È consapevolezza diffusa che il cibo è cultura; infatti, così come si impara a parlare, si impara a mangiare. Le prime esperienze alimentari ci insegnano a distinguere sapori e profumi che lasciano tracce indelebili nel nostro vissuto e nella nostra memoria, segni e simboli che tratteggiano e identificano la cultura in cui siamo nati e cresciuti che abbiamo condiviso con la “nostra” gente, delineando una sorta di identità collettiva, permeabile nel tempo alle diverse contaminazioni e aperta a nuove sperimentazioni. Il modo di pensare, di elaborare e vivere il cibo è senza dubbio legato all’ambiente fisico, in rapporto stretto tra natura e uomo, con le sue tradizioni in cui convivono il sacro e il profano dove esistono regole legate ai costumi e alle usanze che è bene conoscere e rispettare. Il mio sguardo sul cibo è stato sicuramente influenzato dal mio girovagare nel mondo nel corso dei decenni, tanto da sentire il bisogno di fare una ricognizione e alcune riflessioni sugli usi e i costumi delle diverse etnie e delle diverse comunità sulle scelte degli alimenti, sul modo di assemblarli, di manipolarli, di cuocerli, di esporli, come parametri per comprendere meglio il modo degli “altri” e del loro modo di mettere in scena la vita attraverso il cibo.

Fra i tanti luoghi visitati e vissuti, il Sud-Est asiatico è sicuramente quello che mi ha più colpito per la varietà e la ricchezza dei dettagli e soprattutto per il modo di offrire il cibo. La strada, per esempio, è il luogo privilegiato di tale rappresentazione, immersa nel brulichio quotidiano di nativi, turisti e viaggiatori, dove le mani di tutti sono costantemente all’opera per scegliere, lavare, cuocere i vari ingredienti e per predisporre, offrire e assumere ogni prelibatezza.

Già, perché mangiar bene nel Sud-Est asiatico non è mai un problema, dai piatti delle bancarelle e dei mercati all’aperto per poca spesa, ai ristoranti più raffinati e costosi. La posizione di crocevia fra Medio ed Estremo Oriente ha contribuito a trasformare questa parte di mondo in un paradiso gastronomico, straordinario contenitore naturale di molteplici specialità culinarie: dai kebab arabi ai deliziosi murtabak indiani (frittelle alla piastra ripiene), dai cubetti di manzo marinati alla brace del satay malese alle miniporzioni del nasi padang indonesiano, paragonabili a tanti antipasti, dalle ricette a base di soia e arachidi al groviglio di sapori delle varie etnie cinesi (hokkien, hakka, teochew, foochow, ecc.), unitamente a menu tailandesi, filippini, giapponesi, coreani e, molto spesso, italiani. Per di più, in nessun altro luogo al mondo esistono così tante qualità di frutta, verdura e spezie.

Per un pasto frugale, in Malaysia, Singapore e Indonesia, schiere di carrettini con cibi caldi, muniti di forno a carbone e illuminati al cetilene, ed eserciti di kaki lima, ambulanti carichi di dolcetti, bevande e mercanzie varie, invadono a ogni ora strade, piazze, stazioni di bus, fluviali e marittime. Il “fast-food” è un sistema largamente diffuso nelle caffetterie locali o kedai kopi, dove un’apposita bacheca mostra un’infinità di cibi precotti e pronti in un attimo. Quando si ordina, occorre specificare se si mangia al tavolo, makan sini, oppure con asporto, bungkus (sacchettini di plastica per i liquidi; i fritti vengono avvolti in carta di giornale). Per il servizio 24 ore occorre invece recarsi nelle coffee-house dei principali hotel, fornite di menù internazionale, mentre nei supermercati cittadini è normale trovare pasta italiana, pizze surgelate, formaggi olandesi o vini francesi e tutti i prodotti più noti in Occidente, assieme alle prelibatezze asiatiche e regionali. Pane fresco (roti) e dolci (kuih) li trovate nei forni (tempat membakar roti) o nelle fornite pasticcerie (adunan). Tra gli usi e le abitudini più comuni noterete che nei luoghi di ristoro “popolari” non è abitudine diffusa usare il coltello, data la composizione tenera del cibo; in genere, si preferiscono forchetta e cucchiaio o, nei ristoranti cinesi, i classici bastoncini di legno. Il cibo viene spesso servito in diverse ciotoline, oppure in un unico piatto centrale con 6 o 7 piattini ricolmi di svariate salse multicolori. La buona educazione locale vuole che si assaggi di tutto prendendone un poco per volta, evitando di apparire troppo famelici. Se vi offrono un assaggio è gentile non rifiutare e, se avrete l’occasione di pranzare in compagnia dei nativi, è bene sapere che è usanza consumare diverse specialità che verranno gustate da tutta la tavolata. Il cucchiaio di ceramica serve per mangiare e quello in metallo per servire le portate mentre non vanno lasciati i bastoncini, chopstick, nel piatto col cibo, ma vanno disposti nell’apposito contenitore di lato. Una bacinella d’acqua servirà, a fine pasto, per lavarsi le mani. Nei ristoranti qualificati e di lusso, il prezzo ovviamente sale e il cibo, per certi piatti tipici, non è necessariamente più buono. Le spezie sono le regine della tavola e la cucina locale è spesso conosciuta più per la sapiente combinazione di svariate erbe, che per il nome delle specialità. In campo gastronomico, infatti, si usano peperoncino (chili o cabai) e cardamomo, coriandolo e noce moscata, ginger e chiodi di garofano in una apoteosi di gusti dolci, aspri, salati, da far girare la testa e rendere chiara idea del significato che assunse per Marco Polo la straordinaria varietà della ‘Via delle spezie’. Per informarvi se un cibo sia piccante o meno, dovete chiedere: “Pedas atau tidak?” In caso di risposta affermativa, è prevista tra gli ingredienti qualche diavoleria piccante e, per evitarla, è sufficiente dire: “Tidak pedas”. Di solito, comunque, non si tratta di intrugli tali da “bruciare” il palato, ma piuttosto di un sapiente mix che rende i cibi più appetitosi. Per attenuarne l’effetto sovente si consiglia succo di limone e sale. È possibile, inoltre, gustare pesce fresco spaziando tra gamberetti e gamberoni, di mare e di fiume, tonno, granchio, acciughe e aragoste regali. *Belut è uno squisito pesce d’acqua dolce che vive nelle risaie.

Rispetto a quelli tradizionali, gli affollati ristoranti all’aperto nei mercati notturni sono decisamente più allegri, freschi e spesso restano aperti fino oltre mezzanotte. L’orario della cena inizia subito dopo il tramonto, attorno alle sette. I menù non esistono, o sono scritti in cinese e malese; si ordina direttamente al cuoco indicando quello che più attrae. Col passare delle ore e il susseguirsi dei clienti, attorno ai tavoli si accumulano spesso rifiuti di ogni sorta per il piacere di cani e gatti, che si contendono ossa di gallina o lische di pesce tra l’indifferenza generale.

Food stall, kedai kopi e rumah makan

I viaggiatori autonomi, non legati a tour operator, frequentano di più food stall (bancarelle con cibo), kedai kopi (caffetterie) e rumah makan (lett. “casa in cui si mangia”) che non ristoranti tradizionali, spesso frequentati solo occasionalmente. Questi luoghi di ristoro, una vera istituzione per Malaysia, Singapore e Indonesia, rappresentano un po’ l’equivalente dei nostri bar-trattoria di provincia, dove si chiacchiera, si osservano i passanti, si scambiano pettegolezzi, si discute, si mangia o si sorseggia un caffè leggendo il giornale. I migliori si trovano nei pressi dei moli, nelle stazioni degli autobus o nell’area dei mercati, perché sono i più affollati, il cibo è sempre fresco e la spesa limitata. Di solito si susseguono l’uno dopo l’altro in lunghe file costituite da sedie, tavolini con tovaglie di plastica, fumose cucine a gas e note di folklore locale, come bazaar in cui si ammassano bombole di kerosene, articoli in plastica, pesce essiccato, pentole e “di tutto un po’”. In genere, qui si assapora un’ottima cucina regionale e cinese, col menu consigliato dal gestore o dai vicini di tavolo. Oltre ai piatti tipici, tipo zuppe, pollo, nasi goreng e satè per pochi euro, si può consumare una comunissima omelette o un krupuk farcito con pezzetti di carne e verdure, oppure assaggiare uno snack kaya (pane tostato spalmato con marmellata di cocco), un dessert alla banana fritta, ma anche pasticcini e caffè o tè per colazione. Aprono alle 7-8 e chiudono alle 22-23.

Le tre cucine base: Malese, Cinese e Indiana

Il cibo tradizionale della cucina malese, semplice e vario come le razze che vi abitano, di solito serve da complemento a quello che è l’ingrediente base in assoluto, il riso, servito in tutte le salse e accompagnato da pesce, verdura, carne o uova. Anche il cocco occupa un posto di primaria importanza nella dieta alimentare locale, grazie al suo apporto di latte, burro e grassi. Altro alimento tipico delle aree rurali è il fagiolo di soia, ingrediente che viene impiegato nelle torte e nei dolciumi, da cui si ricava il formaggio come fonte di proteine alternative alla carne e utilizzato per deliziose insalate a base di germogli, nonché per la salsa piccante, kecap, diffusa ovunque. Tra i tipi di carne è molto amata quella di manzo (lembu) o di capra (kambing), pollo (ayam), bufala (kerban), montone (domba); il maiale (babi) viene mangiato solo raramente perché i malaysiani sono per la maggior parte musulmani. Col termine halal si indicano i cibi prettamente islamici, privi di alcolici, carne di porco e derivati. Il nasi padang, originario di Sumatra, è largamente diffuso anche nella cucina malese e il suo successo è legato alla qualità dei cibi e alla particolarità del sistema: vengono servite sul tavolo decine di mini porzioni paragonabili a tanti antipasti o assaggi e si paga solo quello che si consuma. Non esiste il menù, è piuttosto una specie di self-service servito al tavolo. Ogni cibo è corredato da un secondo piattino contenente una salsa specifica, generalmente parecchio piccante. A prezzi popolari, mangiando in modo frugale e degustando lentamente i restoran padang offrono al momento un nasi compur, la versione ridotta del servizio padang.

Nella Cina antica assaporare un paesaggio e godere della sua bellezza aveva lo stesso valore dell’assaggiare un gambero: andava fatto con garbo, attenzione, equivaleva a immergersi nella vita e nella sua perfezione. Lentezza e meditazione per assaporare la bellezza…

La cucina tradizionale cinese è in genere di tipo popolare, essenziale e poco sofisticata, spesso leggermente modificata o adattata alle esigenze del luogo. Dato il tipo di cottura impiegata, di solito gli alimenti vengono sminuzzati e saltati in una tipica padella conica, wok o localmente kuali, di ghisa o ferro. Un pasto a base di più piatti risulta leggero e velocemente digeribile, sebbene ci siano variazioni a seconda dell’area di provenienza: la cucina di Pechino usa prevalentemente carne, quella di Shangai pesce e riso, quella di Hunan è piccantissima, mentre la cucina meridionale di Canton è la più varia, ricca di pesce, crostacei, frutta, verdura, ed è quella maggiormente conosciuta in occidente. I piatti più elaborati e ricercati sono serviti nei ristoranti di classe media e superiore. I mitici nidi di rondine, così come la carne di coccodrillo arrosto o quella squisita di tartaruga, sono sovente elencati nei menù, ma difficili da trovare e comunque carissimi. La quasi totalità dei “sea-food restaurant” è gestita da cinesi. Una raccomandazione ovvia per i locali, ma spesso ignorata dagli stranieri, consiste nell’evitare di sedersi e pasteggiare nei ristoranti cinesi, per l’abbondante uso del maiale, se si è in compagnia di musulmani.

In generale, la cucina indiana è piuttosto diffusa e si distingue per l’abbondante uso del curry. Naturalmente l’arte culinaria indiana non è solo curry, ma è molto più complessa e ricca di misture dai sapori esotici e unici. A grandi linee, essa si identifica in due correnti principali: dell’India del Sud, decisamente piccante e vegetariana, e dell’India del Nord, più delicata e ricca di carne e di pane, chapati. Una particolarità tipica della cucina meridionale è l’assenza dell’uso di posate, si impasta il riso al curry con la mano destra e si infila in bocca. Mangiare con le mani è comunque abitudine diffusa anche in diversi restoran di origine settentrionale, così come i cibi vegetariani non sono un’esclusiva meridionale. Comune a entrambe è il grande utilizzo di riso, curry, uova, verdura, frutta, latte, frullati, yogurt e gli immancabili piattini di sambal, condimento a base di peperoncini piccanti. È una dieta ottima anche per interrompere la notevole diffusione della cucina cinese e malese: il curry al posto della soia.

Bevande

Premesso che l’acqua è potabile solo nei grossi centri, per soddisfare la sete con qualcosa di più invitante si può scegliere tra la vasta gamma di succhi di frutta naturali e multi vitaminici preparati all’istante o offerti già pronti dagli ambulanti piazzati lungo le strade principali. Nei loro carrettini si intravedono anche grandi contenitori di plastica pieni di un liquido biancastro: altro non è che latte di soia, venduto anche in bottiglia e ottimo integratore di proteine. In bustine di cellophane trasparenti, legate con un nodo in cui s’infila la cannuccia, vengono serviti il tè al crisantemo, dal sapore dolciastro e un po’ annacquato, ma anche tutta una serie di liquidi colorati e caramellosi, il più diffuso dei quali è quello color ciliegia, somiglianti alle granite.

Tra le miscele di ghiaccio e frutta proposte nelle bancarelle “air buah-buahan” le più richieste sono la air kelapa, a base di latte di cocco, riso e zucchero di palma, e l’air batu limau o limonata; ma anche quelle al cocomero, al succo di canna, al mango e via di seguito sono una delizia. Meno apprezzabili sono, invece, quelle sciroppate, con contorno di fagiolini dolci e gelatina. Bevete insomma ciò che volete ma sinceratevi che l’acqua sia stata bollita e soprattutto attenzione al ghiaccio, usato in larga misura con bibite casarecce e tè: nelle aree rurali è spesso preparato con acqua di rubinetto, possibile veicolo di infezioni intestinali. A parte le bottiglie d’acqua minerale, le bibite classiche e le birre locali o d’importazione (Anchor, Tiger, ABC Stout, Tsigtao, Bintang Heineken), l’unica bevanda “confezionata” e igienicamente protetta rimane la noce di cocco, rinfrescante, economica e reperibile ovunque.

Comunemente usato a tavola durante i pasti, il tè (teh, in malese), caldo o freddo, è reperibile ovunque. Nelle caffetterie, indicate per la prima colazione, il tè viene servito normalmente caldo e zuccherato, ovvero teh-o; chi lo vuole ghiacciato deve specificare teh-o peng, con latte condensato teh-o susu, senza latte e zucchero teh-o kosong, che significa “vuoto”. Anche il caffè (kopi) qui ha un aroma molto buono, specialmente quello proveniente dalle coltivazioni del Sarawak e di Giava: è scuro e cremoso, spesso mischiato a cicoria e cioccolato, e lo si beve lentamente per evitare che i chicchi affiorino. Il caffè concentrato, kopi kau, l’unico tipo di caffè occidentale reperibile nei coffee-shop più formali e in alcune pasticcerie coi tavoli è il Nescafè solubile, costoso perché importato. Il Milo, la bevanda al cioccolato più nota e consumata, viene servita al pari del tè e del caffè e si acquista in qualsiasi drogheria. In alternativa al latte fresco, i barattoli di latte condensato sono facilmente reperibili in gran parte dei negozi alimentari della Malaysia.

Tra le bevande ad alta gradazione alcolica apprezzate dai nativi dell’interno ci sono tutte le marche di brandy cinesi e anche il dry gin detto comunemente “drigin”. Il tuak e il borak sono due tipi di vino lattiginoso dal sapore aspro e amarognolo ricavato dal riso, dalla palma, dal sago o dal miglio, che i Dayak lasciano fermentare in antiche giare cinesi di ceramica per un mese, prima di trasformarlo nel protagonista principale delle loro feste canore. Alla tribù dei Bidayuh del Sarawak va il merito di una produzione più raffinata: tuak tebu (vino ricavato dalla canna da zucchero), tuak tampai (vino di mangostan selvatico) e tuak apel (birra di sidro). Il brem, una mistura di riso e latte di cocco fermentato in canne di bambù, lo si lascia invecchiare solo pochi giorni e ha quindi una bassissima gradazione alcolica. Il badek è un’altra bevanda alcolica derivata dal riso.

Il racconto che ho fatto degli usi e dei costumi alimentari del Sud-Est asiatico è frutto di lunghe permanenze in quei luoghi che hanno avvalorato le tesi di Roland Barthes, celebre antropologo francese (1915-1980) che paragonò il cibo a una forma di linguaggio e di sistema di valori che racchiude in sé i codici di comportamento di un popolo o di una tribù. Mangiare, per Barthes, è parlare, discutere, stabilire interazioni e relazioni. Nessuno si ciba solo per nutrirsi ma anche per costruire appartenenza e identità e la propria diversità. In quest’ambito Barthes si mostra attento ai significati simbolici del cibo; per esempio, evidenzia il diverso modo di consumarlo degli occidentali e degli orientali. Gli orientali sminuzzano gli ingredienti prima di cucinarli e, al momento dell’assunzione del cibo ne prendono piccoli bocconi con le bacchette di legno. Da una parte, gli occidentali (anglosassoni), manifestano abitudini alimentari rudi e sbrigative e dall’altra, gli orientali con la delicatezza di una gestualità più misurata tipica di civiltà più spirituali, in cui lentezza e grazia esprimono un modo di pensare e di essere.

Piatti tipici della cucina malese e indonesiana

Baso: brodo speziato con verdure, riso e polpettine
Bubur ayam: minestra di riso densa e carne di gallina
Budur delima: budino di tapioca servito con latte
Cap-cai: pezzi di carne e verdure saltati e serviti con riso lessato in bianco
Es krim: gelato
Gado-gado: verdure scottate guarnite con salsa d’arachidi e/o uova sode che si mangiano fredde
Hee jawa: fettuccine con gamberetti, patate e pezzi di formaggio di soia
Ikan goreng: pesce fritto
Krupuk: cracker di farina e pesci macinati o granchi, in genere può sostituire il pane
Kue: biscotto
Laksa yohor: spaghetti di riso o grano in brodo con pesce e verdure
Mie goreng: vermicelli o spaghetti fritti con pezzetti di carne, uova, pomodoro e peperoncino
Nasi ayam: riso al pollo con una tazza di brodo a parte e un piattino contenente cetrioli e salsa di peperoncini piccanti
Nasi campur: riso bianco cotto, con contorno freddo tipo manzo, pollo, pesce nonché cocco grattugiato e verdure
Nasi goreng: riso fritto con cipolle, fagioli, piselli, peperoncino, aglio, pezzetti di carne di pollo o di manzo, gamberi o anche uova e curry
Nasi goreng istemewa: riso fritto, precotto e saltato, servito con uovo al tegamino, pezzi di carne e verdure
Nasi lemak: riso cotto nel latte di cocco e servito con pesciolini essiccati, noccioline, uova, fette di cetriolo e carne brasata piccante
Nasi padang: riso bollito con numerosi assaggi di carne al curry (vedi “Cucina padang”)
Pilus: polpette fritte di patate dolci
Pisang goreng: frittelle di banana fritta
Rijak tegal: macedonia di frutta di stagione con miele, arachidi e aceto
Sajur bajam: zuppa di spinaci e mais
Sambal goreng telor: uova in salsa piccante (peperoncino rosso o curry) e patate bollite
Satay o satè: il piatto più famoso nel mondo, spiedini fatti con cubetti di pollo, manzo e montone, cotti alla brace e serviti in salsa d’arachidi
Satè udang: misto di pesce arrosto a base di gamberi con aglio, foglie di limone, chili, noccioline e olio di cocco
Satong: cotoletta di pesce
Soto ajam: zuppa di pollo con germogli di fagiolo
Soto ayam: zuppa di pollo con cubetti di riso e verdure, a volte piccante
Soto daging: zuppa di carne di manzo mista a sisa sisa (dolce di segala), con gamberetti, cipolla, aglio e ginger verde
Soto madura: minestra di trippa densa con crema di cocco (le zuppe meno dense si chiamano sop)
Sup ekor: zuppa piccante di coda di manzo
Taho o faufu goreng: pezzi di formaggio di soia fritti
Telor asin: uova d’anatra invecchiate
Tempe: piatto dolce a base di soia

Specialità cinesi

Bak ku teh: zuppa di costine di maiale con spezie e chili
Beef noodles: specie di fettuccine servite con manzo brasato
Char kwai teow: tagliatelle in salsa dolce e vongole
Chicken sop: petto di pollo tagliato a strisce, funghi, bambù, ginger verde, aglio, cipolle fritte, olio di arachidi in brodo di carne
Curry laksa: spaghetti al curry con pollo lesso, molluschi, tofu (formaggio che si ricava dalla soia dal sapore impercettibile) e germogli di soia
Fish ball sop: zuppa con palline di pesce in farina di riso, vermicelli, verdure, soia
Fried rice (o nasi goreng): riso appena saltato con gamberetti, verdure e carne. Piatto locale in versione cinese
Hainanese chicken rice: riso cotto nel brodo e servito con pezzi di pollo arrostiti o cotti al vapore; ne esiste anche una variante al maiale
Laksa: spaghettini di farina di riso in brodo di pesce con pezzetti di cetriolo, ananas o gamberi e polpette di pesce, di solito piuttosto piccante
Ngah poh fan: riso cotto in un tegame di coccio con pollo e verdure
Roast duck: è la celebre anatra arrosto servita con riso o porridge; la sua bella pelle laccata e croccante è ritenuta dai cinesi più prelibata della carne
Sharksfin sop: pezzetti di pinne di pescecane, di granchio e pollo, un uovo e salsa di soia
Wantan mee: zuppa di spaghetti con gamberetti e maiale arrostito

Specialità indiane

Cendol: ghiaccio tritato in latte di cocco con piccoli gnocchetti verdi di farina e zucchero di palma
Dhal: zuppa di lenticchie molto popolare
Mee goreng: fettuccine fritte con peperoncino, formaggio di soia, uova e gamberetti
Murtabak: frittella a sfoglia arrotolata e imbottita di carne tritata, uova e cipolla: anche questa si accompagna al curry o ad altre salse su richiesta; il mesala dosa è simile al murtabak, ma con verdure speziate anziché carne (meridionale)
Nasi biryani: riso allo zafferano cotto in burro di bufala con spezie, servito con verdure, curry di montone e pollo
Roti canai: frittella a sfoglia (tipo piadina cotta alla piastra) servita col curry, in cui va appena imbevuta a ogni boccone
Royak: insalata mista di germogli di soia, cetrioli, uova sode, gamberi fritti e calamari, conditi con salsa d’arachidi piccante
Teh tarik: tè servito con latte e vaniglia, profumato e bevuto preferibilmente freddo o tiepido