Ma ricordati sempre
che i mostri non muoiono.
Quello che muore
è la paura che t’incutono.

(Cesare Pavese)

15 marzo 2020

Siamo entrati in quarantena da sei giorni, sembrano già mesi. Osserviamo con stupore la spaventosa lentezza con cui gli altri Paesi europei prendono provvedimenti, le scuole ancora aperte, le file al supermercato, sono ancora permessi assembramenti rischiosissimi: la notizia delle manifestazioni dei Gilets Jaunes a Parigi e ancor più quella a Landerneau di un ritrovo di 3500 di adulti vestiti da Puffi mi procura un senso di profondo sconcerto. “Pufferemo il coronavirus”, ha detto uno dei partecipanti.

Forse meritiamo di estinguerci.

Le immagini di gente che altrove ancora si ammassa dentro e fuori ai bar ci provoca non più una vampata di nostalgia ma un senso di incredulità: come si può essere così folli, così incoscienti, così incredibilmente cretini da anteporre l’aperitivo alla propria incolumità?

Non ci ricordiamo che pochi giorni fa eravamo noi quelli ammassati al bar con il bicchiere in mano, a ridere e sperare e a sputacchiarci in faccia una potenziale bomba batteriologica.

Non ce lo possiamo ricordare perché da quella sera son passati due milioni di anni luce, il ricordo è talmente sbiadito che ci si chiede se non sia solo il riflesso di un sogno, la impossibile immagine di un mondo irreale di cui stiamo perdendo il ricordo, un luogo fantastico in cui potevi prendere un mezzo pubblico e raggiungere un aeroporto, con in tasca un passaporto che ti consentiva di partire per qualsiasi destinazione in qualsiasi Paese del mondo. Potevi persino prendere l’autobus sotto casa e andare alla stazione dove tramite un sistema intricato di linee ferroviarie potevi raggiungere qualunque Paese europeo.

Il passo dalla negazione del problema al panico è breve.

È stato come guardare un meteorite che non era altro che un puntino invisibile a milioni di chilometri di distanza senza che fosse chiaro se esistesse davvero e passare all’attimo successivo in cui l’impatto del meteorite con il suolo aveva cambiato completamente la vita su questo pianeta.

“Come essere in guerra” dice dal divano della propria comoda e calda casa con la dispensa piena qualcuno che di guerre non ne ha mai visto una.

I giorni passano, continuo a svegliarmi pensando di emergere da un brutto sogno e invece l’incubo inizia con il passaggio dal sogno alla realtà. Il mondo come io lo conoscevo e concepivo non esiste più.

16 marzo

Seduta sul dal divano in una comoda e calda casa con la dispensa piena.

Ci sono ventimila persone detenute nell’hotspot di Moria di cui quasi la metà sono bambini, di cui il 60% ha meno di 12 anni. Oggi una bambina afgana orfana è morta bruciata viva in questo campo finanziato dalla EU. Tra breve sarà loro detto di lavarsi le mani, mantenere la distanza interpersonale di almeno un metro, e rimanere a casa.

19 marzo

Paura.

La gente ha paura e non sa come si fa, ad aver paura. Sempre la stessa cosa, il veloce passaggio dalla negazione al panico. Questa buffonata (bellissima, creativa, catartica) di cantare dai balconi è già stata mortificata dai social media: poteva essere una occasione, un buon placebo, prima che diventasse uno spettacolo da baraccone.

Bisogna prendersi il tempo per aver paura, la paura non la si può scacciare ma si può cercare di conoscerla. È come per qualsiasi altra emozione fuori dal nostro controllo: combatterla non serve a nulla, negarla è inutile. È un’onda da sei metri, puoi cercare di starci sopra invece che sotto, e sperare che la tavola da surf su cui stai in equilibrio precario regga. L’alternativa è venirne sommersi. Tanto vale tentare.

23 marzo

Il tempo si è dissolto, lo scandire dei giorni delle ore e dei minuti è diventato informe, una marmellata. Non so che giorno è, non so da quando il mondo si è trasformato in questa poltiglia appiccicosa.

Posso uscire, ma esclusivamente portando con me una dichiarazione che attesti che un comprovato motivo relativo a una situazione di necessità mi ha obbligata a lasciare il posto dove sono reclusa.

Devo firmare da me il mio ordine di scarcerazione, consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale: la marmellata in cui improvvisamente mi sono trovata a vivere sembra un racconto di Ray Bradbury.

Sempre dal mio punto di vista, dal divano di una comoda e calda casa con la dispensa piena.

Chi è arrivato qui dalla Siria o dall’Afghanistan con i piedi disfatti di piaghe aperte ed il corpo ancora livido dalle percosse della polizia croata non ha alternativa se non quella di dormire al gelo per strada, e non ha più accesso neppure ad un letto di fortuna saltuario ed una doccia. Le regole anti assembramento hanno chiuso le poche strutture che distribuivano pasti. I volontari che si fanno carico di ciò che le istituzioni non stanno facendo invece di venire accolti con il tappeto rosso e dei colpevoli ringraziamenti vengono trattati come dei nemici della nazione, dell’ordine pubblico.

Non è Fahrenheit 451, sembra più Mein Kampf.

Il sentire comune è quello di ritrovarsi nelle sabbie mobili, l’immobilità come unica risorsa. Non ti muovere.

Sono molte le persone che dal divano della propria comoda e calda casa con la dispensa piena lanciano messaggi di speranza, il virus è un Messia che riconduce il popolo eletto nelle giusto direzione, l’inquinamento diminuisce, i delfini giocano sui moli al posto delle navi da crociera, i pesciolini nuotano nei canali di Venezia, i genitori scoprono il valore della genitorialità, il lavoro non è più l’unica priorità, la nostra improvvisa vulnerabilità ci fa scoprire il valore delle parole solidarietà e condivisione.

Tutti sulla stessa barca, ricchi e poveri, il denaro non conta, scopriamo l’eguaglianza sociale.

La vulnerabilità ci ha insegnato la pietà.

Mi piacerebbe pensarlo, vorrei crederlo, ma continuo a leggere testimonianze strazianti di gente comune giunta al limite della propria capacità di affrontare la difficoltà e il dolore di essere privati della palestra e dell’aperitivo che riversano il proprio dramma nei social media.

Dal divano della propria comoda e calda casa con la dispensa piena.

Lo stesso da cui state leggendo.