e ancor più assumere, con grande capacità e dignità, ruoli nella società che prima tradizionalmente spettavano solo agli uomini.

Se dovessero risultare vere le ipotesi sui motivi che hanno fatto commettere questo atroce delitto, ciò rappresenterebbe solo la meschinità di uomini che si sentono forti usando quel brutale istinto di violenza e ferocia che si tramanda con alcune loro tradizioni. Desidero dire a chi sono avvezzi a tali usi che mortificano la dignità umana: “illustri barbari tenete lontane dai Paesi civili queste vostre inumane tradizioni, perché così voi offendete Allah il misericordioso”.

La morte di Saman, così come di altre giovani musulmane, è dunque il risultato di antiche tradizioni, ancora vigenti, di una società chiusa in una forma di oscurantismo culturale che giustifica efferati delitti per salvaguardare, nei confronti della sua società, il cosiddetto “onore”. L’onore del padre offeso dalla disubbidienza della figlia che trova anche il sostegno dell’intera famiglia, talvolta impaurita dalle eventuali reazioni bestiali del padre, talvolta per essere sollevata anch’essa dall’onta sociale.

L’inferiorità della donna dell’Islam rispetto all’uomo

Tale atteggiamento denuncia anche uno stato di inferiorità della donna rispetto all’uomo, che può trovare spiegazione nell’Islam in senso generale. A tale scopo infatti è opportuno ricordare brevemente che l’Islam si fonda sul Corano, che rappresenta il libro sacro che, secondo la tradizione, l’Arcangelo Gabriele dettò a Maometto1, e sulla Sunna, che è l’insieme dei comportamenti, delle parole e delle opere del Profeta e dei suoi compagni tramandati oralmente per generazioni e infine trasmessi per iscritto da parte di studiosi dell’Islam che li avevano raccolti in piccoli racconti della “tradizione musulmana” che si chiamano hadith.

Il Corano e la Sunna rappresentano i fondamenti della religione islamica e costituiscono la Sharia, che letteralmente significa “la grande Via” e rappresenta l’insieme delle regole di vita per essere musulmani. Per quanto sopra, se desideriamo comprendere se c’è ed eventualmente quale è il rapporto tra uomo e donna nell’Islam, dobbiamo necessariamente effettuare una ricerca tra le spiegazioni di alcuni versetti del Corano e di alcuni hadith. La ricerca è difficile anche perché da un lato esiste un solo Corano, anche se per esso esistono diverse interpretazioni, mentre dall’altro ci sono diverse raccolte "ufficiali " di hadith, dunque non esiste una sola Sharia. A chiarimento di quanto sopra descritto si riportano di seguito alcuni versetti del Corano e alcuni hadith.

Nel Corano, ad esempio, nel versetto 34 della Sura IV- An-Nisâ’ (Le Donne) è così scritto:

Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande.

Questa sembra una giustificazione al fatto che un marito possa fare violenza sulla moglie in caso di insubordinazione, senza che la moglie possa così vantare alcun diritto per fare condannare il marito.

Nel versetto 228 della Sura II - Al-Baqara (La Giovenca), sulla eventuale volontà di riconciliazione dell’uomo con la donna da cui aveva precedentemente divorziato è così scritto:

Le donne divorziate osservino un ritiro della durata di tre cicli, e non è loro permesso nascondere quello che Allah ha creato nei loro ventri, se credono in Allah e nell’Ultimo Giorno. E i loro sposi avranno priorità se, volendosi riconciliare, le riprenderanno durante questo periodo. Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini sono superiori. Allah è potente, è saggio.

Dunque, sono sempre i mariti a potere decidere se riavere con sé o no la ex moglie, poiché “gli uomini sono superiori”.

E nel Corano, nel versetto 223 della Sura II, è ancora scritto:

Le vostre donne sono come un campo per voi, venite dunque al vostro campo come volete.

Mi sembra che con questo versetto la moglie venga considerata come un ‘oggetto di proprietà’.

Ma le affermazioni ancora più gravi sulla donna si riscontrano soprattutto in alcuni hadith.

Uno degli hadith che mi ha maggiormente impressionato è stato Sahih Al-Bukhari Hadith2 3:826, narrato da Abu Said Al Khudri:

Il Profeta disse: “Non è vero che la testimonianza di una donna equivalga alla metà di quella di un uomo?” La donna rispose: “Sì.” Lui disse: “Il perché sta nella scarsezza di cervello della donna.”

La donna viene dunque valutata con una inferiorità intellettiva rispetto all’uomo, quasi una sottospecie dell’uomo. Sono affermazioni veramente scioccanti che una donna sensata potrebbe accettare solo per timore.

Capisco che queste citazioni potrebbero offendere miei cari amici musulmani che nulla hanno in comune con tali obsolete e antiche tradizioni tribali dove la donna era vista più simile ad un animale che ad un essere umano. Per fortuna una parte del mondo musulmano è in continua evoluzione e, pur mantenendo fede a quanto riportato nel Corano, contestualizza l’interpretazione di alcuni versetti e di alcuni hadith.

Non mi risulta comunque che ci sia un versetto o un hadith che giustifica che un padre possa uccidere la propria figlia in caso di tale disubbidienza, pertanto la tradizione di tali atti nefandi si fonda sull’interpretazione del potere del padre-patriarca, ma la ritenuta superiorità dell’uomo, ancorché concetto ormai superato in diversi Paesi musulmani, non può mai rappresentare il diritto di vita e di morte dell’uomo sulla donna.

Il vero grande problema, che crea un grande sbarramento culturale, si riscontra quando la Sharia si inserisce nell’ordinamento e nelle leggi dello Stato.

Per capire la ferocia dovuta all’applicazione della Sharia, più volte oggetto di interrogazioni presso il Parlamento Europeo, basta evidenziare che in diversi Paesi essa fa parte della costituzione e in quasi tutti questi Paesi l’esecuzione delle pene avviene spesso in luogo pubblico e con processi sommari, con punizioni come fustigazione, amputazione e lapidazione, vengono tagliate le mani ai ladri, decapitati gli assassini, lapidate le donne adultere. Non è difficile poi verificare che tali azioni sono previste, applicate ed elogiate, da parte dei potenti, da parte dei più ricchi per opprimere i poveri ed eliminare gli avversari politici. È superfluo evidenziare le conseguenze dell’applicazione della Sharia e il grande danno sociale derivante non solo dalla mancata contestualizzazione di alcune disposizioni coraniche, ma soprattutto dal fatto che dette leggi religiose sono poi talvolta strettamente legate alle disposizioni governative diventando esse stesse leggi dello Stato. Solo per dare un semplice esempio, nei Paesi dove è in vigore la Sharia convertirsi al Cristianesimo o ad altre religioni è proibito, la Sharia infatti limita la libertà di religione con una netta distinzione tra musulmani e non musulmani e punendo quanti si convertono dall’Islam.

Da quanto sopra non credo che si possa restare ancora meravigliati dal comportamento tradizionale di padri che uccidono le loro figlie a seguito di disubbidienza, ma è certamente normale chiederci perché ciò avviene.

La mancata storicizzazione e contestualizzazione dell’Islam

Il Corano, la Bibbia, così come altri testi sacri sono colmi di insegnamenti di pace e di amore purché contestualizzati, purtroppo, l’Islam, a differenza dei testi sacri dei cristiani e degli ebrei, non è stata mai storicizzata, né contestualizzata.

In occidente, infatti, con l’evolversi del tema sulla parità dei diritti umani e in particolare sulla parità tra uomo e donna, l’esegesi dei testi sacri ha subito una storicizzazione e attualizzazione. E ciò è avvenuto per il Cristianesimo e per la stessa Chiesa nel periodo illuministico e ancora oggi in particolari temi della liturgia e, specialmente, sulla storicizzazione del Vangelo in considerazione dei veloci cambiamenti della società.

È avvenuto anche per l’Ebraismo, attraverso la riforma di Moses Mendelssohn, col movimento culturale, ma anche politico-sociale, della Haskalah detto anche illuminismo ebraico che si è sviluppato a partire dal ’700 e promosse un rinnovamento dei contenuti culturali del giudaismo e l’emancipazione politica e sociale degli Ebrei.

Invece il Corano, per alcuni settori dell’Islam, è intoccabile in quanto proviene direttamente da Allah di cui è la parola unica e definitiva e quindi immutabile.

E pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto e della pericolosità dovuta alla mancata storicizzazione e contestualizzazione dell’Islam, dobbiamo augurarci che questo processo possa presto avvenire anche nell’Islam, così come è avvenuto per le altre religioni, in armonia ai cambiamenti sociali registrati nei secoli.

Purtroppo, chi ha fatto questo tentativo è stato prontamente eliminato. Cito il caso del grande teologo sudanese Mahmoud Muhammad Taha che sosteneva la necessità della storicizzazione e interpretazione del Corano, grande fautore del rispetto dei diritti della donna, che il 18 gennaio 1985 è giustiziato per impiccagione a Khartoum, direttamente dallo stesso presidente della repubblica, dopo una condanna per “apostasia” e in particolare per essersi opposto alla legge islamica avendo sostenuto che lo Stato non facesse più ricorso alla Sharia. Taha sosteneva la necessità della separazione tra religione e Stato.

È ormai evidente che nell’Islam ci sono sempre più spinte verso un rinnovamento delle interpretazioni delle norme e disposizioni religiose che, pur mantenendo la propria identità culturale, tendono alla storicizzazione delle leggi e delle tradizioni. Si sente cioè l’esigenza di riconoscere come obsolete alcune norme e disposizioni religiose che vanno necessariamente contestualizzate ed evitare così che barbare tradizioni possano trovare giustificazione nel Corano e nella Sharia in genere. Non è più concepibile che la donna venga posta ad un livello inferiore rispetto l’uomo e non è più concepibile che torture ed omicidi possano trovare una copertura religiosa.

L’Islam a due velocità o due Islam differenti?

Poiché le citate azioni cruente vengono riscontrate quasi esclusivamente con persone musulmane è lecito chiedersi se l’Islam procede nella sua evoluzione a due velocità:

  • un Islam moderato, che non è legge dello Stato o se in alcuni Paesi pur determinando delle norme costituzionali consente pur sempre una armonizzazione col mondo civile universale, dove è ad un livello avanzato il riconoscimento dei diritti delle donne, pur mantenendo parte degli usi e costumi tradizionali, dove la donna è manager di grandi imprese, guida l’auto e partecipa alla vita sociale assieme agli uomini, dove gli uomini non si sentono superiori alle donne e le amano e le rispettano creando con loro armoniose famiglie sotto il nome di Allah;
  • un Islam violento ed estremista dove la donna è ancora strettamente sottomessa all’uomo, viene fustigata e lapidata, non può guidare l’auto, né può partecipare alle riunioni con uomini e dove gli uomini si sentono fieri di vedere le loro mogli che acconsentono sempre ai loro desideri, come fossero prive di spirito proprio, dove uomini sono fieri della loro futile potenza che spesso soltanto è espressione di arretratezza culturale.

Ma se nei Paesi che adottano questi due modelli differenti gli uomini pregano Allah nelle Moschee e con le stesse preghiere e con gli stessi riti religiosi è normale chiederci se ci sono due Islam differenti o se l’evoluzione delle interpretazioni religiose musulmane procede con marce differenti da un Paese all’altro.

Forse anche per l’Islam comincia il periodo della storicizzazione e contestualizzazione.

Note

1 In realtà le regole vennero inizialmente propagate oralmente dai discepoli di Maometto, mentre la stesura del testo avvenne solo dopo la morte del Profeta.
2 Il Ṣaḥīḥ di al-Bukhārī è la più importante delle sei maggiori raccolte di ḥadīth dell'Islam sunnita. Queste tradizioni riguardanti il profeta Maometto furono raccolte dallo studioso musulmano di origine persiana, Muhammad ibn Ismāʿīl al-Bukhārī (810-870), dopo essere state trasmesse oralmente per diverse generazioni. I musulmani sunniti considerano questa collezione come la più fedele raccolta di ḥadīth e l'opera musulmana più importante dopo il Corano.