Cosa c’è, di più ‘identitario’, della nostra faccia? Anche se ad essere davvero unico è il nostro DNA - o, al limite, la nostra impronta digitale - è il viso che ci rende immediatamente riconoscibili e identificabili. É la nostra identità visiva.

Ed è esattamente per questo, che è assai complesso ciò che si sta sviluppando intorno alle nostre facce.

La video-sorveglianza è da decenni uno strumento largamente presente nei nostri centri abitati; ma per lunghissimo tempo, è stata caratterizzata da un basso livello tecnologico (video in b/n di bassa qualità, in realtà prodotti da una successione di scatti fotografici ad intervallo di tempo, registrati su supporti deperibili - VHS - su cui spesso venivano periodicamente sovrascritte le nuove registrazioni). Negli ultimi anni, però, l’ossessione per la ‘sicurezza’ ha prodotto un proliferare degli impianti, mentre l’avvento delle tecnologie digitali ha reso gli strumenti di ultima generazione assai più flessibile ed efficaci (migliore qualità video, possibilità di registrare grandi quantità di dati, possibilità di controllo da remoto, etc).

In un certo senso, è come se l’idea del panopticon di Jeremy Bentham si fosse realizzata, su scala globale ed in forma rovesciata. Se, infatti, in quel caso un osservatore posto in posizione centrale poteva sorvegliare decine di persone disposte a raggiera intorno a lui, oggi è il singolo ad essere circondato da ‘occhi’ scrutatori, che lo seguono ovunque vada.

Ma è con la nascita e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI) che si determina un salto in avanti.

La capacità di calcolo, autonomo ed ‘intelligente’, dell’AI, consente oggi di procedere in una triplice direzione, ciascuna delle quali intimamente connessa alla ‘identità facciale’.

La prima, ed anche la più discussa, è quella del ‘facial recognition’, cioè la capacità di un sistema di sorveglianza basato sull’AI, di riconoscere un volto ed associarlo ad una identità (precedentemente ‘schedata’ a registrata in un database), anche in mezzo ad una grande folla, ed in tempo reale. Ovviamente, il primo utilizzo di questa tecnologia è anche il ‘cavallo di Troia’ attraverso il quale si cerca di introdurne l’uso: la sorveglianza dei criminali. Ma già in questo criterio si annida il passo successivo, cioè il video-controllo degli oppositori politici.

E, potenzialmente, la tecnologia potrà essere usata per registrare i comportamenti di tutti. Non si tratta di una ipotesi peregrina, in quanto già oggi, in Cina, viene utilizzata per implementare il Sistema di Credito Sociale (SCS, in cinese 社会信用体系 shèhuì xìnyòng tǐxì), un sistema di controllo basato sulla ‘premialità’ dei comportamenti; il cittadino che ha un comportamento ‘virtuoso’, verrà premiato con dei punti, mentre quello ‘disonesto’ se li vedrà decurtare.

La seconda direzione della ricerca ed applicazione ‘facciale’ dell’AI, è quella della generazione di volti umani, perfettamente ‘reali’ ma del tutto inesistenti. . Esistono già strumenti alla portata di chiunque, in grado di generarli. Sia che si tratti di software messi a disposizione di sviluppatori, sia che si tratti di generatori online, in grado di creare molteplici volti liberamente scaricabili ed utilizzabili.

Questo tipo di applicazione dell’AI, e la sua estrema semplicità di utilizzo, aprono innumerevoli prospettive. È, ad esempio, già stato verificato come le società che lavorano nel settore del ‘social influence’, quando utilizzano - in modo illegale - falsi profili per generare traffico e/o orientare il pubblico, fanno ricorso a queste fake-faces per registrare gli account, e renderli così più credibili.

Più in generale, queste finte identità facciali possono essere utilizzate in una infinità di modi fraudolenti. O, per esempio, per ingannare i sistemi di video-sorveglianza. Basterà infatti prodursi una maschera con quelle fattezze, ed indossarla magari sotto ad un cappello o un cappuccio. Chi dispone di pochi mezzi, può magari stamparsela su carta, o su stoffa. Chi ha accesso ad una tecnologia un po’ più evoluta, potrà stamparsela in 3D.

La terza direzione è quella della creazione di identità virtuali, di ‘esseri’ (esclusivamente) digitali.

Recentemente Samsung ha lanciato Neon, un progetto di ‘vita artificiale’ che, utilizzando la tecnologia proprietaria ‘Core R3’, può “creare autonomamente nuove espressioni, nuovi movimenti, nuovi dialoghi completamente diversi dai dati acquisiti all’inizio”.

Anche qui, le possibilità applicative sono innumerevoli, dalla sostituzione di figure professionali (annunciatori, giornalisti televisivi...), alla creazione di avatar di persone reali, a quella di false identità da utilizzare, ad esempio, per video chiamate, registrazione di video fake, etc.

Fondamentalmente, quindi, le diverse applicazioni dell’AI alla identità facciale, sono in prospettiva destinate a rivoluzionare radicalmente la nostra percezione di identità associata ad un volto. Non avremo più la certezza che ciò che vediamo sia realmente chi pensavamo di associare a quelle fattezze. Non avremo più nemmeno la certezza che si tratti di un essere umano reale.

Il che, ovviamente, avrà dei riflessi speculari, sulla percezione di noi stessi. Se quando parlo via Skype con il responsabile del personale dell’azienda XYZ, non ho la certezza che sia davvero lui (o che sia davvero ‘qualcuno’...), probabilmente lo stesso pensiero sta attraversando la mente del mio interlocutore: è davvero il sig. Tizio, che ho davanti, oppure il suo avatar virtuale?

Insomma l’AI porterà ad una profonda modifica dei paradigmi cognitivi con cui abbiamo sempre guardato all’immagine umana, mediata da dispositivi di trasmissione - siano essi il display del nostro smartphone, lo schermo del computer o del televisore, o quello del cinema. Mettendo in discussione la nostra idea di identità, basata sul riconoscimento facciale, metterà in discussione la nostra idea di realtà - in modo molto più ‘forte’ di quanto non abbia sinora fatto la consapevolezza di essere esposti ad innumerevoli falsificazioni.

Ma forse, proprio per questo, ci condurrà a rivalutare la ‘connessione’ fisica, il vedersi ed il toccarsi, come condizione necessaria del reale - lasciando alla dimensione virtuale il suo giusto ruolo complementare.