In Italia stiamo ormai vivendo da diverso tempo un periodo di turbolenze politiche, economiche, finanziarie e, purtroppo, anche sociali. La sensazione è che sia in corso un declino morale, culturale ed economico del popolo italiano. Tanta gente è delusa, disorientata e stanca e spesso rievoca un passato, non troppo lontano, solo qualche decennio, in cui non era difficile trovare un lavoro, gli stipendi bastavano fino alla fine del mese, si riusciva anche a mettere qualche soldo da parte, e le pensioni erano comunque sufficienti per vivere una terza età dignitosa. Era un periodo in cui vi era una stabilità politica ma anche una stabilità economica. Non vi era una particolare preoccupazione nella risoluzione dei problemi quotidiani perché tutto sembrava sistemarsi facilmente. Nonostante tutto, il sistema politico, nella sua complessità, riusciva sempre a trovare delle soluzioni condivise e anche il sistema economico, pur con un tasso d’inflazione più alto di quello attuale e molti scontri sindacali, riusciva comunque a crescere, mantenendo il debito pubblico e il tasso di disocupazione entro i limiti fisiologici. Ma allora, perchè tutto si è fermato? Perché il nostro Paese non viene più considerato, dagli analisti politici ed economici, un paese stabile, dove investire, viverci o intrattenere rapporti economici? Proviamo allora ad analizzare le cause che hanno portato a questa situazione di stallo, cominciando a chiarirci le idee su cosa si intende per “stabilità” e, soprattutto, se esiste un nesso tra la stabilità politica e quella economica.

Secondo la scienza politica la stabilità consiste nell’assetto durevole di un sistema politico, o di una formula o di una compagine di governo. Ciononostante, la nostra storia ci ha insegnato che la durata dei governi non rappresenta un aspetto fondamentale della stabilità politica. In questi ultimi anni abbiamo avuto governi, anche abbastanza longevi, di centro-destra, di centro-sinistra e, recentemente, giallo-verde, ma mai abbiamo avuto la chiara percezione di aver raggiunto finalmente la stabilità politica. Viceversa, ricordiamo che nella Prima Repubblica si sono succeduti numerosi governi di breve durata che hanno comunque garantito, nella loro formula pluripartitica, una continuità e una stabilità politica durata oltre quarant’anni.

Tuttavia, la troppa stabilità politica può nascondere a volte una carenza di democrazia, come accade ancora oggi nei paesi con governi di stampo autoritario, come il Venezuela, Cuba o la Corea del Nord, oppure di stampo teocratico, come in gran parte dei paesi islamici. Ma, naturalmente, non è questo il tipo di stabilità che desiderano gli italiani.

Secondo la scienza economica la stabilità si realizza quando un sistema economico ha una costante crescita del prodotto interno lordo, una sostanziale invariabilità dei prezzi, una tendenziale piena occupazione, e una capacità di resilienza alle eventuali scosse dovute a cause esterne o interne al sistema.

A parer mio, sarebbe importante disporre anche di altri elementi fondamentali, come ad esempio: un solido sistema finanziario, una corretta distribuzione della propria popolazione tra popolazione attiva e non attiva, cioè tra coloro che sono in età e in salute per svolgere un’attività lavorativa e coloro che non lo sono, un sistema fiscale semplice ed equo, una elevata e diffusa preparazione professionale e culturale e, infine, un efficiente e indipendente sistema giudiziario.

Naturalmente, in un mondo globalizzato come quello attuale, i sistemi economici sono tutti interconnessi con gli altri sistemi economici e non si può non risentire di quello che accade altrove specialmente se, come nel caso italiano, si ha una moneta condivisa con altri paesi e si fa parte di un sistema politico economico integrato come l’Unione europea.

In Italia la stabilità con cui eravamo abituati a convivere fin dal secondo dopoguerra è iniziata a venire meno alla fine del 1989 quando con la caduta del muro di Berlino sono iniziati a cambiare gli equilibri mondiali, e l’Italia non è più stata quell’importante Paese di equilibro e di confine geopolitico tra i due blocchi. Poi nel 1992 con il ciclone giudiziario di “mani pulite” i partiti tradizionali, che nonostante tutto ci avevano assicurato quarant’anni di crescita economica e di stabilità politica, hanno iniziato a implodere sotto le accuse dei magistrati milanesi fino a che nel 1993, con una nuova legge elettorale chiamata “Mattarellum” si è dato vita a quella che inizialmente i commentatori politici e poi gli storici hanno chiamato la “Seconda Repubblica”.

Da allora la politica è cambiata radicalmente. È venuto meno un sentire comune che, malgrado le differenze ideologiche e sociali, aveva comunque fatto da collante per la popolazione italiana. Con la Seconda Repubblica le divisioni politiche si sono polarizzate e irrigidite e inoltre, ancor peggio, è aumentato il divario tra nord e sud del Paese non soltanto in termini economici e sociali ma anche in termini ideologici, tanto da dover affrontare addirittura le volontà seccessionistiche di alcune forze politiche.

Purtroppo, da allora la classe politica non è stata più selezionata in base alla volontà popolare ma in base a scelte delle segreterie dei partiti. La fiducia nei riguardi dei politici è franata lentamente ma inesorabilmente a causa della loro scarsa preparazione e di diversi scandali che hanno turbato notevolmente l’opinione pubblica. Il dibattito politico si è sempre più incentrato su argomenti occasionali e marginali e non su veri temi di rilevanza nazionale con prospettive di lungo termine. Il linguaggio politico è diventato sempre più violento e volgare contribuendo a far diminuire la fiducia e la considerazione della gente comune non solo nei riguardi della politica in generale ma anche nei confronti delle istituzioni, dei sindacati, delle associazioni di rappresentanza creando ancor di più un disinteresse generale alla partecipazione civica e una conseguente crescita dell’astensione agli appuntamenti elettorali.

Anche per quanto riguarda l’economia il nostro Paese, in questi ultimi anni, non ha vissuto un periodo di felice. Infatti, a partire dal 2008 quando negli Stati Uniti d’America è iniziata la crisi finanziaria che ha colpito tutti i paesi del mondo, l’Italia non solo ha smesso di crescere ma, con tutti i vincoli di bilancio imposti dall’Unione Europea, ha visto aumentare il suo debito pubblico e la disoccupazione. Anche i vincoli imposti al commercio internazionale dalle sanzioni USA alla Russia e all’Iran sembrano aver colpito, più che i diretti interessati, proprio il nostro Paese che invece con quei mercati ha sempre avuto ottimi rapporti e scambi economici. Il sistema bancario poi ha fatto temere il peggio, evitato solo grazie all’intervento diretto dello Stato italiano che è riuscito a tamponare alcune situazioni che avrebbero compromesso la stabilità dell’intero sistema paese. Naturalmente, con una situazione così pesante, non si sono fermati solo gli investimenti in opere infrastrutturali ma anche le manutenzioni delle infrastrutture già esistenti, e le conseguenze drammatiche sono subito emerse: dal crollo dei ponti al degrado delle nostre città.

Con un quadro politico ed economico così mal messo ci sarebbe solo da alzare bandiera bianca e dichiarare il fallimento dello Stato italiano eppure questo non avverrà mai, perché gli italiani sono un popolo che non si arrende e che riesce sempre a trovare soluzioni geniali anche nelle situazioni più avverse. L’importante è ritrovare il senso comune di appartenenza, la solidarietà, l’impegno a migliorarsi e a far rispettare la legalità.

Io credo che sia questa la semplice ricetta per curare tutti i mali del nostro Paese. Se ognuno di noi, nel proprio intimo, facesse uno piccolo sforzo in questa direzione in breve tempo riusciremmo a rialzare la testa e tornare ad essere il “bel Paese” che tutto il mondo ammirava.

Naturalmente, io sono convinto che esista un nesso tra la stabilità politica e quella economica, ma è la politica che deve dare il buon esempio smettendo di litigare su tutto e di fare campagne elettorali senza fine. Le opposizioni, pur nel rispetto del loro ruolo, dovrebbero, con grande senso di responsabilità, partecipare al perseguimento di risultati utili al superiore interesse nazionale, e non essere, a prescindere, contrarie su tutto. D’altro canto, anche la maggioranza, sempre che sia una vera maggioranza e non un’alleanza di comodo, dovrebbe avere maggior rispetto e considerazione delle istanze delle opposizioni, perché solo con il consenso più largo possibile si può tornare a ottenere una forte crescita economica e la stabilità politica e sociale del Paese.