Nei giorni 11-14 aprile si è tenuto a Skopje (FY Repubblica di Macedonia) il Seminario indetto dalla NATO Science for Peace and Security Programme sul tema Defence against Terrorism, Enhancing Resilience of Democratic Institutions and Rule of Law. Al Seminario hanno partecipato famosi accademici, rappresentanti dei Ministeri della difesa e dell’Interno, magistrati, esponenti degli organi di polizia, provenienti da vari paesi d’Europa, come Stati Uniti, Regno Unito. Germania, Francia, Italia, Grecia, Croazia. La scelta della data, ma soprattutto quella della sede, non è stata priva di significato. All’inizio di quest’anno la NATO ha deciso di stringere i tempi, affidando l’organizzazione dell’evento alla diplomatica Myrianne Coen in veste di Membro del Comitato Scientifico del CSSII (Centro Studi Strategici Internazionale e Imprenditoriali) dell’Università di Firenze, che aveva svolto analogo incarico in occasione del Seminario NATO del novembre 2007, tenutosi a Sofia sul tema della tratta degli esseri umani.

Non sfugge il legame tra tale tempestività e la particolare contingenza della scena politica internazionale, che vede il riaprirsi, inaspettato sino a pochi anni fa, di un clima di guerra fredda, di cui l’Europa orientale rischia di divenire uno dei principali teatri, insieme a quello del Medio Oriente e della Siria in particolare. Ancora più significativa la scelta della Repubblica di Macedonia, alla vigilia del suo possibile ingresso nella NATO ed in prospettiva nell’UE. Obiettivi ai quali quella nazione è particolarmente interessata sia per la sua posizione geografica di cuscinetto tra Albania, Grecia e Bulgaria, già da anni membri della NATO ed il Kossovo, non ancora riconosciuto come stato indipendente dall’ONU, nonostante sia stato formalmente riconosciuto da ben 113 su 193 stati membri delle Nazioni Unite e da 23 dei 28 paesi membri dell’UE.

Ma mentre la Serbia continua ancora a considerare il Kossovo una propria provincia, in via di risoluzione, non senza fatica, è la disputa tra Grecia e Macedonia circa il nome di quest’ultimo paese, che ne ha tuttora uno provvisorio FYROM - Former Yugoslav Republic of Macedonia, (in italiano Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia). Comprensibile dunque lo straordinario interesse ed accoglienza del paese ospitante nei confronti del Seminario, come dimostrato dall’invito rivolto ai partecipanti dal Presidente della Repubblica a conclusione dei lavori. Con l’ingresso nella Nato e nell’UE (che ha già accettato la Repubblica di Macedonia come paese candidato all’entrata ed appena chiuso il seminario si è dichiarata pronta ad aprire i negoziati), il paese vedrebbe finalmente la soluzione delle residue dispute territoriali di confine, originate dalla presenza di minoranze di lingua albanese, kossovara e bulgara, oltre che della annosa disputa con la Grecia di cui si è parlato.

La capitale ha accolto i partecipanti con il suo aspetto migliore. Il suo centro è stato oggetto di interventi di riqualificazione attraverso una sapiente armonia architettonica e della efficienza dei servizi. Affascinante l’illuminazione notturna del fiume, dei monumenti, delle piazze e delle imponenti statue che la arricchiscono.

Chi scrive ha svolto la relazione di apertura nella prima giornata, nell’unica seduta aperta al pubblico, alla quale hanno partecipato, ambasciatori, funzionari NATO, addetti alla difesa, oltre che numerosi studenti delle locali università. Il tema era: “Organizzazioni criminali e rischi contro la democrazia- Rischi da evitare”. In sostanza si trattava di affrontare il problema posto ai paesi di tutta Europa e direi del mondo intero dalla criminalità organizzata e dal terrorismo, dalla minaccia che questi fenomeni producono sulla convivenza civile, sulla sicurezza dei cittadini, ed ancora più sul regolare funzionamento delle istituzioni e delle regole democratiche che le governano. Si è evidenziato, anche attraverso una variegata esemplificazione, la sostanziale, progressiva omologazione dei fenomeni di criminalità organizzata di tipo comune, ed in particolare quelle di tipo mafioso e le organizzazioni terroristiche attuali di preponderante matrice di radicalismo islamico. Già in passato erano emersi collegamenti e collusioni tra i due mondi criminali, ma il processo di globalizzazione che ha interessato l’economia ha conferito al crimine organizzato di qualunque natura una dimensione transnazionale, che ha formato oggetto di specifico esame nella Convenzione ONU di Palermo del 2000.

Risulta pertanto sempre più necessario che a questo processo, che appare inarrestabile ed in forte crescita tendenziale, si accompagni, sulla scia della Convenzione ONU di Palermo ed, ancora prima, della “Azione comune” del 21 dicembre 1998, adottata dal Consiglio dell’Unione Europea, (che ha costituito la base della successiva Convenzione ONU) una progressiva omologazione delle legislazioni in tema di punibilità delle associazioni criminali negli Stati Membri dell’Unione Europea. Il processo è già in atto ma sono ancora necessari forti passi in avanti, che devono interessare i paesi interessati all’ingresso nella UE, come la Repubblica di Macedonia, e ciò non solo per facilitare le procedure di ingresso, ma, soprattutto, per affrontare con strumenti normativi più aggiornati le esigenze di contrasto ai fenomeni criminali sopra evidenziati.

È stato altresì evidenziato, quale corollario dei fenomeni criminali comuni e terroristico, un fenomeno diffuso ormai a livello globale, ma che riguarda molto da vicino i paesi balcanici, oltre che numerosi paesi europei, tanto da comprometterne in profondità le strutture istituzionali, le garanzie democratiche e la credibilità internazionale. Si tratta del fenomeno della corruzione, si intende quella sistemica, assunta come modo di funzionamento ordinario dello stato e delle sue articolazioni. L’opinione pubblica di questi paesi ne è vittima e ne deriva sfiducia e rassegnazione, essendo ogni forma di reazione vana ed oltretutto pericolosa. A titolo di esempio possono farsi gli esempi degli omicidi di due giornalisti, uccisi nel corso degli ultimi mesi per le coraggiose inchieste condotte a Malta e in Slovacchia circa le collusioni corruttive del potere, al più alto livello di governo, con organizzazioni criminali transnazionali.

La giornalista Daphne Caruana Galizia è stata uccisa a Malta il 16 ottobre 2017 mentre si trovava sulla sua autovettura trasformata in autobomba, in perfetto stile mafioso-terroristico. La Galizia stava lavorando, almeno questa è l’ipotesi più probabile, secondo la ricostruzione di un gruppo di giornalisti di vari paesi (per l’Italia vi aderisce il quotidiano La Repubblica), nell’inchiesta Daphne Project, ad un patto corruttivo tra il governo azero e quello maltese che avrebbe consentito al primo di operare nell’Eurozona a una banca di proprietà iraniana, la Pilatus, di fatto come la finanziaria del regime Azero, iscritto nelle black list del mondo intero, e attraverso la banca ai suoi clienti, oligarchi russi, sceicchi del Golfo, corrotti satrapi azeri e ai loro capitali “neri”. Sarebbero emersi inoltre, secondo testimonianze già acquisite all’inchiesta, contatti tra esponenti di governo e i presunti esecutori materiali (i fratelli Alfred e George De Giorgio, già arrestati insieme a Vincent Muscat) qualche mese prima dell’attentato.

Il secondo caso è quello dell’omicidio del giornalista di Jan Kuciak e della sua compagna, avvenuto in Slovacchia il 25 febbraio di quest’anno. Il giovane giornalista stata lavorando ad un’inchiesta circa le infiltrazioni di imprenditori legati alla ‘ndrangheta calabrese e del loro collegamento con alti esponenti del governo. Anche se i presunti autori sono stati successivamente scarcerati per mancanza di prove, va rilevato come lo scandalo esploso in quel paese ha portato alle dimissioni prima del ministro degli interni e poi del primo ministro Fico. È interessante aggiungere che dopo qualche mese Antonino Vadalà, uno dei fratelli indagati per l’omicidio e per i contatti con gli esponenti governativi di cui sopra, è stato arrestato dalla DDA di Venezia per vari reati, tra i quali traffico internazionale di sostanze stupefacenti e riciclaggio, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Nel corso delle intercettazioni telefoniche disposte dalla procura veneta l’uomo faceva esplicito riferimento alla “disponibilità” in Slovacchia di doganieri ed esponenti dei servizi segreti per l’ingresso di ogni tipo di merce (soprattutto droga).

Nel corso del dibattito il fattore della corruzione è stato più volte ripreso con accenti di allarme e preoccupazione in quanto dilagante all’interno delle istituzioni, anche e forse soprattutto, giudiziarie. Si è fatto cenno a percentuali che non possono che suscitare sconcerto, vicine al 90%, ed è stato rappresentato come in uno di quei paesi si sia arrivati alla necessità di sospendere a tempo indeterminato ogni attività giudiziaria (civile, penale, amministrativa) per consentire la verifica, magistrato per magistrato, dei patrimoni mobiliari e immobiliari a sua disposizione, con l’obbligo di dare rigorosa e documentata prova dell’origine degli stessi, senza la quale si procede all’espulsione dalla magistratura ed all’apertura di procedimenti penali per corruzione.

Assai diffusa la necessità di provvedere alla difesa nei confronti della minaccia terroristica attraverso provvedimenti legislativi, strutture istituzionali, collegamenti operativi a livello NATO ed EU. È una preoccupazione comprensibile se si pensa che una componente non minoritaria dei foreign fighters combattenti in Siria proviene dai paesi balcanici e che è realistica la prospettiva di un loro prossimo ritorno in patria. E tuttavia è stata percepita da parte degli osservatori più attenti come il tema del terrorismo abbia costituito una sorta di velo rispetto al problema della criminalità organizzata, per la quale non si può certo parlare di timori per il futuro, dal momento che rimane accertata la sua presenza assai consistente in quell’area e che i Balcani sono tradizionalmente il territorio di transito di droga, armi, merci contraffatte, di tratta di esseri umani, tra i quali il traffico imponente di prostitute da quei paesi verso l’Europa occidentale, mercati criminali che non esisterebbero senza il supporto di potenti organizzazioni criminali di tipo mafioso. Vengono in evidenza collusioni, anche all’interno delle ambasciate occidentali, volte a favorire traffici di visti contraffatti o concessi illegalmente, di merci, come animali vivi o macellati, adeguatamente documentati nel Nord Europa, del tutto privi di garanzie sanitarie.

Cosa impedisce ai magistrati, agli esponenti istituzionali di quei paesi di esporre con chiarezza, in maniera documentata, lo stato delle presenze della criminalità organizzata, quali i traffici gestiti, se nel settore delle costruzioni, delle discariche dei rifiuti, del riciclaggio, della prostituzione, o delle case da gioco? Si ha insomma l’impressione che si tratta di argomenti da trattare con cautela, quasi si trattasse di un problema sul quale è meglio essere prudenti e parlarne il meno possibile. Il dato è negativo sotto un duplice profilo. Il primo è che non affrontare con coraggio e determinazione il problema equivale ad assicurarne l’impunità e consentirne la crescita; il secondo è che le strutture di contrasto, di qualsiasi natura esse siano, che si ritengono necessarie per il contrasto al terrorismo, rischiano di rimanere sottoutilizzate se non impiegate anche contro i trafficanti di droga e i mafiosi di ogni genere. Il punto è che, contrariamente al terrorismo, in un paese nel quale le istituzioni sono devastate dalla corruzione, le mafie trovano un terreno nel quale muoversi con disinvoltura a tutti i livelli. Con le illimitate risorse di cui dispongono esse sono in grado di muovere contemporaneamente le leve della corruzione e dell’intimidazione e in tempi brevi possono soffocare economie e istituzioni ancora deboli, anche con collegamenti con organizzazioni terroristiche quando può risultare utile ai loro interessi. Un grave pericolo per la democrazia.

Quanto ai pericoli derivanti dal terrorismo, vi sono quelli diretti (attentati con vittime innocenti) e quelli indiretti. Questi ultimi consistono nella sapiente costruzione di un clima di paura, utilizzata da movimenti populisti per progetti di tipo nazionalistico e autoritario, contrassegnato da chiusure identitarie e religiose, fenomeni di xenofobia e razzismo, spesso anche di antisemitismo, compressione delle garanzie democratiche attraverso la riduzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, sistemi elettorali che assicurano una democrazia formale, dietro la quale opera la dittatura della maggioranza, che una volta stabilita al potere, tende a perpetuarsi per decenni. Gli esempi non mancano di certo. Il Rule of Law (il cammino verso lo stato di diritto) viene compromesso e interrotto.

Un’Europa composta da stati a forte spinta nazionalistica e autoritaria, e per di più a forte tendenza antieuropea, non è certo quello che occorre per stabilire un quadro democratico integrato, che assicuri al tempo stesso sicurezza e giustizia, rigore e rispetto delle garanzie dei cittadini, benessere e crescita economica e sociale. Per arrivare a questi risultati è necessario che vi sia stabilita una effettiva divisione dei poteri, l’attribuzione alla magistratura sia requirente che giudicante, di piena autonomia e indipendenza dagli altri poteri, di possibilità di disporre della polizia giudiziaria senza interferenze del potere esecutivo, il tutto in un quadro di garanzie processuali e di rispetto dei diritti della difesa. Non meno importante il sostegno di una stampa libera da censure e da condizionamenti, che sostenga il lavoro dei magistrati e informi correttamente la pubblica opinione, al di là delle verità di comodo. Sul piano politico, leggi elettorali che consentano l’alternanza al governo, il rispetto delle minoranze, la effettiva libertà di voto e di partecipazione dei cittadini alla vita politica. Sul piano economico, sistema fiscale equo che sia in grado di redistribuire la ricchezza tra tutti i cittadini, lotta all’evasione fiscale e ai paradisi fiscali all’interno dell’Europa. Condizioni che possono sembrare scontate, ma che sono invece obiettivi di medio termine sui quali è richiesto il massimo impegno di governi, parlamenti e cittadini, tanto all’Ovest che all’Est, come hanno sottolineato gli esperti convenuti a Skopje.