Un evento nuovo, un’emergenza imprevista, uno spostamento dal comfort quotidiano come quello che stiamo vivendo in questo periodo, determinano un’altalena di stati interiori distonici caratterizzati da incertezza, ansia, paranoia, una percezione di vulnerabilità, di precarietà che spaventa.

La paura del cambiamento è la radice di tutte le paure, compresa quella della morte che rappresenta un cambiamento di stato determinato dalle credenze soggettive, di conseguenza l’uomo che non ha voluto prendere coscienza di Sé, ma ha affidato la sua individualità al sonno individuale e collettivo, vivendo come un dormiente scisso dalla sua realtà interiore, costretto tra le pareti della solitudine e il tempo liberato e amplificato, rischia di passare ad uno stato di veglia forzata e inconsapevole che lo spinge verso un’inspiegabile insonnia. Ma anche l’uomo che credeva di essere centrato e che immaginava di aver raggiunto un buon livello di consapevolezza, si ritrova a fare i conti con le mutazioni sociali in atto che fanno scattare quei meccanismi di difesa messi in moto dalla percezione di una minaccia.

Come reagisce la Psiche di fronte all’apertura di nuovi orizzonti e alla chiusura di realtà ormai obsolete? Partiamo dalla paura di fronte a spazi immensi e per estensione a tempi amplificati, l’Agorafobia. Si tratta della sensazione di angoscia che prova un individuo in spazi sconosciuti e ampi sia all’aperto che in una grande folla perché perde la sua capacità di controllo, etimologicamente "paura della piazza", dal greco αγορά piazza e φοβία paura. Tale fobia lo spinge alla fuga immediata verso un luogo sicuro.

Se lego questo termine con lo stato interiore di ogni persona, posso parlare di “agorafobia della coscienza”, ossia intendo quell’atteggiamento mentale di fuggire dagli spazi aperti della coscienza inesplorata, la paura di avventurarsi in questo spazio oscuro, sconosciuto che limita nel proprio recinto colui che preferisce sostare nella materia, nella zona comfort delle false sicurezze, dell’illusione di essere unicamente la sua mente, “persona” e corpo che deriva dall’identificazione con esse. Ma è proprio questo cammino iniziatico che viene richiesto in ogni esistenza, quel percorso d’individuazione teorizzato da Jung nella sua psicologia analitica che conduce alla scoperta del Sé, la vera natura dell’uomo.

Si tratta di una vera e propria fuga dall’incontro con la materia oscura della coscienza e dai suoi contenuti: si preferisce rimanere ancorati al “locus of control” esterno attribuendo la causa dei mali fuori di sé, piuttosto che rivolgere l’attenzione verso quello interno, finendo per delegare totalmente ad altri il potere sulla vita. Questo meccanismo rende gli uomini schiavi inconsapevoli che arrivano ad amare le loro catene e i loro carcerieri.

Si può affermare che vi sia una similitudine tra questo processo di rinuncia e delega con quel meccanismo di difesa chiamato “identificazione con l’aggressore” - una forma di identificazione concettualizzata in psicoanalisi da Sandor Ferenczi - che ha origine in età infantile quando la paura dell’autorità e della forza del genitore, unita a sentimenti di ammirazione e riverenza, inibisce la reazione, addirittura la capacità di pensare, inducendo il bambino a sottomettersi alla volontà genitoriale, a indovinarne i desideri, a obbedirgli e a identificarsi con lui. Vengono inibite le reazioni di disgusto, odio e difesa, preferendo la sottomissione per la sopravvivenza. La vittima abdica rinunciando alla propria persona consegnandosi all’aggressore. A causa della paura, in questo momento storico del Coronavirus, del futuro sia sociale che economico, le persone “fuggitive”, si affidano ciecamente a chi detiene il potere e seguono alla lettera le sue prescrizioni, convinte di essere protette e quindi di sopravvivere, cedendo più o meno inconsapevolmente la loro libertà.

D’altra parte, chi detiene il potere aggancia sempre più fortemente tale paura inducendo le folle ad affidarsi, manipolandole per i suoi scopi leciti e illeciti.

Eppure, se ogni uomo ha una missione in questa vita, ovvero l’evoluzione dello spirito e quindi della coscienza, affinché si realizzi innanzitutto è necessario un atto di volontà del soggetto che permette l’acquisizione della conoscenza attraverso l’esperienza che coinvolge anche il corpo e l’anima. L’esplorazione della realtà che ci consente di ampliare i nostri saperi avviene proprio attraverso la coscienza, una sorta di Direttore dei lavori della nostra evoluzione.

Quando la goccia (intelligenza individuale) si stacca dall’oceano (logos, somma intelligenza) è cosciente di essere viva ed eterna ma non è cosciente di essere essa stessa l’oceano poiché non conosce l’intero oceano. Per giungere all’Io Sono l’Oceano deve conoscere e fare esperienza, saturarsi di questa per ritornare all’Uno.

Il maestro Gesù parlava dei “poveri di spirito” ossia di spirito privo di evoluzione, proprio per indicare lo scopo dell’essere umano ossia l’evoluzione dello Spirito: esso proietta due nature, coscienza e materia, la prima più sottile dell’altra e che rappresenta la vibrazione soggettiva.

Possiamo, quindi, ammettere che ogni uomo possieda una vibrazione legata al proprio stato di coscienza. Quanto più esso è evoluto, maggiore è questa sua vibrazione. Se, invece, nella coscienza sono presenti forme limitanti, generate dalla mente, dal piccolo Io identificato con la materia del suo corpo e dei suoi pensieri, questa vibrazione si abbassa, aprendo un varco alle energie disarmoniche e ai pensieri oscuri che compromettono anche il sistema immunitario.

Le neuroscienze sono state per lungo tempo impegnate a cercare il substrato anatomico della coscienza e lo ritengono localizzato nel cervello, ma questo paradigma è ormai obsoleto. Andando indietro nei millenni ci vengono in aiuto le conoscenze vediche, secondo i Veda - (conoscenza universale) una raccolta di antichi testi sacri dei popoli Arii dell’India- la coscienza esiste al di fuori dei limiti fisici, quindi è non locale. I Veda sono “nitya” – eterni e “apaurusheya” ovvero non creati, hanno cioè un’origine divina e rappresentano una trascrizione sequenziale della natura nel suo stato immanifesto.

In queste scritture viene espressa la Shruti, la vibrazione dell’intelligenza in forma sonora generata in modo autoreferenziale dalla coscienza, la conoscenza udita dall’inizio dei tempi e trasmessa oralmente ai brahmani: in principio fu il verbo, la vibrazione, il suono.

Sembra proprio che la fisica quantistica possa spiegare la fondatezza delle conoscenze vediche. Infatti, l’osservatore creerebbe il collasso d’onda in una determinata direzione modificando la realtà, così come accade nella relazione terapeutica quando vengono osservati i contenuti psichici emersi durante la terapia da entrambi gli attori, terapeuta e paziente, modificandoli. E secondo questa teoria la coscienza umana avrebbe la capacità di provocare eventi, di anticipare e modificare eventi futuri, di creare nuove realtà ed esisterebbe un collegamento tra le coscienze individuali.

Il pensiero crea nel bene e nel male anche nella nostra inconsapevolezza, ogni pensiero si riflette nel mondo, collassa nella materia, ogni uomo ha la responsabilità di ciò che accade, nessuno escluso. Allora torniamo alla scelta descritta prima: intraprendere il cammino interiore verso il Sé che conosce tutto e diventare creatore consapevole della realtà individuale e collettiva o rimanere nell’agorafobia della coscienza. La conoscenza di sé stessi rende liberi dalle catene della società, delle credenze imposte e interrompe il ciclo del Samsara, la ripetizione di schemi autosabotanti, la coazione a ripetere descritta da Freud che conduce alla frustrazione e all’infelicità, come criceti che ruotano incessantemente nella ruota.

Concludo citando il grande maestro Ramana Maharshi che suggerisce di uscire dal bozzolo dell’inconsapevolezza.

Ognuno di noi deve indagare in sé per scoprire Chi davvero siamo.