Mi ha fatto sempre sorridere incontrare per le strade della Sicilia le moto ape o i furgoni, generalmente di fruttivendoli, fregiati sul retro con la fatidica scritta: LA TUA INVIDIA È LA MIA FORTUNA! Perché mai un sentimento così devastante potrebbe essere considerato addirittura una fortuna? Probabilmente perché l'invidia è anche ammirazione segreta e quindi una parziale ammissione del sentirsi inferiore di fronte all’altro?

Emozione primitiva conosciuta fin dai tempi più antichi e analizzata dai più grandi filosofi, l’invidia in latino significa «videre, guardare contro, ostilmente, o guardare male, quindi "gettare il malocchio” e si riferisce a uno stato d'animo per cui, in relazione a un bene o una qualità posseduta da un altro, si prova dispiacere e astio per non avere noi quel bene…».

In effetti, chi lo prova vive una profonda frustrazione, si sente inadeguato e in una posizione di inferiorità rispetto all’altro e dal confronto sociale ne esce come perdente. Quindi, forse, viene considerata una fortuna anche perché è una sofferenza che rovina la vita dell’invidioso? L’invidia infatti genera dolore, ma anche tristezza rispetto al bene altrui che l'invidioso vorrebbe per sé poiché pensa che l'altro li possegga immeritatamente e debba essere punito per questo.

Nasce «l’invidia maligna» e quindi l’odio e la soddisfazione per le disgrazie del prossimo. Infatti, nella competizione sociale, il momentaneo svantaggio dell’altro riduce il dolore dell’invidia e quella sfortuna, forse “per volontà divina”, placa il senso di giustizia provocando una sensazione piacevole. Probabilmente l’altro, con i suoi successi, mette in pericolo il nostro orgoglio, diminuisce la nostra gloria e ci mette di fronte allo specchio, costringendoci a un confronto onesto. Ecco che nasce l’ostilità per la felicità dell’altro e il bisogno di abbassarlo di livello. Friedrich Nietzsche ha scritto che il moralismo cristiano esalta i valori di altruismo ed egualitarismo, mentre, in realtà, scatena l’odio. Entra in gioco la cattiveria e quindi lo studio diabolico delle strategie mirate a diminuire lo status del rivale, oppure, a neutralizzarlo definitivamente. Spesso lo si fa in modo subdolo, con commenti denigratori dietro le spalle e seminando bugie tra le persone a lui vicine, in modo da privarlo di ciò che lo rende invidiabile: la stima degli altri.

Vittime del peccato diabolico per eccellenza, dominati da uno dei sette vizi capitali, non stupisce che Dante, nella Divina Commedia, metta gli invidiosi in Purgatorio, con le palpebre cucite da fil di ferro per chi ha gioito alla vista dei mali altrui. Stiamo parlando dell’emozione negativa che tutti provano ma nessuno ammette.

A prescindere dalla professione che svolgi, dal ceto sociale a cui appartieni, dalla tua provenienza geografica o dalle differenze di genere, ci sarà sempre qualcuno che sarà invidioso di te, di quello che possiedi, della tua posizione o semplicemente della tua felicità. Non vi è età per questo dolore sociale che colpisce tutti indistintamente, dai bambini nei primi mesi di vita agli anziani nei loro ultimi anni di vita. Si ha quasi sempre la sensazione che il “privilegio” dell’altro non sia meritato.

Grazie a esperimenti scientifici è stato provato che questo stato d’animo è conosciuto anche nel mondo animale. Un’emozione pericolosa per sé e per gli altri che non è mai a senso unico, ma può essere provata ad esempio, anche da una persona potente che teme colui che dal basso sembra voler prendere il suo posto con le sue abilità. Ecco che a questo punto, chi vive in una posizione di grande vantaggio, può fingere false disavventure e disgrazie per abbassarsi al livello degli altri divenendo temporaneamente meno invidiabile.

La cosa interessante è che spesso i bersagli dell’invidia sono persone a noi molto vicine o ai quali vogliamo bene come: compagni di classe, colleghi, amici, fratelli o partner. Questo perché sono facilmente paragonabili a noi e quindi è più forte la possibile competizione. Infatti, per la soddisfazione personale conta quanto si ha rispetto agli altri con cui ci si rapporta ogni giorno.

Esiste però un possibile risvolto positivo dell’Invidia, quando diventa un campanello d’allarme utile ad avvertirci della possibilità di essere perdenti nel confronto sociale e quindi ci spinge al miglioramento. Si sviluppa a questo punto il desiderio di emulazione per la persona ammirata che ci permette di canalizzare le energie per cercare di raggiungere lo stesso riconoscimento ricevuto dagli altri, facendo forza però solamente sulle nostre capacità. Credo che bisognerebbe concentrarsi di più sull’invidia benigna, quella priva di sentimenti ostili, che sprona a utilizzare le proprie risorse e conquistare obiettivi personali senza accanirsi su qualcosa che non si può avere. È fondamentale nutrire quotidianamente l’autostima e pensare a ciò che si può fare grazie alle proprie capacità e non scagliarsi contro qualcuno, perdendo tempo ed energia, nel tentativo o nella speranza di distruggerlo.

Personalmente conosco i miei pregi e i miei limiti e non faccio fatica a riconoscere le doti altrui. Amo fare complimenti sinceri a colleghi e artisti che mi hanno emozionato in profondità con i loro film, le loro performance o semplicemente a tutti quelli che hanno fatto bene il proprio lavoro, ma sento spesso nella loro reazione una sorta di scetticismo di base. Come se non si fidassero delle mie parole. Forse pensano sia impossibile il fatto che qualcuno possa essere sincero con loro senza doppi giochi e sono convinti, invece, che io stia rodendo dentro dall’invidia. Ritengo assurdo il fatto che sia necessario battersi per dimostrare che le tue parole non sono pilotate da questa brutta bestia ed è veramente triste pensare, in certi casi, che sia addirittura meglio non dire nulla e reprimere i sentimenti positivi.

Da qualsiasi prospettiva io osservi la nostra società risulta evidente che non siamo ancora in grado di gestire e curare questo terribile veleno che intossica inevitabilmente le nostre vite.