Pochi hanno saputo vivere la levità come Alber Elbaz.

Nato a Casablanca (1961), ma fieramente israeliano, si è laureato al Shenkar College di Tel Aviv per poi spostarsi negli Stati Uniti, dove è stato il braccio destro dello stilista americano Geoffrey Beene, per sette anni.

Nel 1996 arriva in Francia per assumere la direzione artistica di Guy Laroche.

Da questo momento parte un dialogo con la forma che investe materia e pigmento ed incide indelebili tracce nello scenario internazionale dello stile.

Nella sua moda Alber Elbaz ha chiamato i colori a raccolta, per ricordarci che Brueghel, Vermeer, Ingres non sono stati solo dei grandi artisti ma un'ispirazione per il corpo.

La sua edizione del verde Vélasquez ha invitato l'anatomia femminile alla corte di Filippo IV di Spagna.

Di quell'epoca Barocca ha espresso i diademi e le parure più preziose dando spazio a quel gusto in auge nei castelli della Francia pre-rivoluzionaria.

Del purpureo rosso cangiante di Innocenzo X, (che tanto intrise di diabolica natura il pennello di Bacon, ispirandosi all'originale dell'autore di Las Meninas), ha riportato lo spirito ardente.

Gran gourmet ha usato lo zafferano fuori dal piatto per imprimere la seta dei raggi del sole e dichiararne l'avvenuta conquista sulla terra.

Vestite del cielo, le sue amazzoni hanno avuto gambe e braccia per giocare con l'aria e gonfiare baccelli di luce dagli orli “sfilati”: indefinibili quanto un acquerello e cosmetici più del make-up.

Tutta questa organica tavolozza ha lasciato spazio alla profondità delle cromie della pelle: dal bianco diafano nordeuropeo, al tabacco più ambrato dell'equatore convergendo nel tono su tono del nude, ad esaltazione della epidermica consistenza del sogno.

Sul bianco ha lasciato la sua traccia grafica-naif, con i racconti di una Parigi popolata da bambole, rappresentanti contemporanee di quello che fu lo spirito più alto del processo comunicativo dei primordi della moda: “Les Poupées de la mode”.

Di fatto ha creato un lessico nuovo per la più antica Maison dei cugini d'oltralpe: quella Lanvin che con più di 125 anni di storia detiene il primato della longevità nel settore come la più antica, ma anche come la prima dedicata all'infanzia.

Leggero, di quella levità che rincuora ed innalza dalla banalità dell'omologazione, Elbaz ha introdotto la musica jazz nelle arie d'opera della moda, spezzando i confini di genere e realizzando almeno una ventina di collezioni dall'indiscusso impatto sociale.

La sua estetica già germinava nel Guy Laroche di Ralph Toledano, a metà degli anni Novanta, per poi emergere pienamente, nel 1998, sulla “Rive Gauche” di Yves come suo primo successore nel prêt-à-porter e, prima del suo acuto più significativo, ha dato il “top” a quella “K” della moda che è stata Krizia.

Nel 2001 Alber tocca il cielo, in senso letterale usando quel blu, che dai fondali celesti del Beato Angelico era finito negli appartamenti di Jeanne Lanvin e di diritto nella sua storia e in quella della Maison della quale era divenuto direttore creativo.

Da questo istante fiocchi a nastro, con macroscopici cristalli, hanno specchiato il fluttuante universo di Jeanne e della figlia Marguerite.

Il ragazzo di Casablanca, con la maestria sartoriale di una Madeleine Vionnet, ha modulato drappi indulgenti sul corpo deificato delle sue valchirie e ha saputo mediare con le tracce archivistiche omaggiando chi è venuto prima di lui alla guida della maison imprimendole rinnovato carattere e identità.

Sua fu la collaborazione più riuscita con il marchio di fast fashion H&M.

Nel 2015 l'uscita, senza senso, da quel mondo per contrasti con la proprietà: l'imprenditrice taiwanese Shaw-Lan Wang.

Da quel momento collaborazioni spot con Tods, Converse, e la creazione del profumo Superstitious, per le Editions de Parfums Frédéric Malle, sino all'annuncio, nel 2019, del suo ritorno con una sua etichetta e un nuovo progetto pensato per un mondo digitale insieme al Gruppo Richemont: AZ Factory, dalla prima all'ultima lettera del suo nome, “dalla A alla Z”.

In tale dinamica ha raccolto l'esperienza più evoluta della produzione tessile per creare abiti e maglieria, accessori ed emozioni, che fossero legati alla vendita online con un'attenzione all'anatomia che andasse oltre la couture e divenisse tecnologia a favore della portabilità.

Alber Elbaz ci lascia, ma non si dimentica quel papillon, sempre un poco raffazzonato, che ha giganteggiato nello stile.

Non era bello Alber Elbaz era oltre...

Tondo che lo si poteva tracciare con un compasso, ha saputo esprimersi attraverso i neri occhiali e le scarpe grosse come Charlie Chaplin nel suo Charlot: con analoga immagine e sguardo bistrato di nero, ha raccolto le lacrime con un sorriso indugiando nella più assoluta levità.