Prorettrice vicaria del Politecnico di Milano, professore ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni, si occupa, tra le sue molteplici ricerche e attività, dell’innovazione nel settore Electronic Automation e dell’utilizzo delle tecnologie ICT nella realizzazione di smart cities.

Qual è il filo rosso che unisce i suoi prestigiosi incarichi, dalla Banca d'Italia, al MIUR, dall’Avio a Rai Way…?

Diciamo che metto molto impegno in ciò che faccio e in quello in cui credo. Penso che la cosa più importante sia il non ritenersi “arrivati”. Sono una ricercatrice, è nella mia natura cercare di spostare più in là i confini; ancora oggi studio molto e continuo a lavorare sodo. Dai primi passi nella carriera universitaria agli incarichi esterni, ho imparato dall’esperienza a credere un po’ di più nelle mie capacità e a uscire, almeno in parte, dalla mia “comfort zone”. Ho accettato il fatto che per continuare a crescere è necessario misurarsi con sfide nuove e diverse. Ho imparato che è essenziale fare tesoro dei successi e dei fallimenti del passato per dare il proprio contributo negli ambiti di lavoro che si avvicendano nel corso della nostra vita, anche se apparentemente diversi tra di loro. Cariche per le quali ho dovuto prepararmi e rimettermi in gioco. Ambiti nei quali cerco di portare una maggiore sensibilità sul tema delle donne, sul loro ruolo nel mondo del lavoro, soprattutto in ambito tecnologico dove ancora permangono alcune reticenze. Credo che oggi, con più donne (anche se ancora minoritarie) in posizioni decisionali, sia importante rafforzare questo approccio e acuire questa sensibilità, anche se gli effetti sono ancora poco visibili.

Prorettrice del Politecnico: che cosa è rimasto della sua consolidata tradizione e in che cosa è cambiato?

Il Politecnico di Milano da sempre punta sulla qualità, questo nel tempo ha fatto di noi la prima università tecnica in Italia e tra le prime 20 al mondo in tutte e tre le aree di appartenenza: architettura, design e ingegneria. Innovazione nella didattica, nella ricerca e nel trasferimento tecnologico, ma non solo, anche un’attenzione all’impatto sociale di tutte le nostre attività. Il Politecnico è cresciuto grazie a uno stretto rapporto con il territorio, con le imprese e con le istituzioni; un esempio di pubblica amministrazione moderna ed efficiente. Negli ultimi anni abbiamo intrapreso con maggiore determinazione un percorso rivolto all’internazionalizzazione, fondamentale in un contesto globale sempre più competitivo; alla terza missione, e all’impatto sociale che l’università può avere sia a livello locale sia a livello internazionale attraverso progetti di cooperazione e sviluppo. Siamo attenti alla diversità e all’inclusione, con l’obiettivo di fornire pari opportunità a tutti. All'interno di questa visione, continuiamo a riflettere sul nostro ruolo nella formazione delle nuove generazioni e quindi della società del futuro, per esempio, attraverso il progetto Polimi 2040, un tavolo di lavoro chiamato a tracciare le trasformazioni dell’università da qui ai prossimi 20 anni.

È stata la più giovane laureata del Politecnico: qual è l'approccio delle nuove generazioni all'università?

Trovo che le nuove generazioni siano curiose e, rispetto a qualche tempo fa, più aperte al confronto. Abituate a viaggiare molto più di prima, a parlare un inglese magari poco preciso ma moneta di scambio con ragazzi di tutta Europa, ci mettono di fronte a nuove esigenze. Esigenze alle quali cerchiamo di rispondere attraverso esperimenti di didattica innovativa. Il che non corrisponde, esclusivamente, a un uso più ampio degli strumenti digitali, ma a un nuovo modo di intendere il rapporto tra docente e studente, più simile al dialogo che non alla lezione frontale. In aggiunta, abbiamo potenziato i programmi di scambio e la mobilità studentesca. Abbiamo inserito corsi rivolti alle soft skills, quelle capacità relazionali sempre più importanti anche nella formazione tecnica. Mi sono laureata in Ingegneria Elettronica nel 1984, a 22 anni. Da allora ad oggi ho visto molti studenti alternarsi al Politecnico di Milano, ma quello che non è mai cambiato è l’impegno che gli viene richiesto, un patto stretto con un’università che non fa sconti.

Insegna in una facoltà, quella di Ingegneria, tradizionalmente maschile, che cosa sta avvicinando sempre più donne a questo ramo universitario?

È vero, Ingegneria è ancora una facoltà prevalentemente maschile. Ammetto però che, nella mia esperienza, ho forse subito maggiori discriminazioni in prima istanza perché ero più giovane di altri negli avanzamenti di carriera che non per il genere. L’ingegneria sta vivendo un momento di grande cambiamento. Le trasformazioni introdotte dal digitale, dall’automazione all’intelligenza artificiale, aprono questioni di natura etica e morale che richiedono una maggiore attenzione al rapporto tra tecnologie e scienze umane, un approccio sempre più interdisciplinare e flessibile. È questa una grande opportunità per le donne, abituate da sempre a giocare su più fronti, a compiere scelte che spesso mettono sul piatto della bilancia aspetti emotivi e pratici. Le donne hanno, a differenza dei colleghi maschi, ma a parità di capacità e di competenze, un grande vantaggio ed è questo il momento per valorizzare il loro talento. Alle ragazze dico di tenersi pronte, di avere il coraggio di seguire la propria strada, anche quando questa significa scardinare i luoghi comuni. Un messaggio ancora, incredibilmente, poco ascoltato.

Al Politecnico di Milano, dove il giorno della laurea un ingegnere su cinque è donna, abbiamo messo in atto diverse iniziative per rafforzare la presenza femminile. Incontri nelle scuole e open day, visite nei laboratori e percorsi formativi nelle aziende, borse di studio e aiuti alle giovani ricercatrici per conciliare lavoro e famiglia... ma non ci sono soluzioni facili e a portata di mano. Credo che le ragazze stiano pian piano acquisendo una diversa consapevolezza del proprio ruolo nella società, ma è un cambiamento ancora lento, che richiede sempre più che coloro che lo hanno fatto prima di loro raccontino che è possibile e gratificante.

Lo "sconfinare" in territori prima quasi esclusivamente riservati agli uomini, stimola anche a una riflessione sui cambiamenti della donna contemporanea, nella sua dialettica con la famiglia, la maternità, la sessualità e il suo rapporto con il maschile...

Non c’è dubbio sul fatto che le donne abbiano compiuto grandi passi avanti. Credo che una leva importante sia stato l’accesso a livelli di istruzione superiori, prerogativa un tempo confinata a una ristretta minoranza. Spesso però le studentesse, anche le più brave e diligenti, si ritagliano un ruolo ancora molto scontato all’interno della società e optano per i più rassicuranti percorsi umanistici. Negli ultimi anni, diversi studi hanno affrontato la questione, dalla Casa Bianca alla Royal Society inglese, alla stessa Commissione Europea. Sono stati redatti documenti, organizzati dibattiti e momenti di confronto utili a far emergere questi comportamenti ancora saldamente ancorati alla tradizione, ma è difficile lottare contro secoli di storia. Per tornare alla domanda, direi che le donne stanno lentamente sconfinando in territori maschili, ma la strada è ancora lunga. Ricordiamo che in Italia una donna su due non lavora; siamo lontani dalla media europea. Se poi puntiamo la lente sulle STEM, l’immagine è impietosa. A pesare è indubbiamente la difficoltà nel rintracciare modelli positivi, prima nella scelta della carriera scolastica, e poi, di riflesso, in quella professionale e poi, come naturale conseguenza, negli ambiti legati all’affettività, come la maternità, la famiglia e il rapporto con il partner, a sua volta poco educato o ancora inesperto nell’affrontare questo genere di riflessione… E perché ci sia dialettica, serve parlare la stessa lingua e scardinare i pregiudizi inconsci. Altrimenti ci si intende a fatica o peggio non ci si intende affatto!

Uno dei suoi interessi e delle sue ricerche sono le smart cities: ce le può prefigurare?

La definizione di smart city è molto ampia, ma alla base sta la trasformazione delle strutture urbane attraverso soluzioni supportate dalle nuove tecnologie. Una smart city utilizza le tecnologie per affrontare i vantaggi e gli svantaggi legati a una concentrazione sempre più ampia di persone nelle aree urbane (oggi oltre il 50% della popolazione mondiale, che diventerà il 70% nel 2050) e a un ritmo di scambio sempre più rapido. In breve, la smart city è “un sistema di sistemi” – energia, mobilità, infrastrutture, ambiente – in cui le sfere economiche, sociali, fisiche e istituzionali interagiscono in un processo di adattamento reciproco. La città diventa economicamente sostenibile, promuove una migliore qualità della vita e un uso razionale delle risorse. Un aspetto importante è che questo processo di trasformazione sia governato e partecipato dall’amministrazione della città e dai cittadini, con una visione condivisa degli obiettivi e delle strategie. La tecnologia da sola non è in grado di fornire intelligenza.

Milano è aggiornata nell'utilizzo delle nuove tecnologie informatiche?

Da questo punto di vista Milano è certamente un esempio positivo. Secondo una recente indagine del Sole24Ore Milano è la città in Italia dove si vive meglio. Una notizia che non ci sorprende quando, tra i quarantadue indicatori presi in esame, definisce Milano la città più smart. Lo è per il quinto anno consecutivo. Un risultato che premia la sua capacità di affrontare le sfide dell’ambiente (il verde urbano), della mobilità sostenibile e dell’energia, della ricerca e dell’innovazione. Una città che interpreta le sfide dell’età urbana con iniziative che mettono a sistema le competenze dell’università e dell’impresa. Tra gli esempi che mi vengono in mente ci sono progetti come Sharing City, per la realizzazione di un distretto smart ad energia quasi zero nell’area Porta Romana/Vettabbia, o Urbanscope, che analizza i dati provenienti dai social media e dal traffico telefonico per sviluppare politiche pubbliche di precisione, o ancora all’attuale sperimentazione della tecnologia 5G.

Qual è il rapporto e l'interazione del Politecnico con la città?

Milano è una città aperta al mondo, capace di attrarre intelligenze e talenti. Una città in linea con una tradizione ricca e solidale, consolidata nel campo della cultura, della formazione e della ricerca. Nel corso dei 154 anni di vita del Politecnico, Milano è stata una compagna eccezionale, un punto di partenza e di arrivo di moltissime iniziative. Negli ultimi anni sono avvenuti dei cambiamenti straordinari, dai grattacieli del centro urbano ai percorsi per la rinascita delle periferie. Milano ha saputo rinnovarsi con uno slancio al quale cerchiamo di contribuire ogni giorno con progetti che vanno dal rinnovo urbano, all’innovazione tecnologica, all’imprenditoria. Per esempio, è in corso un ammodernamento del campus Leonardo, che, da un’idea di Renzo Piano, è destinato a diventare uno spazio di studio e di lavoro all’avanguardia, ma anche di vita aperto a tutti i milanesi. Con Vodafone stiamo lavorando a un progetto ambizioso sul 5G che promette di trasformare la città in un modello di innovazione a livello europeo. Stiamo poi facendo moltissimo sul fronte delle startup. Oggi Milano è, al pari di Berlino o Barcellona, una città moderna e attrattiva dalla quale le università traggono e restituiscono una grande vitalità.

Come descriverebbe la donna milanese di oggi?

In pieno stile meneghino, con poche parole: intelligente, determinata e cittadina del mondo.