Per voce creativa è un ciclo di interviste riservato alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione incontro Isabel Consigliere (Genova, 1968).

I fiori non li posso veder morire, per questo li metto sulla tela e così vivono più a lungo.

(Marc Chagall)

I fiori sono l’anima della poetica di Isabel Consigliere. E per salvarli, blocca la loro bellezza nel tempo. La immobilizza per eternarla. Più ampiamente, è la dimensione della botanica ad essere il nucleo fondante della sua ricerca. Isabel vive in campagna e della natura ha fatto il leitmotiv del suo lavoro. Una natura fragile e delicata. Da ritrovare e salvare.

Arriva dal teatro, Isabel. E da una casa che si affacciava sul mare. Per lei l’arte è diventata pian piano una voce. Una voce che guida, che parla delicatamente al cuore. Una dimensione mistica, che riconduce all’universale attraverso il particolare. Una missione. Che ha bisogno di onestà e raccoglimento. Di autenticità ed empatia. L’arte per Isabel è un respiro, è il profumo di una rosa. Ma è anche un modo per porsi delle domande, per aiutare a riflettere. Senza alcuna forma di aggressività visiva, senza dover essere spiazzante a tutti i costi. La bellezza, quella vera, fatta di grazia e di silenzio. La bellezza, quella pura, è forse l’arma più efficace oggi, per spiazzare. Isabel sostiene che la bellezza vada ripristinata come valore, non solo estetico. Perché lei soltanto può colpire. Può colpire davvero, più di uno schiaffo. Può arrivare dove neppure la violenza arriva. La bellezza delicata delle cose pure, può generare cambiamenti.

Nelle sue opere, questa bellezza non appassisce mai. Isabel la ferma, la sublima, la rende eterna, cristallizzandola. Petali di rosa, pappi di tarassaco, stoffe, immersi in vasche di vetro colme di liquido conservante. Bellezza e fragilità in sospensione. Isabel vive e lavora a Genova, immersa nella natura ma vicina al suo mare. E questa è la sua Voce Creativa per voi…

Chi sei?

Mi chiamo Isabel, la nonna era portoghese, lo scrivo perché molti si stupiscono del mio nome, visto che sono italiana. Ho scelto di vivere in campagna dopo aver passato tutta l’infanzia in una casa che guardava il mare. Avevo bisogno di verde, di sole mitigato dalle fronde degli alberi, di silenzio. Colleziono rose antiche, lo scrivo perché sono la mia gioia, il mio appuntamento con la primavera, con un momento prezioso che si ripete solo una volta all’anno. Il profumo. Sono un’ex-scenografa realizzatrice (colei che realizza in grande i bozzetti degli scenografi, le maschere, gli oggetti di scena). Il teatro per molti anni è stato magia e rifugio, quando la magia ha iniziato a scomparire, ho capito che era arrivato il momento di realizzare solo cose mie, arte che non avesse una funzione pratica, ma che esistesse solo per sé stessa e per parlare alle anime delle persone. Avevo capito che anche io avevo qualcosa da dire. O che bisognava dire qualcosa. Così adesso faccio la scultrice, realizzo installazioni.

In quali mondi ti raccogli per ritrovarti?

Ho bisogno di allontanarmi dalla gente, dal dover parlare “Modalità orso”, l’ha soprannominata una mia amica. Il giardino aiuta, il bosco intorno. Leggo molto. Ma alla fine il momento migliore è quando chiudo gli occhi, spesso prima del sonno, ma non necessariamente, e i pensieri vanno da soli, si trasformano in sensazioni, si trasformano in immagini.

Il tuo nervo scoperto?

La paura. Riflettevo giusto qualche giorno fa sul fatto che mi hanno fabbricato con gli occhi aperti e senza la capacità di dimenticare.

Credi in Dio?

Sì.

La fiaba nella quale credevi di più da bambina?

Una inventata da mia mamma, che tutte le sere, prima di andare a dormire, mi raccontava le avventure di Ninnina, una bambina piccola, piccola che viveva in un albero nel bosco con uno scoiattolo. Altrimenti, La figlia del Sole. La trovi nella raccolta delle fiabe italiane di Calvino. Questa presunta orfanella, in realtà figlia del sole, che sposerà il principe innamorato di lei, dopo aver portato alla morte (senza malizia) con i suoi regali magici le tre mogli scelte per lui dai genitori. Cattive. Invidiose. Ma nobili. Le parti più belle? Quando gli ambasciatori che portato l’invito per gli svariati matrimoni trovano la ragazza che passeggia su una tela di ragno o che si pettina i capelli sulla propria testa staccata e posata sulla toilette. E quando il principe, caduto in depressione, le sputa la medicina magica, ma schifosetta, in un occhio.

Se non fossi un’artista chi saresti?

Ho scoperto che mi piace collezionare e catalogare, dando un nome, una provenienza. Tenere in ordine gli oggetti belli e le conoscenze che potrebbero andare perdute. Avrei un museo. Pieno di meraviglie e di ricordi.

Perché lo fai?

Non saprei dire esattamente perché ho cominciato, sicuramente sentivo il bisogno di rendere visibili dei sentimenti, delle sensazioni. Ora, sicuramente, penso che ci sia bisogno di porre degli spunti di riflessione. Anche piuttosto scomodi e dolorosi. Penso però che il mezzo per porli non sia più la violenza, spesso gratuita, con cui molti artisti cercano di scioccare il pubblico. C’è stato un momento storico in cui questo è stato necessario, ora credo sia il momento di superarlo e che attraverso la bellezza si possa colpire, volendo, anche più duramente e poi risanare.

Stoffe, fiori, nylon, pappi di tarassaco… materiali non convenzionali, abitano teche di plexiglass… quando e come ci sei arrivata?

Credo che nelle mie opere si siano mescolati il bisogno di magia e protezione con quello di perpetuare il più possibile la bellezza della natura, che trovo fondamentale per la cura delle nostre vite.

Da dove nasce la tua ricerca?

Il mio lavoro consiste soprattutto nel cercare di rendere visibile l’invisibile, in questo i fiori, i materiali vegetali, le stoffe impalpabili ne diventano la metafora. Ad esempio, chi non sente il bisogno di sentirsi al sicuro, di avere un mantello confortevole che ci protegga? E quale protezione migliore di un vestito di pappi di tarassaco, leggero, caldo, impalpabile? Un niente fragilissimo, ma potente nel nostro immaginario, a protezione di una fragilissima, ma potente anima (Per la Sopravvivenza n°7 e n°8).

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Credo nel compito di ogni artista di mettersi a nudo, completamente e onestamente, dando la possibilità a chi non ne è capace di riconoscere archetipi universali nel particolare, di porsi delle domande, di mettersi in dubbio, di ricostruirsi. Se un’opera d’arte riesce a suscitare un’emozione profonda anche in una sola persona, credo sia un’opera riuscita. Forse le donne possono avere una maggiore sensibilità, ma pur credendo nella parità dei diritti, seppur nella diversità tra il genere maschile e femminile, penso che ogni essere umano sia unico, a suo modo, e davanti alla creazione di un’opera d’arte ognuno si ponga con la sua unicità speciale.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Sicuramente il mio lavoro deriva dalle esperienze che ho avuto, non potrei parlare di ciò che non ho vissuto. Ogni nostra azione e reazione è influenzata dal nostro passato, che ne siamo coscienti o no. Tutti siamo il risultato di stratificazioni emozionali che si susseguono fin dalla nostra nascita e questo influenza ogni nostra azione. Anche il parlare delle emozioni degli altri passa attraverso le nostre e come creare un’opera che arrivi in profondità, senza attingere alle nostre emozioni più profonde?

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Sublimazione, o della trasformazione delle lacrime (2017), perché è il punto di arrivo di una ricerca durata due anni, in cui ho cercato di rendere possibile l’impossibile: conservare dei fiori veri, lasciandoli più naturali possibile, ma al contempo leggermente trasparenti, perché divenissero la materializzazione di uno dei sentimenti che ci fanno più male: il dolore. La loro bellezza, quasi spirituale, offre la speranza di una redenzione, di un riscatto possibile.

Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?

Come dicevo, ho la tendenza a voler conservare tutto, la memoria è molto importante in tutta la mia vita. Nei miei ultimi lavori l’ho usata per ridare dignità e onore ad antiche piante abbattute senza motivo, per ricordare che la nostra vita è nella natura e da essa dipendiamo anche se continuiamo a ferirla. (Requiem per un Biancospino e per un Olmo o la serie Ex Semine).

A ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Non potrei dire una lettura particolare, ma alle spalle ho studi classici e ho sempre letto tantissimo fin da bambina. Probabilmente tutto questo è diventato un mondo inconscio che mi influenza e comunica suggestioni.

Scegli tre delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.

Requiem per un Biancospino, 2017 - Crataegus Monogyna, pappi di tarassaco, plexiglass nylon, parte interna cm. 8,5 x 6,5 h. 27, esterno cm. 36 x 33 h. 55.

Come la serie Per la Sopravvivenza, abiti trasparenti ricoperti di “soffioni”, Requiem è un lavoro sulla protezione, in questo caso del mondo intorno a noi, in particolare della natura. I rami di un biancospino centenario, abbattuto da una mano ignorante, vengono trasfigurati, nella loro bara di cristallo da una coltre di semi di tarassaco, simbolo di un qualcosa di morbido e caldo, ma, attenzione, immensamente fragile, che avvolge tutti gli esseri, per proteggere e cullare la delicatezza della nostra anima e quella del mondo. Il biancospino è una pianta considerata sacra sia dalla cultura greco-romana sia da quella celtica e nord europea. Per tutte è principalmente simbolo di protezione. Non potevo sopportare che una pianta così longeva e di così profondo significato simbolico morisse così inutilmente. Ho voluto renderle giustizia restituendole un frammento di immortalità e trasformandola in un memento del nostro abitare la terra con disattenzione e superficialità.

Physis #3 III, 2018, cera d'api, fiori veri (rosa Laure Davoust, rosa Excelsa, rosa Banksiae), liquido conservante in vasca di vetro, cm. 17x17x17.

Physis per i filosofi greci significava natura, intesa come principio intrinseco di tutti gli esseri, quello che si è in realtà, che precede le convenzioni della collettività. In questo senso io l’ho intesa anche come la nostra interiorità, la parte di noi più nascosta e fragile, l’anima del nostro stesso sangue. Ho voluto mostrarla in forme di reliquiari, sezioni anatomiche, reperti dalle cui ferite sgorga materializzata sotto forma di petali e fiori, a ricordarci che dietro alla violenza, al rumore alla superficialità a cui ogni giorno ci adeguiamo, in noi scorre un’anima originaria. Quella che ci rende capaci di sentire, creare, comprendere. Tutti i fiori che uso provengono dal mio giardino e mi piace ricordarli per nome per sottolineare la loro unica bellezza.

Sublimazione, o dell’ultima notte, 2017, fiori veri (Rosa Banksiae, Prunus Domestica Ramassin), stoffa, imbottitura, liquido conservante in vasca di vetro, cm. 20x20x20.

La sublimazione può essere un fenomeno sia materiale che spirituale. È un momento preciso: il passaggio da uno stato di materia solida a un altro più leggero, gassoso, da uno stato dello spirito a uno più elevato. È attraversamento di un confine invisibile, che mediante un fenomeno al limite del favoloso, smaterializza e muta la sostanza delle cose, rendendola più sottile, più nobile. Attraverso la sublimazione anche ciò che ci appare inaccettabile, il dolore, la morte, possono assumere un nuovo valore, elevarsi e cambiare in un nuova forma più gentile alle nostre corde emotive. Passato il momento dell’esacerbazione, la sublimazione ci apre una nuova strada, mostrandoci che anche ciò che sembra insuperabile muta, trasformandosi in una essenza più sottile, che fa parte di un ordine più vasto e ci risolleva, sopravvivendo nonostante tutto.

L’opera d’arte che ti fa dire: “questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

The Garden of Unearthly Delights di Matt Collishaw.

Un o una artista che avresti voluto esser tu:

Berlinde de Bruyckere.

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Uno serio.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia:

Distratto, epigonale, non supportante.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Canto musica antica, in particolare medioevale e sto imparando a suonare la viella (piccolo strumento a corde in uso nel medioevo). Anche qui il lavoro di ricerca è appassionante: lo studio delle fonti, i manoscritti originali, a volte difficilmente reperibili, il loro confronto con le trascrizioni “moderne”, che a volte non corrispondono. Spesso non è possibile dare un’interpretazione univoca, ma mi piace scavare, conoscere.

Work in progress e progetti per il futuro:

Continuare sulla strada di Sublimazione, ora che i problemi tecnici sono stati risolti, i fiori serviranno per un ciclo di opere sulla vita e la morte. Ma è un lavoro delicato, faticoso e lento. Ci vorrà un poco di tempo. D’altra parte tutte le mie opere richiedono pazienza e, quasi, meditazione durante la loro realizzazione. Un momento lungo e lento durante il quale il tempo si ferma ed esistono solo le mie mani, i mie occhi e l’opera. In quel momento sto bene. Nonostante al risveglio spesso il dolore fisico sia forte, ne è valsa la pena.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore:

Parafrasando: “Mi fa molto piacere aver conosciuto questa nuova cosa. Ora provvederò immediatamente a dimenticarla, per non occupare spazio prezioso nel mio cervello” (Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle).