''Del senno di poi ne sono piene le fosse'', fa dire Alessandro Manzoni a don Abbondio ne I Promessi Sposi. E mai, come in queste frenetiche settimane, dove la paura del contagio assedia l'Italia, che deve fare i conti con migliaia di morti, questo proverbio, che don Lisander affidò al sacerdote entrato nella storia della letteratura non certo per il coraggio, torna d'attualità. Il perché è semplice e sta nel fatto che tutti, indistintamente, al di là del cursus honorum che si portano dietro, si sentono abilitati a dire la loro.

A dire la loro anche davanti alla tragicità del periodo, quando forse prudenza ed equilibrio consiglierebbero di tenere la bocca chiusa. Non è così ed allora l'Italia, dopo essere stata terra di santi, poeti e navigatori, ora lo è anche di virologi, di infettivologi, di epidemiologi.

Ora, mi si consenta l'arditezza delle parole, un conto è se a parlare è un tizio qualunque, che dà fiato alla pancia e non ad altro, un altro è se a parlare sono personaggi che devono la loro (presunta) notorietà a comparsate in televisione, dove incarnano il lato peggiore dell'italianità. E soprattutto se a parlare sono politici che, per il loro ruolo, dovrebbero essere molto cauti e comunque parlare quando si ha padronanza della materia.

Due esempi a caso e per pura coincidenza portano lo stesso nome, Matteo.

Quello della Lega ha cambiato idea dall'alba al tramonto passando dal ''tutto aperto'' al ''tutto chiuso'', senza spiegare cosa ci sia stato alla base del mutamento del suo punto di vista. L'altro, quello di Italia Viva, auspica la riapertura delle fabbriche perché ritiene che la ripresa, difficile, dovrà essere anticipata facendo ripartire la macchina produttiva. Non entro nel merito delle proposte, anche se qualche perplessità me le procurano, ma di certo auspico che chi ha voce in politica non cada nella demagogia con troppa frequenza (leggi Salvini) o, per dire di essere ''contro'', parlare per provocare, per dire di non essere come gli altri (leggi Renzi).

Ma il quesito che vorrei porre a tutti coloro che, dopo il caffè del mattino, sputano sentenze, è se hanno pensato con senso del realismo a cosa sarebbe accaduto se il presidente del Consiglio e la maggioranza avessero adottato temporalmente altri comportamenti contro il Coronavirus.

Si sta dicendo: ma quando il contagio si è manifestato a Codogno, Lodi e altri centri del Nord Italia, non si potevano sigillare uffici, scuole, negozi, case e strade come è stato fatto in Cina ed in Corea del Sud?

Certo, si poteva fare tutto, ma quanto a conoscenza del Governo all'insorgere dell'epidemia avrebbe giustificato la chiusura totale dei centri interessati?

Questa è però materia di chi sa perché ha studiato e non di chi, citando amici degli amici, ritiene di essere l'unico depositario della verità, che spesso si dimostra uno strumento per fare politica. Il complottismo è sempre dietro l'angolo e basta poco per alimentarlo. Perché quando si tratta di scienza non c'è proprietà transitiva che tenga, quindi, non può essere spacciata come verità indiscussa quella che dice che siccome a Wuhan c'è un laboratorio in cui si studiano i virus, di certo la responsabilità è umana, cioè c'è stata la manina di qualcuno che stava costruendo un supervirus e se l'è lasciato sfuggire, come se stessimo parlando di un uccellino.

Qualcuno sostiene anche oggi che si doveva avere il pugno di ferro, costruendo intorno ai centri dei primi contagi una barriera che ne impedisse il propagarsi. Se lo hanno fatto in Cina e Corea del Sud, questa la tesi dei ''sigillatori'', si poteva fare anche in Italia. Dimenticando che la sensibilità in materia di diritti delle persone è molto diverso tra Italia e i due Paesi asiatici. Vuoi per cultura e situazione politica, vuoi anche per retaggi religiosi, in Estremo Oriente, per cui quando Cesare ordina Dio si adegua.

Cerco solo di immaginare cosa sarebbe successo, quando ancora le morti non arrivavano a raffica, se Conte avesse deciso di chiudere tutto.

Proteste, appello alle libertà dell'individuo, contestazioni all'uomo forte che s'è preso i pieni poteri.

La lenta uscita dalla fase acuta del Coronavirus sembra però essere destinata ad essere alimentata da polemiche, che spesso saranno condizionate dall'estrazione politica di chi le alimenta e le finalità che egli ha. L'opposizione di centrodestra sta andando giù pesantemente, ma gli argomenti che porta a sostegno delle sue tesi sono un tantino fuori focus perché dire che servono 100, 200 o 400 miliardi di euro è bello, fa effetto e colpisce la fantasia della platea di ascoltatori. Ma se si dice: dove li prendiamo questi soldi? Le risposte sono vaghe o spesso demagogiche, come il ricorso a ''pace fiscale'' o ''pace edilizia'', che altro non sarebbe che una resa dello Stato a chi ne ha violato le leggi.

Giuseppe Conte non è (o, sarebbe meglio dire, non era) un politico, ma sta cercando di imparare e di capire che un Paese si guida, non si imbonisce.

Forse, e qui la colpa è di chi lo consiglia, avrebbe dovuto esternare non di meno, ma con argomenti meglio puntellati.