Come sempre, il Ravenna Festival è capace di coinvolgerci, facendoci percorrere una strada maestra, in questo caso il “sogno” di Martin Luther King nel cinquantesimo della morte, con le contraddizioni della società e della cultura americane di quei decenni, per poi accompagnarci nelle tante vie che da quella strada maestra si diramano.

Senza volerci addentrare in tutta questa complessa serie di itinerari, basta prendere in mano l’elegante e ricco catalogo della ventinovesima edizione del Festival, per orientarsi e fissare l’attenzione su temi e contributi stimolanti e illuminanti. Le pagine del catalogo si aprono con un puntuale saggio di Paolo Naso Martin Luther King, un leader e il suo movimento, che sfata luoghi comuni e ci dà un’immagine chiarificatrice del personaggio e del suo contesto. L’autore, infatti, mette in guardia dal considerare Martin una icona semplificata della non-violenza, così come bisogna ricordare che non fu lui a inventare il movimento per i diritti civili, ma fu il movimento a “inventare” chi divenne, poi, la sua bandiera.

Molto significativa anche l’evoluzione del pensiero e dell’azione del reverendo, che, finché si mantenne nei limiti della lotta per i diritti civili fu accettato diventando addirittura “personaggio da copertina, acclamato e riverito da un ampio fronte culturale politico e religioso”. Quando poi, con la guerra del Vietnam, il suo pensiero si radicalizzò, smascherando il nesso tra razzismo, consumismo e militarismo, che metteva in discussione i fondamenti stessi del sogno americano, ecco che Martin patì quell’isolamento che probabilmente favorì la sua eliminazione.

Quella stessa società americana che era uscita dagli anni bui del maccartismo che, fra gli altri, aveva colpito Leonard Bernstein, altra icona del Festival, ricordato nel centenario della nascita con l'esecuzione di alcune sue composizioni sinfoniche e a cui il catalogo dedica il contributo di Giovanni Gavazzeni Largo al Factotum del Novecento, i talenti di Mr. Bernstein. Una figura, quella del musicista americano, che si attaglia perfettamente alla filosofia del Festival, che si apre a una concezione della cultura a 360°, perché, come scrisse Leonard: “Il nostro senso della verità deve essere interdisciplinare, e il nostro senso della bellezza espansivo, anche eclettico. I nostri orizzonti non potranno mai essere sufficienti. Dobbiamo riuscire ad abbracciare l’intuitivo e il razionale, il teorico e il pratico”.

Franco Masotti, in Ostinato: del minimalismo in musica indaga il fenomeno di matrice anche qui americana del Minimalismo musicale di cui il Festival ha presentato In C per ensemble, di Terry Riley: difficile riconoscerne le origini, certa musica medievale e indiana? Satie, Ravel? Ogni autore e opera minimalista ha le sue “illuminazioni”, l’importante è considerare la rilevanza e il significato di questo fenomeno di reazione “alla complessità intellettuale dell’avanguardia musicale europea”. Atteggiamento riscontrabile, ad esempio, anche in certo jazz di fine anni Sessanta, in particolare in Miles Davis (Sanctuary 1969) come contrapposizione alla deriva cerebrale e programmatica del “free jazz”. Ma, attenzione, la semplicità, la ripetitività minimaliste non vanno confuse con la musica di “tappezzeria” o di atmosfera tipo chillout, perché spesso, dietro l’apparente povertà c’è tutta una poetica di “ripetizioni, aumentazioni, sfasamenti di permutazioni numeriche, addizioni”, un microcosmo che stimola la nostra percezione del tempo come qualcosa di immobile e nello stesso tempo in continua evoluzione, di grande fascino ipnotico.

Il sottotitolo del Ravenna Festival 2018 è “A j ò fat un sogn”, a rivendicare, oltre alla dimensione nazionale e internazionale, anche quella locale, una dimensione che Ravenna può esibire, forte della sua significativa dimensione storica. Una parte del catalogo è quindi dedicata alla scoperta e riscoperta di siti e musei della città di particolare rilevanza: Profetiche visioni e messaggeri celesti di Giovanni Gardini approfondisce l'iconografia dell'eburnea Cattedra di Massimiano, "capolavoro assoluto dell'arte bizantina", svelandone aspetti inusitati, mentre Emanuela Fiori, in Sogni e schermaglie d'amore negli avori cortesi del Museo Nazionale di Ravenna ci svela la versione mondana ed erotica dell'uso dell'avorio, complice la raffinatezza di un gotico che nell'avorio rappresentava l'incarnato della donna icona dell'amor cortese.

Meno nota tra le architetture ravennati, la “Casa del Mutilato” offre il destro a Claudio Spadoni di puntualizzare in Arte e regimi, il significato della scelta del mosaico per decorarne gli ampi saloni, una scelta di “ritorno all’ordine”, dopo la ventata futurista, consona del resto al bisogno del regime fascista di serrare le fila degli artisti in previsione dell’entrata in guerra. Infatti, i pannelli musivi della Casa illustrano la Guerra d’Africa, la Prima guerra mondiale e la Guerra di Spagna e si collegano idealmente ad altri due mosaici, che ne aprivano e concludevano la serie, celebranti parallelamente il Duce che marcia su Roma e Giulio Cesare che varca il Rubicone. La città del mosaico voleva così, secondo la vulgata fascista, proiettare in un presente e in un futuro eroico la sua millenaria tradizione musiva, così come il fatale Rubicone di Giulio Cesare si rinnovava nella fatale Marcia su Roma di Mussolini.

D'altronde, l'esigenza di uscire da una visione privatistica e borghese dell'arte circolava, nei primi decenni del '900, in altri contesti, come in De Stijl: "Abbiamo dato al colore il posto idoneo che gli spetta nell'architettura e sosteniamo che la pittura separata dalla costruzione architettura, cioè il quadro, non ha alcun diritto di esistere." e anche nella Russia sovietica si denunciava che: "Le arti spaziali potranno uscire dalla crisi nella quale si trovano soltanto quando saranno subordinate al compito di servire le esigenze concrete del proletariato ...".

Rimanendo a Ravenna e percorrendo le strade e i siti dove si svolge il Festival, ecco che possiamo percepire un'altra interpretazione dell'uso del mosaico, anche qui andando al di là di una fruizione puramente privata o di carattere ideologico, infatti il mosaico è impiegato in insegne di botteghe, targhe stradali, arredo urbano, o è protagonista della fontana Ardea Purpurea, concepita dal Ravenna Festival 1999 e realizzata da Marco Bravura, le cui tessere musive rappresentano alfabeti e simboli di civiltà e culture diverse, dall'alto valore simbolico di fratellanza, che è poi una delle finalità di ogni edizione del Ravenna Festival, che nella sua sezione Le vie dell'Amicizia, porta in giro per il mondo il linguaggio universale dell'arte anche come veicolo di conoscenza e di empatia fra i popoli. Il catalogo è stato realizzato con la direzione editoriale di Franco Masotti, progetto editoriale di Giovanni Trabalza, redazione di Susanna Venturi e Cristina Ghirardini e progetto grafico di Antonella La Rosa.