Beato Angelico, vittima probabilmente di una popolarità secolare con le riproduzioni di sapore oleografico di molte sue opere, è stato per molto tempo trascurato dalla critica e considerato un mistico fuori del Rinascimento o un ritardatario. Solo negli ultimi anni ha iniziato ad essere compreso e valorizzato come una figura assoluta di poeta: gli artisti, infatti, qualunque sia la modalità della loro espressione, sono dei poeti, cioè dei creatori di bellezza.

Guidolino di Pietro, diventato domenicano con il nome di Fra' Giovanni da Fiesole e conosciuto col soprannome di Beato Angelico, è infatti artista di straordinaria grandezza.

Nei decenni del primo Quattrocento fiorentino dove sorge il Rinascimento con personalità come Masaccio, Brunelleschi, Donatello, Pollaiolo, Filippo Lippi, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, solo per citarne alcuni, il frate del Mugello diffonde una sua peculiare visione della bellezza che potremmo definire di "grande unità". Cioè quell'armonia tra uomini, cose e natura che il primo Rinascimento, ancora immerso nel ricordo del Tardogotico ed aperto verso nuove frontiere soprattutto spirituali, cerca e trova con altrettanti linguaggi e voci differenti. La sua, di Frate Giovanni, è quella certamente di una visione centrale dell'uomo ben misurabile e reale di persone e natura, ma ricca di una spiritualità della luce che a tutto dà significato e tutto unifica.

Essa domina dall'alto una visione dove le cose del mondo sono filtrate attraverso il lume di un intelletto superiore, chiaro e amante, che è quello divino, motore della storia. Un intelletto incarnato in Gesù Cristo, soggetto centrale delle sue opere, narrate ad edificazione religiosa dei credenti e dei confratelli. Ma impregnate di una bellezza tale da diventare per chiunque oggetto di fascino lungo i secoli.

Il suo trasfigurare la realtà, interpretandola con gli occhi di un teologo e di un mistico quale egli è, non è disgiunto da essa, dal senso di contemplazione della bellezza della natura, dallo sguardo sulla verità dei sentimenti umani, sulla vita reale che si svolge in città e borghi della sua Toscana.

La poesia angelichiana nasce infatti da una condivisione di intenti e di comportamenti molto intensa, tanto da far pensare che nella sua comunità di frati "riformati" si sia fatta una esperienza del divino di eccezionale altezza, pur apparendo all'esterno semplice, naturale. Il risultato a livello artistico è appunto un clima di luminosità particolare nei suoi dipinti, un vedere ciò che sta oltre le apparenze del quotidiano ed i fatti della storia. Frate Giovanni sa cogliere l'azione provvidenziale dietro e sotto le vicende umane, nella rappresentazione dei fatti evangelici. Cioè, della vita.

Egli contempla la Verità che è Bellezza assoluta, unica. Su questo livello, nella storia dell'arte si trovano altri autori, da Duccio a Michelangelo, da El Greco a Rembrandt, ciascuno con lo specifico linguaggio e la personale intuizione. Tuttavia, la differenza fra la loro espressione, per quanto alta, è quella angelichiana è notevole. Questi artisti esprimono la loro individuale interpretazione della storia, del mondo, della bellezza stessa, a cui giungono anche con grande sofferenza. Frate Giovanni esprime certo la propria personalità, ma essa è frutto di una collettività, di un "corpo" in cui questa personalità si è plasmata, rafforzata, illuminata. E ciò l'ha resa quanto mai trasparente e sicura.

In questo modo Angelico lega la religiosità tardomedievale in cui si forma pure come pittore e dapprima miniatore all'umanesimo rinascimentale che sta sorgendo, dando dignità e corporeità alle figure, vere donne e veri uomini in cui brilla un’anima limpidissima, spazi alla natura ed agli ambienti, invadendoli di un lume soprannaturale primaverile che conosce i drammi, ma sa elevarli in una dimensione di speranza. Angelico svela costantemente l'anima, delle persone e delle cose con grande delicatezza.

Nella sua pittura il dolore esiste ma è bagnato dal conforto, dalla fiducia: quasi non esiste colpa, perché lo sguardo di Giovanni è immacolato. Così da cogliere tenerezze di affetti materni e filiali, dolcezze di colline e di giardini, assemblee che sono cori di gloria o scenografie di teatro sacro. Nulla di sdolcinato o troppo sentimentale o troppo esagerato. Botticelli "religioso" lo diventa a volte come pure il Perugino, mentre Raffaello tenderà negli anni fin troppo ad umanizzare il divino. A frate Giovanni sembrerà avvicinarsi più un Giovanni Bellini col proprio lirismo veneziano.

Angelico non perde mai l'equilibrio, è guidato da una ragione amorosa che ordina tutto in armonia. Perciò la sua arte non è complessa, ma diretta, semplice, nel senso di perfetta unità tra ispirazione, contenuto e stile, conseguenze di una maturità umana e spirituale straordinaria e della tranquillità che egli vive in convento. Perciò in lui tutto è preciso, limpido. Egli conosce la misura delle cose, così tipica del primo rinascimento fiorentino. Non quella metafisica di un Piero della Francesca o archeologica di un Mantegna, ma quella mistica di chi contempla "cieli e terre nuove" e le comunica ai propri amici e a tutti con un linguaggio universale che sa essere liturgico e prezioso nelle opere pubbliche - così da trasportare i fedeli dentro la visione celeste - e intimo, privato, nelle celle del suo convento, dove contempla insieme ai frati il mistero che si fa carne, in concordanza con la religiosità del suo tempo.

Beato Angelico (1395 ca. - 1455), nasce presso Vicchio del Mugello (FI), con il nome di Guidolino di Pietro. Nel 1420 entra nel convento domenicano di Fiesole con il nome di Fra’ Giovanni da Fiesole, insieme al fratello Benedetto, un amanuense.

Nel 1438 inizia il ciclo di affreschi nel convento di San Marco a Firenze, oltre alla pala per la chiesa; nel convento l’Angelico affresca molti ambienti e celle, in questo vasto ciclo l’artista diffonde una sua peculiare visione spirituale e sacra della bellezza, anche con l’uso personale della luce.

Nella produzione dell’artista si trovano alcuni percorsi tematici che riportiamo in sintesi1.

I Compianti. Si vedano i due Compianti conservati nel Museo di San Marco a Firenze: Deposizione o compianto su Cristo deposto (1436-1441) e Deposizione dalla Croce (1446), entrambi a tempera su tavola, nel primo Cristo è già sul sudario, nell’altro appena staccato dalla croce.

Le Annunciazioni. Il soggetto forse più amato dal pittore, si analizzino l’Annunciazione del Museo del Prado (1430-1432), quella del Museo Diocesano di Cortona (1433-1434, tempera su tavola), quella del Museo di San Marco (1442) e quello alla cella numero 3 sempre del Museo di San Marco (1442). In tutte è presente l’uso della prospettiva e dei dettagli accentuati delle tappezzerie e dei prati, che denunciano la precedente esperienza miniaturistica del pittore.

Le contemplazioni di Maria. Nel convento domenicano di San Marco l’Angelico affresca varie celle, la numero 5 con la Natività; la numero 39 con la Processione dei Magi; la numero 6 con la Trasfigurazione; la numero 10 con la Presentazione al tempio; la numero 7 con Cristo deriso; la 26 con Cristo uscente dal sepolcro. Da notare che in tutte queste opere c’è la presenza della Vergine.

Crocifissioni e Resurrezioni. Nelle opere che sviluppano questo tema iconografico l’Angelico vuole mostrare il rapporto dell’uomo e del cristiano con Gesù. Per le Crocifissioni si vedano le due in San Marco, quella nel chiostro con la presenza di San Domenico e quella grandissima (550x950 cm) nella sala capitolare. Per il tema della Resurrezione si vedano Le Marie al Sepolcro nella cella numero 8 e Noli me tangere nella cella numero uno del corridoio Est, dove Cristo incontra la Maddalena dopo la scoperta del sepolcro vuoto, opere che vogliono trasmettere un messaggio di fede e speranza ai frati.

Glorie e Incoronazioni. Maria è la guida spirituale dell’opera del Maestro. Nell’Incoronazione della Vergine, oggi al Louvre, ma dipinta per la chiesa di San Domenico a Fiesole, Maria è una Regina-Madre inginocchiata ai piedi del trono gotico rivestito di tessuti preziosi su cui siede il Figlio-Re. Nell’Incoronazione della Vergine oggi alla Galleria degli Uffizi ma realizzata per la chiesa fiorentina di Sant’Egidio l’artista ci fa entrare nel regno celeste, nel Paradiso, con la presenza di un concerto angelico, cantante, suonante e danzante.

La natura risorta. L’artista contempla la natura con sguardo ammirato apparendogli sotto la luce del primo istante della creazione. Si veda Orazione nell’Orto, nell’Armadio degli Argenti, dove l’Angelico entra nel giardino al crepuscolo, con le palme, i cipressi e un sentiero tortuoso che costeggia l’orto. La presenza dei peschi in fiore, dei bianchi fiori di pero, sono l’immagine della vita che sempre rifiorisce, sono la sensibilità e la poetica del pittore verso tutto ciò che esiste.

Storia cristiana. Papa Nicola V Parentuccelli stimava l’artista sia come pittore sia come religioso esemplare, e per questo invita l’Angelico a Roma per fargli affrescare (1447-1448) la propria cappella privata in Vaticano con le Storie di Santo Stefano e San Lorenzo (la Cappella Niccolina).

Sacre conversazioni. Le pale d’altare realizzate dall’Angelico non sono paragonabili a quelle di altri artisti suoi contemporanei, soprattutto per il diverso significato che attribuisce alla luce. Si vedano il Polittico di Perugia o il Trittico di Cortona. A San Marco il Tabernacolo dei Linaioli (commercianti di biancheria in lino, tempera su tavola, 1433-1435) o la più tarda Madonna delle Ombre (affresco, 1450).

Dopo un’esistenza serena vissuta nella sua comunità e testimoniata dall’appellativo di “Beato” datogli già al suo tempo per la coerenza che caratterizzava le sue scelte di vita oltre che per lo splendore della sua arte, l’Angelico muore il 18 febbraio 1455; è sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

“Patrono degli artisti” è ufficialmente dichiarato “Beato” da Giovanni Paolo II nel 1984 che, nella Lettera agli artisti del 1999, lo indicherà come “modello eloquente di una contemplazione estetica che si sublima nella fede”.

1 Per coloro che volessero approfondire si consiglia lo straordinario libro appena pubblicato di Mario Dal Bello, La rivoluzione della luce. Beato Angelico, dei Merangoli Editrice, 2019.