Agostino De Romanis occupa un posto di forte rilievo nella pittura del secondo Novecento e dei primi anni del secolo presente. È tra i principali esponenti della Pittura Colta, movimento fondato dal critico d’arte Italo Mussa nel 1980. Le sue opere sono collocate in permanenza in alcuni musei internazionali tra cui il Gedung Arsip National di Giacarta, il Museo Rudana di Bali, San Salvatore in Lauro di Roma. Sue opere sono anche al Ministero degli Affari Esteri, Collezione d’arte contemporanea della Farnesina; al Ministero dei Beni Culturali, Complesso monumentale San Michele a Ripa Grande; al Complesso monumentale di Santa Maria dell’Orto a Roma.

Nelle opere di De Romanis il contenuto poetico e lirico si fonde in tutto l’impianto plastico, attuato con lucidità sino al ‘non finito’, con una tecnica ‘a trasparenze’ del tutto personale. Nelle cromie di figure umane e anche di paesaggi, l’artista ha condensato immagini reali, ma visti con occhi incantati. Figure misteriose si stagliano sulla natura, costruendo ombre e piani prospettici, volumi, vuoti, enigmi. L’operazione del nostro pittore è il recupero dell’arte come segno riconoscibile dell’immagine globale, è l’incontro-scontro fra arte pura e messaggio. Ma quel suo ricorrere a paesaggi e figure umane, come a istituzionali scene che comunque vivono un tempo privo di tempo, più che nel ‘tempo della memoria’, produce un nuovo umanesimo che infonde una malinconia dello spirito, verso la perduta armonia dell’infanzia.

Così facendo il maestro veliterno sostiene una convinzione ‘classica’, oserei dire vitruviana, cioè che l’armonia è insita nella natura e che per questo motivo essa rappresenta il principio ordinatore del mondo.

Nei lavori creati a partire dagli anni Settanta, si può osservare la derivazione delle grandi forme stereometriche dell’arte. Tra di esse vi sono alcune composizioni ‘aperte’ che appaiono come dilatate, e altre ‘chiuse’, la cui struttura si compone dagli elementi sfaccettati dei piani precostituiti.

Partendo da essi il pittore giunge a volumi disegnati sempre meno nitidamente, fino ad arrivare alla creazione degli spazi e delle figure con la stesura del solo colore steso ‘tono su tono’ e ‘velatura su velatura’, in un modo che si può considerare arte concreta.

In questi lavori l’immaginario creativo di De Romanis si arricchisce di fantasmi che vivono nella sua assillante visione del reale; tuttavia, non si evince rabbia verso le ingiustizie e le debolezze del mondo, ma invece si trova la parte più contemplativa e solitaria, oserei dire romantica, di un pittore che riesce a sublimare paesaggi e figure fiabesche.

La luce e la luce interiore

Per ricostruire nell’immagine il tessuto lacerato della realtà, il maestro usa la luce naturale e quella segreta dell’uomo, al fine di illuminare il senso complessivo delle cose. Perché la luce, fonte primaria di tutto ciò che è visibile, Agostino la porta dentro.

Nell’intera produzione di De Romanis, la luce sgorga grandemente, capace di purificare l’immagine dal buio. E l’artista appare nella sua reale capacità di evocare forme dal mondo antico e di investirle man mano di nuova vita ora appellandosi alle suggestive visioni paesaggistiche che trovano un innesto di grande valore in quello che costituisce il nucleo fondamentale di questa arte: la luce.

De Romanis lavora per e dentro tale elemento; che non è un costituente totalmente naturale poiché è un’invenzione dettata dalla sua sensibilità. Si tratta di una luce soffusa ma liquida che scorre lentamente in flussi ascensionali e rifluisce in quegli spazi reali o illusori, creando al suo passaggio punti di vista diversi e nuovi centri focali, a illuminare la complessità della psiche dell’osservante.

Questa capacità scaturisce da una innata sensibilità, da una padronanza tecnica e artistica, dalla lunga esperienza professionale e umana avuta in Italia e in Indonesia. E proprio in questo paese di sole e di mare ha ricercato quei fantasiosi colori del cielo, dell’acqua, della letizia e della tristezza che è nell’esistente stesso, perpetua lode alla terra e alla natura, facendo del nostro uomo un missionario dell’arte.

De Romanis dipinge con una forte attenzione al contenuto considerando la pittura un modo per esprimersi, proiettandosi verso una nuova dimensione metafisica che va oltre l’oggetto raffigurato e la precisa visione della realtà. Le sue opere manifestano una profonda indagine psicologica al di là delle figure e delle superfici, oltre le forme e i colori, attraverso linguaggi personalissimi e significativi capaci di emozionare.

L’artista ha trasposto il suo sentire nei giacimenti della memoria, traendone una poetica nuova delineata da una personale declinazione linguistica. Quando questi segnali iniziano a delinearsi, comincia a farsi sentire l’impulso artistico, quel leggero intreccio di idee che inarrestabilmente scorre tra le pieghe della realtà sovrabbondante.

La produzione recente

Pure rimane coinvolgente la lettura interpretativa offerta dal maestro nelle sue opere recenti che intitola significativamente: In difesa dell’amore (trittico, 2004), Alle spalle le forme si rivelano (2012), Evoluzione verticale del Cinque (2012). Si tratta di sogni, invenzioni, simboli, fiabe, cioè ‘atti creativi’ sviluppatesi nel subconscio che poco hanno a che vedere con la realtà.

Nella produzione recente affiorano evocati volti e sagome di personaggi misteriosi, dei, occhi, eroi, inquieti idoli rimasti per secoli nascosti sotto la terra, dove la luce sgorga escludendo ogni ombra e purificando l’immagine dal buio. Il discrimine tra figurazione e astrattismo è sovente impercettibile, a volte affidato alla sola sensibilità.

La ricerca del maestro si fonda sull’interpretazione delle realtà delle cose, rivisitate secondo uno schema mentale elaborato per esprimere sensazioni e allusioni sul filo di una sensibilità pittorica imbevuta di luce che media la tensione emotiva con la razionalità di un ordine strutturale.

E l’artista appare nella sua reale capacità di evocare fantasmi dal mondo antico e di investirli via via di personalità diversa, ora appellandosi alle suggestive visioni paesaggistiche che trovano un innesto di grande valore in quello che costituisce il nucleo fondamentale di questa pittura: la luce piena non filtrata, metafisica, a illuminare la complessità delle immagini, creando al suo passaggio, punti di vista diversi, nuovi centri focali. In questo gioco di interventi, De Romanis coglie le forme alle quali riesce a conferire l’illusione della plasticità.

La tecnica usata nella serie di opere recenti è soprattutto l’olio su carta rintelata, al fine di raggiungere i toni voluti, che uniti a un uso anticonvenzionale del colore e della luce rende la superficie ‘coloristica’, con fluide pennellate e stesure di colore date a velatura.

De Romanis alla città di ‘Anzio Imperiale’

Le opere realizzate da Agostino De Romanis in questi ultimi due-tre anni, vengono presentate per la prima volta al pubblico e alla critica in una mostra nel prestigioso Museo Civico Archeologico di Anzio (dal 14 al 27 aprile 2019). Queste effondono un misto di sintesi delle precedenti esperienze e di estraniamento, che tuttavia rivelano ancora l’intatta facoltà di empatia e la volontà di inabissamento nella contemporanea condizione umana dell’artista.

Tutta la sua pittura è, infatti, una continua riflessione e immersione ‘nell’Altro da Sé’ (gli uomini e i loro gesti inseriti nella natura), basti osservare Verso la luce del cielo (2018) o Sul sentiero della vita (2018) per rendersi conto che nei dipinti c’è sempre qualcosa che non si vede ma che tuttavia ci consente di essere partecipi delle riflessioni del maestro e di prendere parte a quella magia che fa levitare il cuore e assaporare con la forza di un desiderio tutta la fragranza che emana la tela.

Straordinarie e profetiche rimangono opere come Nove piccole cupole (2017) o Non pescatemi (2017) dove una sorda melanconia, senza lacrima né sorriso, s’avverte posando l’occhio sui dettagli. Ma ecco che in altre opere, come Volgeranno lo sguardo (2018), si evince l’inattesa apparizione che consente di fantasticare sull’improvvisa comparsa.

Le opere dell’ultima stagione di Agostino De Romanis si collocano, quindi, sul sottile crinale che separa la realtà dal sogno e appaiono calate in una dimensione sospesa e assorta su cui si muovono come antiche epigrafi incise sul marmo lettere, parole, scritte, frasi, che insieme a rare e non definite presenze, scandiscono una metrica letteraria e coloristica misteriosa, trasmettendo una poderosa risonanza emotiva e restituendo momenti della memoria e della reminiscenza.