Gianluca Bisol, direttore generale dell’azienda di Valdobbiadene che rappresenta cinque secoli di storia e l’eccellenza del Prosecco nel mondo, sintetizza con queste parole la sua filosofia imprenditoriale. "Lavoriamo con grande passione affinché Conegliano abbia lo stesso prestigio di Reims, Valdobbiadene lo stesso fascino di Epernay e il Prosecco la stessa notorietà dello champagne". Con un’estensione di 177 ettari di vigneti, una salda conduzione familiare che passa di padre in figlio e oggi è guidata dai due fratelli Antonio ed Eliseo e i loro figli Gianluca e Desiderio, Claudio e Alberto e una cura meticolosa di tutta la filiera, dall’acino al bicchiere, questa realtà vitivinicola ha raggiunto i mercati internazionali. L'anno scorso Bisol si è distinto con cinque argenti alla nona edizione dell’AWC Vienna, la più grande competizione di vino riconosciuta ufficialmente dall'Unione Europea in una gara che coinvolgeva ben 11.514 vini di 37 paesi diversi e, quest'anno, è stato premiato all’International Wine & Spirit Competition e al Decanter World Wine Awards.

Mariateresa Cerretelli: Quali sono i segreti della continua ascesa di Bisol?
Gianluca Bisol: La scommessa è stata fatta sulla qualità per un prodotto per il quale non è così scontato pensare alla qualità perché si banalizza il Prosecco relegandolo a un prodotto molto commerciale e industriale per persone che non se ne intendono. In realtà noi abbiamo puntato tutto sulla qualità e abbiamo dimostrato che pur essendo un vino semplice con caratteristiche che lo rendono popolare in realtà, lavorando bene sul vigneto, si riesce a ottenere un risultato che entusiasma anche i palati più raffinati. Questo ci ha subito posto su un piedistallo nella zona del Prosecco come un’azienda di riferimento per la qualità di questo vino che è diventato famoso in tutto il mondo e, grazie al nostro alto livello in questa categoria, è diventato ancora più visibile in tutti i paesi del mondo. Abbiamo puntato su un target che si è moltiplicato negli anni e questa scelta ci ha premiato. E si è creato un circolo virtuoso.

MC: Bisol è oggi un nome conosciuto in Italia e all'estero. Quali sono stati i primi passi per conquistare il mercato?
GB: Vent’anni fa, cercando un paese dedicato ai vini spumanti, ho puntato sull’Inghilterra. Il mercato inglese era il più ricco per lo champagne e all’inizio ho avuto enormi difficoltà, anche perché nei primi anni Novanta l’Inghilterra era in piena recessione, ma la fortuna mi ha permesso di entrare in contatto con le persone giuste che hanno creduto nel nostro prodotto e l’hanno proposto ai palati più di tendenza. E questo giudizio positivo automaticamente si è moltiplicato e si è riversato in tutta la ristorazione. L’Inghilterra resta il mercato nel quale si creano le tendenze del mondo. Londra è una città veramente cosmopolita, frequentata dalle élite internazionali. È lì che si va per conoscere le tendenze del gusto ed esportarle nei propri paesi. E mi sono reso conto che più entravo nella ristorazione londinese, più aumentavano le possibilità di inserirmi in altri paesi e oggi la Gran Bretagna resta il mercato più forte di Bisol e, nel 2013 ha addirittura superato quello italiano.

MC: In quali altri paesi esportate?
GB: Dopo l’Italia, gli Stati Uniti e la Svizzera ci sono 61 paesi nel mondo dove è presente Bisol nelle migliori carte dei vini con una particolare attenzione ai mercati asiatici, come Hong Kong e Cina. Il prodotto che vendiamo di più nel mondo è Jeio perché ha un gusto particolarmente delicato e piacevole che lo rende perfetto a tutte le ore. E poi anche l’immagine e il nome di questo vino restano impressi nella memoria.

MC: Dalle colline di Valdobbiadene alla Tenuta nella Laguna più bella del mondo sull’Isola di Mazzorbo, gemella di Burano. Qui si trova Venissa l’antica vigna murata recuperata dalla famiglia Bisol, il raffinato ostello dotato di sei suite e l’ottimo ristorante gestito dallo chef Antonia Klugmann. Come è nata questa nuova avventura?
GB: Nel 2001, mentre accompagnavo un cliente a Torcello a visitare la splendida basilica di Santa Maria Assunta, ho notato una pianta di vite nel giardino di un antiquario e sono venuto a sapere poco dopo che si trattava della Dorona, vitigno autoctono veneziano sul quale maturavano grappoli di uva dal chicco giallo carico e da lì il vino più apprezzato dai Dogi. Con mio fratello Desiderio e l’enologo Roberto Cipresso abbiamo trovato 90 piante di questo vitigno. Così è rinato a vigna il terreno di Venissa che era in stato di completo abbandono e abbiamo dedicato l’unico ettaro al mondo alla Dorona. Nello stesso tempo sono tornati a vivere i frutteti e gli antichi orti seguiti e coltivati giorno per giorno dalla comunità di Burano. Ed è stato creato il Consorzio di Venezia nativa con lo scopo di far tornare a risplendere queste isole, cuore della storia di Venezia. E ora la Dorona è un’etichetta d’eccellenza.

MC: Quali sono gli obiettivi futuri per Venissa e per la Venezia nativa?
GB: Il futuro è riportare queste tre isole che hanno dato i natali a Venezia a essere il luogo cult di Venezia, un luogo più trendy, dove chi sceglie di venire lo fa per non cascare nella massificazione che sta subendo Venezia con il suo turismo dilagante. Questa progressiva banalizzazione della destinazione Venezia, non può che far crescere Venezia nativa che diventerà un punto privilegiato per gustare appieno la bellezza di Venezia.

Per maggiori informazioni:
www.bisol.it
www.venissa.it