Le tribune stampa sono al completo e per trovare un posto a sedere, dato che la giornata sarà lunga devo salire fino al terzo piano di quel meraviglioso palazzo che ospita il nostro Senato della Repubblica. Sembra di essere a teatro, cammini nel corridoio circolare e trovi le porte di accesso alle tribune o grandi palchi che si affacciano su una platea di gradinate tipo teatro greco dove siedono i 315 senatori italiani, di fronte ai banchi: il più alto dove siede al centro la Presidente Casellati e sotto altri due dove hanno trovato posto il Presidente del Consiglio e tutti i ministri.

Mi guardo intorno e percepisco il serio rigore del luogo, richiama alla memoria tante immagini di statisti, di uomini politici che hanno fatto la storia d'Italia, discorsi, decreti, leggi discusse là dentro, il tutto ovattato e protetto dai legni delle boiserie. Siamo dentro al labirintico Palazzo Madama, guarda caso progettato da uno dei pupilli di casa Medici, Giuliano da Sangallo, quel Giuliano che disegnò insieme al fratello Antonio (il vecchio) e il quale dopo la sua morte la realizzò a partire dal fortilizio quadrato costruito dai pisani, la Fortezza vecchia, primo nucleo abitativo della futura città di Livorno nel 1516.

In questi luoghi, si svolge la vita politica che dà voce alla Repubblica italiana nell'uno e nell'altro si è dato vita a una città unica al mondo, la città ideale medicea che è Livorno. Ebbene, palazzo Madama frutto della abilità ingegneristica e architettonica del Sangallo, ha visto nascere come primo atto di fiducia, il governo della 18ma legislatura, o meglio quello che i diretti responsabili chiamano il governo della terza Repubblica. Purtroppo non esiste più la concezione dantesca che è l'amore che “mòve il mondo e le altre stelle”, ma l'economia è il motore di tutto adesso e per questa si lavora affinché essa crei flussi monetari che facciano ripartire aziende, produttività e ricchezza in modo da garantire il benessere a tutti e abbattere l'enorme debito pubblico.

Si è a lungo cercato di creare un aggregato di correnti politiche che soddisfacessero il voto degli italiani in questi tre mesi, che costituissero maggioranza e che potessero avere punti in comune per governare. Abbiamo assistito a un corteggiamento tra parti che il compianto Danilo Mainardi, illustre etologo, ci raccontava nei suoi documentari. Avvicinamenti e proposte tra giovani spavaldi, rifiuti per risposte, così da indurre a passare ad altri pretendenti appena sfiorati e sfuggiti sul nascere di qualsiasi opportunità e tornare infine al primo obiettivo con un vezzeggio di avvicinamenti e allontanamenti che hanno portato in fine all'unione.

Così, il 5 giugno 2018, dopo un andirivieni di primi ministri pro tempore, si vara finalmente il governo, sulla base di un contratto redatto e firmato dalle due forze politiche che lo compongono, una sorta di patto di collaborazione per il raggiungimento di una serie di obiettivi condivisi che cambieranno non solo la situazione italiana ma anche il modo di fare politica e di governare. Ed è qui, all'interno dell'opera edilizia del prosecutore delle dottrine del Bramante e del Leon Battista Alberti che entra il premier prof. Conte e i ministri nominati.

Conte entra e si siede al centro del tavolo dei ministri, a suo fianco da un lato Salvini e dall'altro di Maio. Conte è una persona che non lascia parlare di sé attraverso le sue espressioni, è molto tecnico, professionale e imbarazzato per il nuovo incarico che il presidente della Repubblica gli ha conferito. Inizia il suo discorso sulle linee programmatiche del nuovo governo che si definisce di rottura, un governo dei cittadini per riportarli al centro delle questioni politiche. Legge, ogni tanto incespica su qualche parola con un aria quasi distaccata di chi fino adesso viveva altrove e si trova per caso in quella funzione. Racconta del contratto di governo, della funzione che avrà di rompere il vecchio sistema delle passate Repubbliche, di porre una democrazia diretta e partecipata che opera alla costruzione del governo stesso. Cita “il populismo è l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente” ispirandosi alle riflessioni di Dostoevskij, tratte dalle pagine di Puškin proprio per esprimere il suo concetto di anti-sistema laddove un anti-sistema diventa esso stesso nuovo sistema preposto ad annullare i vecchi privilegi. Anche il presidente francese Macron, il più colto uomo politico, aveva citato lo stesso autore simbolo della letteratura russa, che reinterpretò il poema epico di Puškin, adattandolo alla sua idea del mondo, cogliendo pienamente il senso che l'autore voleva dare, "...grande armonia universale, dell’accordo definitivo fraterno di tutte le razze".

Afferma Conte l'importanza del principio di responsabilità della politica, pensiero tratto dal filosofo Jonas del quale assorbe e gira alla platea il significato della responsabilità dell'agire, che se immediato può essere un mero tornaconto di chi esegue, ma diverso ed utile è pensare un agire a lungo termine in modo che sia una risorsa per le generazioni future. Tutta la seduta è stata caratterizzata da rumoreggiamenti o applausi a seconda che il discorso incontrasse i pensieri dei sostenitori o la disapprovazione dell'opposizione.

Alla voce del potenziamento della legittima difesa e ai problemi legati alla immigrazione parte uno scroscio di applausi da Lega e M5S mentre il PD rimane immobile anche per l'atteggiamento critico verso le ONG. Si parla di de-carbonizzazione dei processi produttivi per una tutela dell'ambiente e di abbattimento delle immissioni di CO2 e di tutti i problemi che determina l'uso del carbon fossile; di dare pari dignità lavorativa alle donne, cosa che adesso è ancora un miraggio; della volontà di consolidare l'alleanza con gli Stati Uniti ma anche con la Russia. Politica economia e diritto - dice Conte - rappresentano una triade che diventa oggi di una tale importanza da considerarla religione universale.

Tutto ciò accade nella media attenzione dei Senatori, ciascuno con il proprio cellulare di fronte il quale ogni tanto dirotta l'interesse di uno o dell'altro senza esclusioni di cariche. Soltanto in un momento l'intero emiciclo del Senato si dimostra coeso nella sua totalità, alla parola “contrasteremo le mafie”. Tutto il M5S si alza in piedi e applaude con grida intonando “fuori la mafia dallo Stato”. La presidente del Senato Casellati, costretta a richiamare l'ordine, esterna un “non mi pare sia il caso” e mette tutti a sedere. Al capitolo conflitto di interessi invece, dagli scranni di Forza Italia una senatrice bionda punta il dito sui ministri gridando “vale anche per voi!” risponde dai Dem una voce “viva il Parlamento!”. Insomma un incontenibile fermento di voci, di sbuffi, di ammiccamenti, accompagna con commenti puntualmente personali i punti cruciali del contratto che sancisce la nascita del governo di rottura.

Nel momento in cui parla del bracciante ucciso a fucilate mentre andava a lavoro, lavoratore regolarizzato in Italia, Conte rivolge un pensiero ai familiari di questa vittima di un razzismo che tende a precisare “non c'è e non ci sarà mai”. Qui si vede di nuovo il Senato unito in un applauso corale con tutti i Senatori in piedi in modo molto coinvolgente.

Incrementare la sussidiarietà del terzo settore è un altro punto cardine del programma per l'importanza che le associazioni non profit hanno nell'inserirsi negli spazi vuoti dell'amministrazione, proponendo una nuova riforma del terzo settore, affermazione che vede nuovamente la sinistra borbottare. Infine si rivolge alle forze politiche che faranno opposizione, auspicando che esse costituiscano una opposizione sana, leale e costruttiva, che dice Conte “è il sale della politica” perché porta a riflessioni e maggiore visione del problema. Mentre esprime questa raccomandazione, dagli spalti di una opposizione si eleva un “che c... c'entra!”, a questo punto si palesa un Presidente del Consiglio diverso, non il lettore di un discorso già scritto, Conte infatti si interrompe e col dito alzato, mimando rimprovero, dice "facendo così non affermiamo la centralità del parlamento!". Dalla parte di sinistra dell'emiciclo e da quello di destra si alzano rumori per la sgridata ricevuta.

Non sarà facile l'impresa di questa nuova legislatura, che vede due forze politiche al timone provenienti da origini differenti. Mediare la volontà forte e caratterizzante delle due, porterà sicuramente ad attriti interni come è naturale ipotizzare. Mediare significa deviare la traiettoria per trovare un punto d'intersezione, ma come si fa a trovare l'intercetta tra due rette poste su piani diversi? Entrambe devono deviare. Da una parte deve correggere la rotta un Movimento 5 Stelle nato come forma sperimentale di un magma politico costituito dalla stanchezza e dalla rabbia del persistere di situazioni di disagio della maggior parte degli italiani, ma che succede però in questa naturale evoluzione o adattamento? Accade che probabilmente la parte più ortodossa che accolse il messaggio di ribellione non si riconosca più, portando alla creazione di correnti di pensiero divergenti tra chi reclama la rivoluzione da apriscatole e chi riconosce la necessità di costruire un linguaggio meno aspro e più democratico.

Dalla parte opposta esiste un relitto di centro destra che è stato eletto da cittadini che credevano nella coalizione del loro partito con gli altri due, ma si sono trovati beffati dalle tre derive che hanno direzionato ciascuna forza politica: nel caso specifico per la votazione della fiducia al governo una parte dell'elettorato si è trovata ad essere rappresentata da chi ha detto sì, una parte da chi ha detto no e un altra parte ancora con chi si è astenuto, ma si sono rispecchiati in quelle decisioni? Cosa avrebbero voluto? Non ne è stato tenuto conto di loro.

Quello a cui abbiamo assistito il 5 giugno è la nascita di un governo che trasformerà il paese, da burocratico a smart, dove la voce dei cittadini italiani dovrà avere ascolto ed essere parte attiva nella gestione dell'impresa Italia. Noi intanto siamo qua, ad aspettare il cambiamento, se questo riuscirà a farci uscire dal magma dei procedimenti istituzionali incancreniti che bloccano o rallentano la risoluzione dei tanti problemi che hanno reso possibile questa “rivoluzione”.

Più che Dostoevskij richiamerei alla mente il Dickens del Racconto delle due città nel quale il disequilibrio sociale sfoga nella forte reazione popolare. "Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l'epoca della fede e l'epoca della incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi".