A 36 km da Banjarmasin si trova Martapura. È la città dei diamanti, il suo nome evoca immagini di pietre luccicanti, pozzi fangosi e tesori nascosti. È da qui che provengono alcune delle più grosse gemme brillanti mai viste sulla terra, è dalle vicine miniere di Cempaka (11 km) che partono quotidianamente le pietre preziose, dure e semi-dure, pronte per essere ripulite e sfaccettate nei numerosi laboratori cittadini. Diffusi e apprezzati già durante il XIV secolo, ai tempi dell’influenza indo-giavanese, i diamanti di Martapura venivano trovati casualmente nella miriade di fiumi e torrenti che solcano le valli melmose del territorio e considerati come un dono degli dei. La religione in quell’epoca era prevalentemente animista, molto più dei tempi odierni si rispettavano le divinità della natura e già che i tesori della terra erano considerati proprietà divina, nessuno osava impossessarsene magari cercando di forzare la ‘buona sorte’. Anche i malesi, i musulmani e i cinesi approdati successivamente lungo le coste del Borneo meridionale accettarono con naturalezza queste credenze ringraziando il proprio dio.

Solo verso la fine del XVI secolo si cominciarono a vedere i primi cambiamenti, inizialmente la ricerca rappresentava solo l’ultima alternativa al raccolto del pepe, del riso e alla pesca, poi però in pochi anni l’atmosfera si trasformò in quella tipica e frenetica della ‘caccia al tesoro’. Si scavarono buche sempre più profonde e i fiumi limpidi presero quell’incancellabile color caffelatte che ancora oggi li distingue. Molti disperati iniziarono l’esodo verso le presunte ricchezze soli o con le famiglie, migliaia di persone che in seguito formeranno le prime cooperative, kongsie. I campi diamantiferi non avevano padrone e bastava una pala per scoprire l’ambito galuh, il diamante grezzo normalmente definito “La Signora” o anche “La Principessa” e correre a Martapura per la vendita. Attualmente i cercatori superano le 30.000 unità e nei grandi pozzi verticali, sostenuti da pali e graticci, lavora ininterrottamente una lunga catena umana. Gli uomini si immergono fino a 50 metri di profondità, le donne, tra fango e buche, trasportano la terra fino al corso d’acqua più vicino, la setacciano con veloci movimenti circolari e portano alla luce le pietre. Australiani, americani e cinesi si sono spartiti la fetta più grossa e ricca ma le loro miniere sono all’interno e ben sorvegliate, mentre quelle più piccole o a gestione semi-familiare sono ancora visitabili. Martapura, rimane il centro di smistamento delle pietre, spesso esportate per uso industriale, ed è qui che si trovano i numerosi laboratori in cui il taglio dei diamanti viene tuttora praticato con metodi antichissimi e una perizia tipicamente indonesiana. Questo prezioso minerale ha il merito di avere dato il nome al kalimantan che significa ‘fiume di diamanti’ (kali-me-intan), anche se sul mercato internazionale la tonalità lievemente giallastra di queste pietre le rende meno preziose di quelle estratte nel Sud Africa.

Oltre alle miniere vale la pena visitare la bella Masjid Jami, una grande e antica moschea, molto appariscente per le sue dimensioni e per la posizione strategica, con la cupola color blu affacciata sulla piazza centrale di Martapura. La sua costruzione risale alla metà del XVII secolo, ma la cupola blu, che rese famosa la città di Martapura, fu voluta e fatta realizzare in seguito dallo sceicco Muhammad Arsyad al-Banjari di ritorno dalla sua lunga permanenza alla Mecca. Il disegno architettonico tradizionale è quindi arricchito dalla singolare presenza di due cupole, mentre il suo interno è in gran parte rivestito da iscrizioni coraniche scolpite su pannelli di legno pregiato. Dopo tanto mercanteggiare tra pietre e gioielli, questo luogo di preghiera può rappresentare un ottimo punto di riferimento dove rilassare per qualche attimo la propria mente e lo spirito.

Nella grande piazza di lato al terminal dei bus, al venerdì e a volte pure al martedì, si svolge il coloratissimo mercato orto-frutticolo, dove si danno convegno anche cercatori indipendenti, mediatori e commercianti di pietre dure allo stato grezzo o ancora da rifinire. Nella piazza e nelle vie limitrofe al pasar, simile a una kasbah araba dominata dalla grande moschea, numerosi negozi espongono diamanti, zaffiri e smeraldi montati su gioielli in oro e argento nell’elaborato stile Banjar, mentre sulle bancarelle si trovano ametiste e agate lavorate, topazi, turchesi, occhi di tigre, cristalli e altre pietre vendute sciolte o incastonate in anelli, collane o ciondoli porta fortuna di minor valore. Anche per chi non compra è interessante curiosare tra i banchi dove immancabili personaggi cercano di offrire ai turisti i loro “preziosi”, avvolti in cartocci contenenti robaccia sintetica priva di valore. Vanno liquidati subito con garbo e fermezza.

Non lontano, nella via principale, oltre il campo erboso in diagonale alla stazione degli autobus, si trova invece la gioielleria Kayu Tangi, Jl. Sukaramai, con annesso il noto laboratorio di taglio dov’è possibile acquistare a prezzi ragionevoli diamanti di diversa qualità (bianco, azzurro e giallo) e caratura, ma si può anche solo assistere alle operazioni di pulitura e taglio delle pietre. I metodi applicati sono ancora gli stessi di duecento anni fa e per rifinire le gemme più grandi occorre fino a un mese di lavorazione. Poco distante c’è pure la mitica Pakoeman Diamond Factory che in passato poteva noleggiare posti per centinaia di tagliatori e ancora oggi fa capo a una seria organizzazione che acquista e smercia i diamanti di Martapura nel mondo. Appena fuori città, sulla strada per Banjarmasin, trovate la Penggosokan Intan Bank Indonesia, Jl. A. Yani km 38, la fabbrica governativa di preziosi che applica prezzi fissi con tanto di garanzia.

Ovviamente è importante essere competenti in materia di pietre preziose se si vuole fare un buon acquisto, in alternativa, conviene farsi aiutare da qualcuno più esperto e possibilmente disinteressato. A Martapura l’intenditore acquista a un prezzo inferiore che altrove nella provincia. A Jakarta, a parità di qualità e caratura, i diamanti costano quasi il doppio di Martapura e il motivo risiede nel trasporto e nella lavorazione in laboratori più professionali, dove il taglio è notoriamente migliore.

La parola diamante deriva dal greco adàmas, che significa indomabile, perché fin dall’antichità ha stupito l’uomo per la sua eccezionale durezza, insensibile a qualsiasi azione abrasiva da parte di altri minerali. Il diamante è la forma cristallina del carbonio (carbonio nativo), che nella scala di durezza di Mosh equivale al termine 10; si stima però che sia fino a 150 volte più duro del corindone, l’unico minerale con una durezza 9, rendendo così evidente l’abisso che esiste tra il diamante e tutti gli altri minerali. Le piccole pietre trovate dai cercatori sono in genere pezzetti derivati dalla sfaldatura di pezzi più grandi. I cristalli a facce piane sono trasparenti, con forte lucentezza, e possono essere incolori o spesso con varie sfumature di giallo o più raramente azzurrine (anche brune, verdoline, rosate, rossastre e violette, ma non nel Borneo). Al loro interno sono visibili fratture, chiazze nebbiose o inclusi nerastri chiamati carboni. Quando le facce sono curve, la parte esterna è spesso opalescente, di colore bianco sporco simile al vetro smerigliato.

Gli antichi erano affascinati dal diamante però gli preferivano pietre colorate di maggior attrattiva estetica. Il diamante ha raggiunto la massima valorizzazione soltanto nella prima metà del Novecento grazie alla diffusione del taglio a brillante. Quello più diffuso è detto a brillante rotondo, che ne mette in risalto la sua grande lucentezza legata al riflesso della luce sulle pareti esterne e interne, in particolare sulla corona, e al suo elevato grado di rifrazione e di durezza. Nei negozi di Banjarmasin e Martapura sono presenti anche tagli ovali o a goccia, ma le forme un po’ allungate rivelano, lungo l’asse minore, scarsità di riflessi quando il lavoro non è eseguito con estrema perizia. I tagli di vecchia fattura sono contraddistinti da un contorno non circolare o quasi rettangolare (taglio Ceylon) e le proporzioni delle pietre in generale sono variabili, legate alla creatività del tagliatore. Il diamante è la gemma più importante, quella che raggiunge le quotazioni più elevate. Per la sua valutazione si seguono criteri merceologici piuttosto precisi in considerazione del peso, del colore e della purezza, poi in secondo luogo vengono valutate le proporzioni di taglio e le rifiniture. La quasi totalità dei diamanti è pressoché incolore o ha una sfumatura di giallo più o meno marcata, che ne determina il grado di deprezzamento. I bianchi privi di inclusioni (top-quality white) sono i più richiesti, ma in percentuale non sono tantissimi.

I pozzi diamantiferi, quelli più facilmente accessibili e spesso gestiti da cooperative familiari, sono nei dintorni del villaggio di Cempaka, ad appena 11 km da Martapura, nelle propaggini delle colline del Meratus. Qui i minatori, organizzati in gruppi di 10-20 persone di entrambi i sessi, entrano in profondi pozzi fangosi del diametro di 1-2 metri alla ricerca del prezioso minerale utilizzando una tecnica arcaica, mai modificata nel corso dei secoli. Scavano in verticale per una decina di metri e poi creano un tunnel orizzontale di alcuni metri.

I cesti riempiti di terra e sabbia nel sottosuolo vengono portati in superficie attraverso una catena umana e quindi trasportati al fiume per esaminarne il contenuto. Le pompe a benzina che aspirano acqua dal fondo sono l’unico supporto moderno in un paesaggio tetro dominato da melma, buchi, fossati e canali artificiali. Le valli di Cempaka hanno un aspetto quasi sinistro, con una miriade di pali che escono dalla terra, alberi senza foglie e fango dovunque. Nei pozzi e nei corsi d’acqua si cercano diamanti (berlian), ma anche zaffiri, smeraldi, agata, ametiste, granate e oro. Sui ritrovamenti, una volta pagata la percentuale al proprietario del terreno, al responsabile e al governo, al gruppo rimane in genere quasi la metà del valore complessivo che mediamente corrisponde a una manciata di dollari al giorno per persona, pochi per un lavoro tanto gramo e faticoso, ma sufficienti per tirare avanti nella speranza di portare alla luce un giorno la pietra che risolva tutti i problemi. Il ritrovamento più importante, avvenuto nel 1965 a una profondità di 12 metri, rimane il famoso Tri Sakti (‘tre volte sacro’), un diamante grezzo di quasi 167 carati. Solo dieci anni prima ne era stato trovato uno di 39 carati e nell’87 un altro di 50 carati, ma per pietre superiori ai cento carati occorre andare indietro nei secoli. In genere vengono trovate pietrine minuscole, che solo raramente raggiungono i due carati. È stato calcolato che occorre trattare almeno 20 tonnellate di roccia per ottenere un grammo di diamante.

Prima di iniziare la giornata lavorativa viene celebrato un breve rito allo scopo di scacciare gli spiriti cattivi e ingraziarsi quelli della buona sorte. Per lo stesso motivo è severamente proibito esprimersi con parole volgari od offensive. Nelle ore più calde il lavoro viene sospeso e i cercatori si rifugiano sotto i tetti di rattan dei piccoli negozi e centri di ristoro. Qui le donne intrecciano corde, costruiscono e riparano ceste, vendono cibo e sigarette e tutto ciò che può tornar utile ai lavoratori. Al venerdì e nelle feste religiose i pozzi rimangono chiusi.

Anche a Cempaka, come a Martapura, esistono dei laboratori di taglio e pulitura, dov’è possibile trattare l’acquisto di pietre preziose e semi-preziose. L’area delle miniere di Cempaka dista 45 km da Banjarmasin, in circa un’ora di viaggio i bus per Martapura giungono alla rotatoria posta un paio di chilometri dopo la città di Banjarbaru, da dove passano i bemo diretti nelle vicine località del sud via Cempaka, a soli 8 km. Altrimenti scendete a Martapura e prendete il primo bemo (colore verde) con la scritta ‘Cempaka’ e in meno di mezz’ora si è a destinazione. Si scende nel punto più vicino alle miniere di Pumpung (‘pescare insieme’), Alur (‘canale’) o Bungkal (‘oncia d’oro’). Le miniere sono nei pressi della strada, a una ventina di minuti di cammino lungo un sentiero spesso melmoso.

Si può noleggiare un bemo a Martapura (11 km.), ma qualsiasi autista è disponibile a organizzare un semplice tour di 2-3 ore, che comprenda il trasporto e la visita alle miniere con un costo accettabile.