Quante volte un fico colto lungo una strada di campagna ha saziato dei bambini affamati dopo una giornata di corse e giochi tra i prati sfioriti di settembre. Ebbene questa è proprio la stagione da non farsi sfuggire se si è amanti della raccolta della frutta spontanea, quella più difficile da trovare in vendita: il Ficus carica L., le more e le nespole.

Il fico, frutto simbolico per eccellenza legato al peccato originale, ancor più noto come “frutto della conoscenza” del bene e del male, è catalogato dai botanici come “siconio” ovvero un’infiorescenza, un insieme di fiori da cui deriverà l’infruttescenza. Si tratta quindi di un cosiddetto “falso frutto” in realtà un insieme di piccolissimi acheni che costituiscono i veri frutti. Una delle più belle immagini del fico che mi tornano alla mente è quella rappresentata da Ambrogio Lorenzetti nella piccola chiesa romanica dell’Eremo di San Galgano a Montesiepi, dedicato al santo quando fu dichiarato tale nel 1185 da Papa Lucio III.

Qui in una piccola cappella, molto più nota per la spada infilata nella roccia, Eva è raffigurata in una lunetta, databile nel 1334, insieme a Maria sua erede della cristianità, che porta in mano il frutto che ha mangiato insieme alle foglie con cui si è vestita quando si accorse di essere nuda. La scritta nel cartiglio riporta: “Fei peccato perché passione sofferse Cristo che questa reina portò nel ventre a nostra redentione”, probabilmente posto successivamente, dicono gli storici, e allo stesso modo la Vergine a mani giunte rispetto a come invece era rappresentata originariamente dal Lorenzetti, spaventata ed aggrappata ad una colonna1.

Nell’Inferno di Dante è Brunetto Latini, suo maestro di filosofia, ad accostare il poeta ad un frutto dolce quale è il fico “ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico”. Brunetto avvicina Dante al dolce albero del fico che matura fra i sorbi aspri e cattivi al gusto (i Fiorentini) 2.

La prosperità e la salvezza sono sempre associate al fico e il suo nome greco, sykon, riconduce al mito di Sicheo, il titano figlio di Gea. Per difendersi dalle saette di Zeus si fa proteggere dalla madre che nel suo grembo fece poi nascere un fico. I tanti piccoli frutti e semi al suo interno simboleggiano, come anche in altri con più parti all’interno, melograno e agrumi, la fertilità. Il latte che fuoriesce dal frutto quando si coglie è associato alla maternità e all’abbondanza. I fichi attici erano molto rinomati e già nel III secolo a.C. e vengono citati negli epigrammi poetici come premi nelle gare ginniche.

Dal punto di vista della sua conservabilità questa pianta che da millenni nel Mediterraneo ha trovato il suo habitat ideale e la sua maggiore diffusione, provenendo originariamente dalla regione caucasica, è piuttosto debole. L’unico modo per mantenere il frutto è l’essiccazione e questa tecnica si perde nel tempo per quanto è antica, del resto quando li troviamo freschi nei banconi della frutta sono sempre acerbi e poco gustosi a parte rare eccezioni. Il frutto non può durare più di un giorno e gli agricoltori se vogliono commerciarli attraverso la grande distribuzione sono costretti a raccoglierli ancora acerbi per poi essere messi in celle frigo magari dopo qualche trattamento anti muffa.

Tra i secoli XIII e XVI la penisola italiana era tra le più importanti produttrici di fichi secchi del Mediterraneo (dalle Marche alla Liguria alla Toscana) oltre al regno d’Aragona e i territori islamici di al-Andalus, per tutto il Nord Europa. Sembra che già dal Mille figuri a coltivo il fico. Tra evo antico e moderno si conosce la fortuna del fico in Italia come in altre aree del Mediterraneo. Buona la sua adattabilità nei terreni, anche aridi sia in scarpate ombrose come assolate, il fico è resistente anche alle basse temperature pur essendo per lui ideale il clima temperato e semiarido dalla costa fino agli 800 metri di altitudine. Soprattutto nel medioevo con l’essiccazione il frutto diventava una fonte di nutrimento notevole perché si triplicava il suo potere calorico con la concentrazione degli zuccheri, ed era una perfetta derrata da esportazione. Se oggi appare un frutto semplice, quasi povero, un tempo era sulla tavola dei ricchi sia fresco che essiccato, ad accompagnare vivande o come succedaneo del miele per addolcire dolci o composte di frutta.

Non dimentichiamoci che una delle sue più importanti qualità citata fin dall’antico, è quella terapeutica: ovvero tra quei vegetali lenitivi ventris. Oltre ad essere nutriente e digeribile perché contiene zuccheri facilmente assimilabili (11-12%), da secco diventa essenziale come regolatore dell’attività intestinale. Un etto di fichi secchi copre il 20% del fabbisogno giornaliero di calcio e apporta all’organismo il 30% del ferro necessario. In casi di magrezza e stanchezza sia fisica che psichica è ritenuto un vero ricostituente. Già nella Bibbia è citato come rimedio contro le infiammazioni (Secondo Libro dei Re, 20 1,7). Isaia disse: “Prendete un impiastro di fichi. Lo presero e lo posero sull’ulcera e il re guarì”.

Anche oggi l’estratto di fico è un rinomato rimedio per tutte le affezioni gastrointestinali, la sua caratteristica è quella di agire da tampone nei soggetti affetti da acidosi e molti nutrizionisti lo indicano come toccasana a stomaco vuoto alla mattina, in forma secca e naturale, senza alcun additivo per la conservazione (come la Solforosa o altri conservanti).

Innumerevoli gli usi di tutte le parti della pianta, dalle foglie come foraggio, soprattutto in India vengono prima essicate e poi date agli animali, le gemme fresche per gli enzimi digestivi contenuti, i frutti verdi, secchi e cotti oltre ai semi da cui si ricava un olio commestibile.

Finalmente, di queste e altre migliaia di notizie, aneddoti e fonti storiche su questa specie e se ne è parlato in un convegno internazionale tenutosi qualche anno fa a Sanremo Il fico. L’albero e i suoi frutti tra storia, letteratura, arte e botanica, i cui atti, oggi disponibili, sono stati redatti con estrema cura da Claudio Littardi, già fondatore e presidente del centro Studi e Ricerche per le Palme di Sanremo, lo storico Alessandro Carassale e la medievista Irma Naso3.

Molti infatti i capitoli di questa millenaria storia botanica che sfuggono ai più, dal commercio all’uso terapeutico, alla rappresentazione artistica e in primis alla simbologia che ci riporta al leggendario giardino dell’Eden di cui ancora si è alla ricerca della sua geografica collocazione e il fico ne rappresenta l’emblema universale.

Note

1 Nel 2017 una mostra interamente dedicata ad Ambrogio Lorenzetti ha per la prima volta in Italia fatto chiarezza sull’operato del pittore senese, in contemporanea a diversi restauri già iniziati in occasione di Siena capitale della cultura nel 2015. Tra questi il restauro della lunetta con Eva distesa ha rivelato un disegno preparatorio con una vergine in atteggiamento troppo ardito rispetto alla canonica immagine della cristianità.
2 La botanica in Dante venne messa in luce da Roberto De Visiani che fu prefetto dell’Orto botanico di Padova nella seconda metà dell’Ottocento, Accenni alle scienze botaniche nella Divina Commedia, Tip. Cellini, Firenze 1865, pag. 7.
3 Fichi. Storia, economia, tradizioni. Philobiblon Edizioni, Ventimiglia 2016.