Oggi parleremo del Trittico Portinari, un dipinto ad olio su tavola che si trova al Museo degli Uffizi e che fu realizzato da Hugo van der Goes , un pittore fiammingo di Gand.

Era il quadro fiammingo di dimensioni più grandi mai giunto a Firenze fino ad allora. Il nome con cui lo conosciamo oggi si riferisce al suo committente Tommaso Portinari che era responsabile del banco mediceo di Bruges.

La grossa tavola arrivò a Firenze il 28 maggio del 1483 e fu portata alla Chiesa di Sant’Egidio, facente parte dell'ospedale di Santa Maria che era sotto il patronato dei Portinari. Perché quest'opera fu tanto importante per Firenze e per gli artisti fiorentini? Andiamo a scoprirlo insieme.

Si tratta innanzitutto di un trittico dipinto da entrambe le parti.

In quella posteriore Hugo dipinse un’Annunciazione in monocromo, mentre in quella anteriore realizzò l'Adorazione di Gesù Bambino da parte dei pastori al centro; nello scomparto laterale sinistro raffigurò invece il committente Tommaso Portinari con i due figli Antonio e Pigello e i santi eponimi Sant'Antonio e San Tommaso dietro di loro. E infine nello scomparto di destra ritrasse la moglie del Portinari Maria Baroncelli e la figlia Margherita, con le rispettive sante eponime Santa Maria Magdalena e Santa Margherita.

Esaminando la scena principale al centro ci rendiamo subito conto della grande novità per i pittori fiorentini, vale a dire il tema, l'adorazione di Gesù Bambino da parte dei pastori. Il pittore li caratterizzò con l’estrema naturalezza tipica della pittura fiamminga, mettendone in evidenza le rughe e le barbe incolte. Per gli artisti fiorentini un tema come l'adorazione dei pastori era impensabile a quell’epoca, al contrario era in voga l’adorazione dei Magi. I committenti della città del giglio incaricavano infatti i pittori di dipingerla in quanto si rispecchiavano nelle figure dei tre Re, portatori di doni alla Sacra Famiglia come loro portavano benessere alla città.

Fatto sta che solo due anni più tardi Domenico del Ghirlandaio prendendo spunto da quest'opera dipinse l'adorazione dei pastori per la cappella Sassetti nella chiesa di Santa Trinita.

Ritornando alla scena centrale si percepisce anche la mancanza di interesse da parte del pittore per le proporzioni ideali e per la rappresentazione della natura perfetta che aveva caratterizzato i pittori fiorentini del Rinascimento. Molto forte è l’uso della simbologia che i fiorentini avevano usato tanto a partire dal Duecento e che a metà del Quattrocento avevano molto ridotto nelle loro opere.

Partiamo dai fiori nei due vasi e dal frumento dietro di essi. L'iris rosso rappresenta il sangue di Cristo, mentre il frumento il pane e quindi il corpo del Messia. Abbiamo così una rappresentazione simbolica dell'Ultima Cena e della transustanziazione.

Gli altri fiori, l'iris bianco ed il garofano rosso rappresentano rispettivamente la purezza e la passione. Il corpo stesso di Gesù Bambino, disteso per terra, emana una luce divina, che illumina alcuni dei presenti e in terra, intorno al suo corpo, ci sono dei raggi che ne rivelano la santità.

Anche la stalla alle spalle di Maria, dove fanno capolino il bue e l'asinello, è costituita da una loggia con colonne, come a rappresentare il mondo pagano che sta lasciando il passo alla nuova religione fondata dal Bambino Gesù, il cristianesimo.

Nella lunetta sopra la porta del palazzo, dietro ai due angeli inginocchiati vestiti di blu, vediamo un’arpa, simbolo del re David, dal cui albero genealogico arriviamo a Giuseppe padre di Cristo. Abbiamo poi lo zoccolo davanti a Giuseppe che rimanda al suolo sacro da calpestare solo a piedi nudi.

Per alcuni storici il soggetto di quest’opera più che un’adorazione dei magi è l’officiazione della prima messa. A voi l’ardua sentenza.