Importante famiglia di marmorari romani, i Vassalletto sono attivi dalla seconda metà del XII secolo fino alla fine del XIII e con la famiglia dei Cosmati dividono il primato di attività e celebrità tra i magistri romani. Basiletto fu il capostipite della famiglia e suo figlio, Pietro Vassalletto, realizzò il chiostro della Basilica di San Giovanni in Laterano, il più grande di Roma, tra il 1220 e il 1230. Vassalletto II, suo figlio, lo terminò entro il 1234.

Collocato alla sinistra della basilica, il chiostro Laterano rappresenta una delle opere più importanti del periodo romanico e tra le meglio riuscite di Pietro Vassalletto, di suo figlio e della bottega. Questi importanti marmorari romani sono indicati da un’iscrizione mosaicata nel settore meridionale della trabeazione del portico, ed oggetto di un dibattito critico non ancora concluso sul diverso ruolo avuto da Pietro e dal figlio nella costruzione dell’edificio. Un’apparente discontinuità nella resa decorativa e strutturale tra i diversi versanti fa attribuire a Pietro i lati più arcaici a Sud e ad Ovest, mentre al figlio sono attribuite le soluzioni più convincenti ed animate che si trovano nei lati Nord ed Est.

Scampato alle ristrutturazioni di cui furono protagonisti la basilica e gli edifici ad essa collegati nel corso dei secoli, non ultimo il rifacimento tra il 1585 ed il 1590 del complesso lateranense promosso da Sisto V che demolì i palazzi del Patriarchio, architettonicamente si pone in un momento di transizione tra la fine della tradizione romanica e lo svilupparsi degli stilemi gotici, come testimonia l’assenza nell’impianto di elementi di riuso, cioè materiali di origine classica che abbondano negli esempi di strutture romaniche conosciuti fino a quel momento.

Il chiostro lateranense è il maggiore tra i chiostri romani e i quattro bracci di 36 metri per lato configurano un cortile quadrato in asse con il muro occidentale del transetto. Il basamento uniforme è interrotto a metà dagli accessi al giardino (tranne per il lato settentrionale) ed ognuno dei quattro lati è diviso in cinque segmenti da pilastri. La scansione metrica che informa l’apparato architettonico è poi sottolineata da colonnine binate, esteticamente diverse tra loro, che dividono le arcate centrali a cui si raccordano con un pulvino modanato con fogliame. Tutte poggiano su piccole basi rialzate rettangolari, ma sono a volte attorcigliate semplici, altre attorcigliate ma decorate da mosaici policromi, oppure ottagonali lisce o con specchiature a mosaico o ancora strigilate. A questa varietà si aggiunge quella dei capitelli, d’ordine corinzio e composito riletto dal linguaggio visivo medievale, così tra le volute classiche o tra il cespo di acanto si muove un mondo di personaggi ed animali fantasiosi. Ma l’elemento più importante della decorazione è rappresentato dalla trabeazione esterna, impostata su più livelli decorati in stile cosmatesco: sul primo dei pennacchi dove si raccordano tra loro le arcate, troviamo motivi a volte zoomorfi, vegetali o maschere umane, mentre al di sopra scorre una fascia mosaicata con tessere rosse, nere ed oro tra due cornici marmoree modanate. Più in alto è poggiata una fascia decorata con una voluta continua realizzata in marmo e mosaico in cui si alternano tarsie marmoree quadrate e circolari, alcune arricchite da motivi a losanga. Al di sopra di una cornice a mensole fogliate con bordura, sempre a mosaico cosmatesco, si poggia l’ultima fascia con un getto a racemi di ascendenza classica ravvivato da animali, cantari ed altri motivi fantastici che si alternano con teste feline e maschere umane. Tra le decorazioni figurate spiccano le coppie di leoni e sfingi poste ai lati delle aperture verso il giardino come muti guardiani, ed i bassorilievi che occupano gli spicchi delle arcatelle, tra cui il Peccato originale e vari episodi favolistici e mitologici che rappresentano l’eterna lotta tra Bene e Male.

Il Museo

Sulle pareti del chiostro e lungo i corridoi coperti da volte poggianti su colonne di granito con capitelli ionici e divisi in campate, sono conservate iscrizioni e frammenti scultorei, la maggior parte inquadrabili in un periodo cronologico che abbraccia il I sec. d.C. fino al medioevo inoltrato, provenienti dall’interno della chiesa e da vari scavi. La sistemazione di questi reperti risale al 1939, durante il pontificato di Pio XII (1939-1958) ed è stata rielaborata nel 1970.

I numerosi reperti sono disposti secondo un preciso criterio museale, qui citeremo solo alcuni episodi che si distinguono per il loro valore storico-artistico.

Il centro del chiostro ospita una vera di pozzo in marmo bianco, integra anche se con segni di consunzione ed una lunga fenditura. La vera è sempre stata considerata come uno degli elementi originali del chiostro più antico, certa è la datazione, effettuata grazie ai motivi a edicola del registro superiore, che la fanno rientrare con sicurezza nel sec. IX.

L’opera più famosa ospitata nel chiostro è il monumento funebre di Riccardo Annibaldi realizzato da Arnolfo di Cambio e costituito dalla statua giacente del defunto e dal fregio con la celebrazione della messa.

Lungo le pareti troviamo la lastra tombale di Lorenzo Egidio dei Corvini, vescovo di Spoleto (+1403), con gli stemmi ai lati del cuscino composti da due aquile e, alla sua sinistra, lastra tombale del prelato Domenico de’ Varnerani (+1418). Inoltre, sono murati e poggiati per terra vari frammenti dell’altare e del ciborio della Maddalena in origine all’interno della chiesa: l’altare della Maddalena con il relativo ciborio venne consacrato nel 1297 dal cardinale Gerardo Bianchi da Parma e fu demolito nel corso dei lavori seicenteschi.

Nella seconda campata del corridoio ovest troviamo vari elementi medievali, tra cui un frammento di pluteo decorato con nastri a tre bande annodati in cerchi intrecciati tra loro, risalente al secondo quarto del IX secolo. Dominano la parete due lastre tombali in cui le figure sono fortemente consunte, ma in entrambe si possono distinguere gli abiti sacerdotali mentre in una si può ancora ammirare la bellezza del bordo stiacciato a racemi. Sulla parasta lo stemma con la colomba e la stella a sette punte.

Al centro della successiva campata quattro colonnine sorreggono una grande lastra di marmo orizzontate, ritenuta nel medioevo la misura dell’altezza di Cristo, mentre sul muro è inserita una grossa lastra di porfido forse proveniente dagli amboni della basilica medievale con una cornice di marmo. Al lato, lastra tombale del nobile Pietro Paolo Gardelli (+1514) che stringe al petto un libro ed ha ai piedi lo stemma.

È musealizzata, inoltre, la consunta lastra tombale di Guglielmo Golt (+1384), militare inglese ritratto con spada, pugnale e cane e, tra vari frammenti altomedievali, la lastra tombale di Elisabetta Orsini, del XV secolo.

Segue un frammento di lapide sepolcrale appartenente alla tomba di uno dei più critici innovatori dell’umanesimo: Lorenzo Valla (+1457). Quello che ne rimane è un volto frammentario contenuto da una finta nicchia, poggiato su un corposo cuscino e su due libri, ad indicare la sua opera intellettuale.

Interessante la lastra tombale del banchiere Vincenzo Pivono dei Millini, di origine mantovana (+1580), in cui spicca lo stemma con angelo reggitromba e l’iscrizione marmorea latina.

La porta bronzea a due battenti rappresenta, insieme alla gemella collocata nel Battistero Lateranense, uno dei pochi resti del Patriarchio sopravvissuti alla distruzione di Sisto V. Eseguita nel 1196 da Pietro e Umberto da Piacenza per Cencio Savelli, poi Onorio III (1216-1227), doveva essere posta nel corridoio che dalla scala del Patriarchio conduceva al Triclinio Leoniano.

A coronamento del cippo funerario della famiglia Dati (1500) troviamo un vaso marmoreo, un tempo posto come apice di una fontana. Decorano questo vaso elementi di derivazione classica come i mascheroni maschili e femminili a rilievo, circondati da un fregio vegetale reso con una tensione lineare che lo pone all’interno della cultura gotica di ascendenza federiciana, nelle date tra il 1240 e il 1250. Ai lati vari frammenti altomedievali tra cui un arco con treccia, croce, rosetta, uva, cerchio strigilato, albero, il tutto racchiuso da riccioli; su una mensola troviamo una colomba con il ramoscello d’ulivo proveniente dagli stucchi seicenteschi dell’interno della chiesa. Nella seconda campata incontriamo alcune tra le opere più tarde presenti nel chiostro, due statue disposte in nicchie datate 1492 raffiguranti i SS. Giovanni Battista ed Evangelista, provenienti da un altare smantellato nel Seicento da Francesco Borromini, dedicato a San Giacomo e ai SS. Giovanni Battista ed Evangelista probabilmente posto nel transetto ed attribuite tradizionalmente ad Andrea Bregno.

Al loro fianco una grande lastra in porfido, circondata da una decorazione musiva cosmatesca; una fronte di sarcofago strigilato con resti di iscrizione latina; mentre sul pavimento è poggiato un frammento di una lunga lastra con decorazione ad archetti.

Nella campata successiva troviamo statue all’interno di nicchie: San Luca, San Marco, San Lorenzo, ognuna con i propri attributi. Nella parte bassa del muro, tra le sculture, un sarcofago strigilato frammentano con scena matrimoniale alla presenza di Giunone Pronuba ed Eros. Nella sesta campata la statua di un vescovo barbuto con mitra e pastorale identificato dall’iscrizione come San Simpliciano, e quella di San Luca, in una nicchia, che tiene aperto il libro con incisi i versetti 26 e 27 del suo Vangelo, affiancano un’altra grande lastra di porfido incorniciata da decorazione musiva cosmatesca.

Seguono un tamburo marmoreo cilindrico mutilo per un quarto della parte superiore, rinvenuto nel 1955 presso il muro meridionale del transetto della basilica, un frammento di epigrafe greca, la fronte di sarcofago strigilato con clipeo centrale con le immagini di due coniugi datato IV sec. ed un rilievo marmoreo romano con serto di fiori, frutta e uccelli.

Troviamo infine un affresco del tardo XIII secolo, purtroppo ridipinto pesantemente nel XVI secolo, proveniente dalla cappella del SS. Sacramento del Patriarchio, in cui la Vergine è posta all’interno di una finta edicola sormontata da due teste di puttini alati.