La mostra suggerisce un’idea della fotografia come esercizio dello sguardo. Presenta artisti che vivono cambiamenti epocali nel modo di sentire lo spazio e il tempo, le immagini, la loro moltiplicazione e dispersione. Si tratta di un’analisi delle potenzialità della fotografia come strumento di conoscenza che restituisce all’occhio quello che sta forse disimparando per accumulazione o cecità culturale: saper vedere e sentire la relazione reciproca tra le immagini.

Il desiderio di ritornare agli elementi basilari della fotografia, la luce e il tempo, di riattualizzare tecniche e procedimenti obsoleti, di riavvicinarsi al miracolo dell’analogico e alla camera oscura o di insistere a usare sempre la stessa macchina, s’intreccia a un’attitudine rivolta alla reinterpretazione di artefatti che appartengono all’alba della fotografia o alla ricerca e raccolta di immagini già esistenti – di altri, anonime o povere – trovate dove nessuno le cercava più. Immagini, queste ultime, che vengono guardate e riguardate, tagliate e ri-fotografate, avvicinate, ingrandite, raggruppate, sovrapposte, riorganizzate e, così, riescono ancora rivelare il loro potenziale semantico. Nelle fotografie si riconosce quella mescolanza di arte e scienza, d’ispirazione artistica e invenzione tecnologica dei pionieri, che ha fatto avanzare le scoperte di quegli inventori. Si tratta di opere che coinvolgono lo spettatore in un atto di complicità, lo costringono a un’intimità.

‘Mai lasciare incustodite le fotografie’ – come allude, con ironia, il titolo della mostra, tratto dalla pellicola del 1958 di Louis Malle, Ascenseur pour l'échafaud (Ascensore per il patibolo) – perché non si sa mai cosa possa farne un artista.

Accanto a Linda Fregni Nagler (Stoccolma, 1976, vive a Milano) che, questa volta, sceglie, tra i vetri per lanterna magica della sua collezione di 3600 pezzi, immagini di fumo, li stampa con procedimento analogico su carta positiva diretta e li ricolora a mano, traducendo così la materialità e la sostanza cromatica degli artefatti originali, c’è un fotografo che lavora e tiene sempre con sé una 35mm come Jochen Lempert (Moers, 1958, vive ad Amburgo), a cui appartiene la stessa naturale disposizione a riconoscere e combinare corrispondenze di forme. L’artista tedesco ci pone di fronte a concrete realtà che, senza la sua cortese insistenza per farcele notare, ci sfuggirebbero. E ci fa rivedere cose che ci sono passate accanto mentre eravamo distratti, amplificando la visione attraverso un modo inedito di arrangiare coreograficamente le immagini nello spazio espositivo.

La stessa intensità di relazione con l’immagine si riconosce, da sempre, nei collage di John Stezaker (Worcester, 1949, vive a Londra) come nelle opere di Alessandra Spranzi (Milano, 1962, vive a Milano) in cui la qualità combinatoria del palinsesto visivo o le sorprendenti operazioni di slittamento semantico riescono a provocare un specie di incanto di fronte a un fenomeno inatteso che sempre si rigenera.

C’è poi chi, come Johan Österholm (Borås, 1983, vive a Malmö), si fa sedurre dalle immagini che vengono dal cielo e realizza fotografie off-camera, ottenute senza l’uso della macchina, ma per impressione diretta, anche della metà di una mela o della luna, giocando con la quantità di luce in rapporto alla sensibilità dell’emulsione.

Un ritorno alla sperimentazione che, anche nella pratica di Leticia Ramos (Santo Antônio da Patrulha,1976, vive a San Paolo), si nutre della fascinazione a ottenere immagini che si incidono su una superficie fotosensibile. L’artista brasiliana presenta una serie inedita di fotogrammi che ricostruiscono sulla carta fotografica l’immagine di una scultura – che sembra omaggiare, fin dal titolo, il repertorio organico concretista della sua cultura – in cui la luce evidenzia la varietà delle superfici, i vuoti e i pieni, in un gioco infinito di possibilità visive.

Questa visione moltiplicata è ottenuta, in tutt’altro modo, da Barbara Probst (Monaco di Baviera, 1964, vive a New York) che costruisce una messa in scena calcolata per stravolgere il sistema prospettico monoculare di origine rinascimentale destinato a essere incorporato nella fotografia, ottenendo una doppia immagine simultanea di una pattinatrice su ghiaccio a Central Park.