Qualche anno fa a Londra visitai un piccolo e insolito museo poco segnalato nelle classiche guide alla città: il Museum of Garden History. Se il piccolo giardino per quanto piacevole e ben curato non aveva nulla di esaltante rispetto ai giardini botanici e ai parchi della città, al suo interno custodiva un percorso singolare di storia del giardino dove per la prima volta vidi esposte con molta cura ed enfasi le opere e le testimonianze epistolari di una giardiniera e paesaggista di fama mondiale, vissuta in Inghilterra a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, Gertrude Jekyll, un’artista, un fenomeno nella scrittura e nella produzione di saggi, scrisse dieci libri in nove anni e 2000 articoli per i maggiori periodici in tema di giardini. Acquistai lì nel Museo un piccolo volume, edito nel 1995, dal titolo Women Gardeners, a cura di Deborah Kellaway (Virago Press, London). Scoprii così per la prima volta almeno 100 figure di donne, giardiniere nel senso ampio del termine, tutte di provenienza anglosassone che tra Ottocento e Novecento si erano dedicate al ‘mondo verde’. Coltivatrici, collezioniste, vivaiste, visionarie, progettiste, viaggiatrici, esploratrici, fioriste, scrittrici, poetesse e artiste, il catalogo è questo.

In Italia tutto questo interesse era lì da venire, in quanto negli anni ’90 erano ancora rari i testi concernenti le figure del giardiniere se non per qualche rarissima eccezione di cui vi ho parlato in un mio precedente articolo. Del genere femminile poi si parlava ancor di meno. Epocale fu la pubblicazione dell’Atlante del giardino italiano. Dizionario biografico di architetti, giardinieri, botanici, committenti, letterati e altri protagonisti, pubblicato nel 2009 dall’Istituto Poligrafico dello Stato e curato da Vincenzo Cazzato, qualche anno dopo la nostra pioneristica avventura di ricerca (ebbi la fortuna di essere aiutata dal libero ricercatore Federico Maniero) portata a termine nel 2005 dopo lunghi anni di peregrinazioni tra archivi, biblioteche, orti botanici e parchi storici Giardinieri ed esposizioni botaniche in Italia (1800-1915) per Ali&no, Perugia. Ebbene entrambi questi sforzi non sono serviti a riportare alla luce tante figure femminili perse nel tempo e oscurate dai colleghi maschi, e in generale dalle figure maschili che per forza di cose dovettero sfruttare come volani, pena rimaner relegate in ruoli che le convenzioni troppo spesso gli attribuivano. E per molto tempo ancora in Italia si è perpetrato un vuoto editoriale, sul tema della figura del giardiniere e soprattutto della giardiniera, in senso proprio e letterale della parola. Colui o colei che si prende cura del giardino sia idealmente, perché lo sogna, lo pensa e lo progetta, sia materialmente in quanto lo crea, lo ricrea, lo mantiene, lo accudisce e ne gode. Se spesso ci si occupa della storia passata, delle figure ormai scomparse, minori, con l’intento di dargli nuova vita, recuperarle da lacerti e anfratti nascosti, dalla trascuratezza e dal disinteresse delle accademie, è altrettanto importante valorizzare il presente, l’attualità di un mondo difficile da raccontare perché è vicino temporalmente o addirittura è quello in cui viviamo.

È un lavoro arduo quello che sottopongo al vostro interesse in questi giorni in cui l’attenzione al genere femminile è stimolata da una ricorrenza, la giornata della donna, erroneamente chiamata festa per necessità commerciali e non sostanziali. Si intitola Grandi Giardiniere Italiane. I volti, i luoghi, le essenze e la storia, è redatto da Nicoletta Campanella, scrittrice giornalista e soprattutto grande appassionata di letteratura arte e moda del Novecento, e pubblicato da Nicla Edizioni. Ho utilizzato il termine “arduo” opportunamente perché, in primis affrontare il racconto documentato di un repertorio di donne giardiniere del nostro secolo e per lo più ancora viventi, rappresenta un difficile processo di scelta tra tante figure importanti; inoltre, la raccolta delle informazioni non richiede meramente una consultazione tra archivi polverosi e biblioteche, ma il contatto diretto con le protagoniste e, quindi, una difficile interazione con personalità diverse, più o meno schive o disponibili a mettere se stesse al centro del racconto, più che il luogo della propria opera paesaggistica.

Come ebbi modo di riportare in altri miei contributi, Virginia Woolf colse le difficoltà nello scrivere una biografia affermando in modo lapidario: “Il biografo coscienzioso non racconta una bella storia, piena di svolazzi, ma deve faticare percorrendo labirinti infiniti, deve confondersi in mezzo alla grande quantità di documenti. Infine, la sua produzione risulta essere una massa informe: una biografia di Tennyson o di Gladstone, nella quale andremo alla ricerca sconsolata di un aneddoto o di una risata, di un’imprecazione o di un moto d’ira, di una qualsiasi traccia che testimoni che questo fossile era una volta, un essere vivente” (Granite and Rainbow, 1958).

Il viaggio che affronta l’Autrice è molto ampio e spazia tra figure ormai scomparse, dalla capostipite – sostiene poco più che nell’incipit – Lelia Caetani Howard l’ultima donna della famiglia dedita con abnegazione al magnifico Eden italiano: il giardino di Ninfa alle pendici dei Monti Lepini vicino a Latina. E gioca con il mito delle figlie di Lilith, per indicare le giardiniere italiane che affronterà con destrezza e abbondanza di informazioni biografiche, come figlie di Lelia. Lelia Caetani, di nobile famiglia, ha una vita dedicata alla cultura e all’arte; cresciuta tra Parigi e l’Italia, la sua dedizione al giardino che divenne casa, approdo, luogo di sperimentazione continua, è tale da distoglierla dalla vita mondana, figlia come era di una ereditiera americana che la avvicinò alla cultura artistica e letteraria europea. L’autrice, Nicoletta Campanella, non dimentica anche la minima notazione biografica ma si addentra con decisione negli aspetti botanici e giardinistici portando il lettore nei luoghi in modo accurato, quasi cinematografico.

Delle tredici figure che compendia in un testo di 400 pagine, molto curato nella grafica, ricca, originale e variopinta, molto adatta al racconto sul giardino, alcune sono più note, altre conosciute sicuramente tra la cerchia dei veri appassionati botanici, collezionisti, amatori di flora, ma di cui Campanella va a scavare con un lavoro infaticabile tra immagini di repertorio, documentazioni dell’epoca, testimonianze vive attraverso le sue peregrinazioni tra tanti grandi giardini italiani ormai nel novero della storia botanica del ‘900. Ne cito solo alcune perché hanno rappresentato anche per me stessa quasi dei santuari botanici, da cui non si può prescindere se ci si vuole formare in questo campo con dedizione e competenza. Si passa, quindi, dall’affascinante e leggendaria storia del parco di Ninfa alla Liguria più selvatica del parco di Villa Boccanegra a Ventimiglia, luogo incantato a picco sul mare a pochi passi dal più conosciuto giardino Hanbury, ma che fu anch’esso salvato da un’inglese, Ellen Wilmott eccentrica ereditiera follemente dedita al giardino, quando a fine Ottocento già verteva in cattive condizioni. E quindi alla sua proprietaria e giardiniera, la biologa marina Ursula Salghetti Drioli Piacenza, altra donna coraggiosa che più volte scelse di cambiare vita e luogo d’abitare seguendo l’innato sentimento della natura. Anche qui puntuale il racconto sulla vita, le difficoltà, le avventure impensate di due donne, una ottocentesca, l’altra vivente che ne ha ereditato lo spirito, la perseveranza e l’amore per la bellezza del ricreare un giardino imponente dove un territorio fragile e in grande pendenza necessitò di opere di contenimento e regimazione delle acque. Grazie a lei e al marito, noto botanico italiano, Guido Piacenza, oggi è un antico fondo di quattro ettari degradante sul mare, passato di mano nei secoli a diversi proprietari, ospita un giardino di acclimatazione per le piante provenienti dai climi di tipo mediterraneo di tutto il pianeta, dall’Australia, al Sudafrica, al Cile, alla California.

Il viaggio continua poi verso il Lazio di nuovo per parlare di un grande roseto quello di un’altra donna infaticabile, solare, con l’innata propensione per la composizione dei giardini, un’architetta mancata dice l’Autrice, che acquistando questo grande fondo a Valleranello, nella campagna romana, dà inizio a un’avventura durata decenni oggi nota in tutta Europa, la collezione di rose di Maresa del Bufalo, l’anima di Valleranello. Folgorata dalla conoscenza di grandi personaggi del paesaggismo italiano, come la coppia Andreola Vettori e Ippolito Pizzetti, Gianfranco Fineschi il professore con la passione delle rose a Cavriglia, per citarne alcuni, progettava già giardini negli anni Ottanta a Roma e stupiva anche loro per la genialità e le capacità compositive. Anche qui un giardino da collezione che non manca di alberature, cespugli rari che non hanno nulla da invidiare ai migliori giardini d’autore anglosassoni. Rose arrampicate sugli alberi, tra fichi che le accolgono in un gioco di festoni, come in un eden mediterraneo, betulle con rose bianche Noisette, Melia adzederach abbracciate da rose Paul’s ‘Himalayan Musk’.

Non posso non citare due altre giardiniere che sono state per me riferimento nella storia del giardinaggio italiano, che qui vengono raccontate con molta dovizia di particolari in relazione alla nascita e crescita dei loro giardini venuti quasi dal nulla, vecchi poderi abbandonati trasformati in paradisi verdi. I giardini della Landriana di Lavinia Taverna e il giardino dei Lauri di Lily d’Aragona. Lavinia Taverna non poteva mancare in questo catalogo di figure eccentriche e anticonvenzionali poiché oltre ad essere una grande appassionata e botanica fai da te, ha rappresentato un punto fermo nella storia della letteratura sul giardinaggio; antesignana per l’epoca, fu una rara donna che si cimentò nella scrittura di un testo fondamentale per la conoscenza delle piante da giardino mediterraneo. Grazie a Russel Page, formidabile paesaggista inglese dell’upper class italiana, contribuì a trasformare una landa sperduta nei pressi di Ostia in località Tor San Lorenzo, in un giardino a stanze, tra lo stile inglese e quello tutto italiano, tra il paesaggistico e il geometrico in una coesione e alternanza sorprendente per il visitatore che lì impara oltre che perdersi in un parco dove il giardino è fuso con il paesaggio.

Un’ultima tappa per questo breve excursus italiano, l’opera insolita di giardino delle sculture nel cuore dell’Umbria voluto e realizzato con caparbietà e stile da Lily D’Aragona insieme al figlio Massimo Lauro. Una raccolta di opere d’arte contemporanea, circa 900 opere, si stagliano tra le colline di Città di Castello, in un ambiente pacificato, libero nelle viste da edifici, isolato da tutto. Anche lei, che abitava a Napoli con la famiglia, inizialmente folgorata dai luoghi ma completamente scevra delle cognizioni paesaggistiche, si cimenta con l’aiuto del grande vivaista Benedetto Sgaravatti negli anni ’60 e crea Il giardino dei Lauri.

Campanella non è una botanica ma riesce con capacità e con l’aiuto dei botanici Rita Oliva e Stefano Marzullo, a raccontare una lunga storia dell’Italia del dopoguerra, fine conoscitrice dell’arte e della moda italiana, catapulta il lettore in una scena d’altri tempi e racconta il costume, la società, le mode di un cinquantennio. Restituisce però uno scenario ampio molto denso e seducente di storia del giardinaggio che purtroppo per molti era ancora sconosciuto.