L’antico contrasto tra spirito e materia non ha perso intensità e ancora oggi è fonte di profonde tensioni e contraddizioni.

Viviamo in un’epoca di materialismo e la nostra è una società che produce e consuma beni spesso superflui e inutili; anche il cibo non si sottrae alle rigide regole di questo modello sociale dominante. Le scelte quotidiane legate ai bisogni alimentari, oltre a riflettere il nostro livello di empatia nei confronti dell’ambiente e degli animali, influiscono sul rapporto che s’instaura tra la dimensione fisica e quella dello spirito.

In questa prospettiva il concetto di “sacralità” è una questione che emerge dal “basso”, un qualcosa che riguarda le azioni che rivolgiamo a noi stessi e agli altri. L’attenzione rivolta al nutrimento dello spirito spesso è indirizzata anche al sostentamento e all’educazione del corpo. A questo proposito il passato offre degli esempi estremi soprattutto per quanto riguarda le regole imposte dagli ordini religiosi. Ad esempio, nella tradizione occidentale medievale la separazione tra corpo e anima era assoluta; la materia fisica era considerata una “dimensione ingombrante”, una fonte di tentazioni e sofferenze, e il tema del peccato dominava sia il mondo della fede sia quello della quotidianità, con tutte le sue implicazioni pratiche.

Era l’epoca in cui mistici, asceti ed eremiti si muovevano ai margini del mondo: chiusi nelle grotte, nelle celle dei monasteri, dispersi nel deserto o immersi nella folla, le loro menti erano costantemente proiettate in un’esperienza di spiritualità esclusiva e totalizzante. Un riferimento etimologico degno di nota riguarda la parola “ascetismo” (dal greco askesis, esercizio), un termine che in origine era impiegato per designare l’allenamento e la dieta sostenuti dagli atleti per migliorare le proprie prestazioni sportive. Alcune comunità di monaci hanno affrontato questo genere di problematiche in maniera meno conflittuale, adottando abitudini alimentari meno rigide e quindi più adatte alla vita dei conventi che prevedeva, oltre alle attività prettamente spirituali, anche un inteso lavoro fisico (ora et labora).

Al contrario, quando la spinta religiosa, mossa dalla negazione degli aspetti materiali connessi alla vita, assumeva i caratteri di una radicale trasformazione, le necessità alimentari venivano controllate attraverso lunghi periodi di restrizioni caloriche e digiuni. Un esempio tipico è offerto dagli ordini “mendicanti” (Francescani, Gesuiti, Carmelitani, Trinitari, ecc.) che per mettere in atto questi propositi vivevano in condizioni di estrema indigenza.

Se nella vita di un mistico la contemplazione, la preghiera e l’autocontrollo diventano atti estremi, esiste la possibilità che si possa verificare una sorta di “cortocircuito”, di “distorsione” della propria immagine corporea con esiti potenzialmente pericolosi. L’opposizione tra materia e spirito, in contrasto con il desiderio di soddisfare un bisogno fondamentale come la fame, oltre ad annullare i processi di autoidentificazione (totale annullamento dell’ego), può innescare delle dinamiche conflittuali deleterie per la stessa sopravvivenza biologica del corpo. Non è rara l’eventualità che il desiderio di fondersi con una dimensione "immateriale” possa spingere un individuo a sperimentare una sensazione di profonda estraneità nei confronti della realtà fisica.

A questo proposito è interessante notare che la vita di molti mistici occidentali (sia uomini che donne) è spesso costellata di gravi sofferenze fisiche connesse a varie patologie. In questi casi lo schiacciante predominio dello spirito sul corpo determina una specie di “disintegrazione” della materia, con la conseguente rottura di quell’unità e senso d’integrazione psicofisica fondamentali per la vita di ogni individuo. A volte un’alimentazione minima che possa garantire accettabili condizioni di sopravvivenza si rivela una preziosa risorsa per ristabilire un corretto equilibrio energetico.

Nella cultura orientale, invece, le esperienze di questo tipo assumono generalmente un valore diverso, tenuto conto che da migliaia di anni le iniziazioni a qualsiasi pratica spirituale richiedono, oltre a precise ristrettezze dietetiche, anche un’accurata preparazione fisica. Basti pensare alla tradizione dello Yoga, dove la dimensione materiale diventa un perfetto strumento di trasformazione e crescita personali; in questo specifico ambito, infatti, è attribuita molta importanza a una serie di tecniche posturali (soprattutto asanas e mudras) e respiratorie (pranayama), eseguite in piena consapevolezza e in uno stato di rilassamento sia muscolare sia psichico.