Gli strumenti finanziari derivati sono i contratti il cui valore “deriva” ossia dipende dall’andamento di altre variabili di riferimento (sottostante o “underlying”), alle cui oscillazioni le parti pattuiscono di collegarlo.

Come sapientemente affermato dal grande economista statunitense Warren Buffet: “la varietà dei contratti derivati trova un limite solo nell’immaginazione dell’uomo (o talvolta, a quanto pare, del folle)”. Infatti, il sottostante può assumere la più diversa natura: dal prezzo di mercato delle materie prime e delle merci, alle quotazioni dei titoli azionari/obbligazionari, tassi di interesse, tassi di cambio delle valute, merito di credito (“rating”), fino agli eventi naturali (condizioni meteorologiche, terremoti) e politici/economici (colpi di stato, “default” Stati sovrani). Le parti contraenti possono decidere, in piena autonomia negoziale, la variabile economica (indipendente e non predeterminata al momento della stipula) alla quale viene parametrato lo strumento finanziario derivato, così come possono concordare lo scambio, alla scadenza pattuita, del bene sottostante (“physical delivery”) o soltanto ed unicamente del “differenziale” (“netting”).

Per questa loro grande varietà, i derivati vengono spesso considerati strumenti della cosiddetta “finanza creativa”, soprattutto in relazione alle tipologie più originali e fantasiose, progressivamente introdotte sulle piazze finanziarie più sofisticate, quali ad esempio i derivati sulle variabili climatiche (“weather derivatives”), sulle tariffe di trasporto (“freight derivatives”), sugli immobili (“real estate derivatives”).

I derivati sono contratti “aleatori”, in quanto la misura delle prestazioni è collegata a un elemento incerto all’atto della stipula, che dipende dal valore/livello del sottostante, definito “capitale nozionale”, nel momento in cui la prestazione viene adempiuta, in funzione quindi della dinamica futura di una specifica variabile finanziaria (o di un complesso di variabili) il cui andamento non risulta controllabile dalle parti del contratto. I derivati sono, inoltre, contratti “a termine” ovvero “ad esecuzione differita” in quanto all’atto della loro conclusione le parti si accordano sulle condizioni alle quali avverrà, oppure potrebbe avvenire, in futuro, una transazione avente ad oggetto l’attività sottostante (underlying asset).

I derivati hanno come causa contrattuale il trasferimento da un soggetto a un altro del rischio economico (rischio di mercato, rischio di credito, rischio emittente, rischio di controparte) collegato a un’attività sottostante, e vengono utilizzati con due principali finalità: la funzione protettiva o di copertura (“hedging”), ovvero per ridurre o meglio gestire un rischio finanziario attraverso l’acquisto di un derivato “di segno opposto”; la funzione speculativa (“trading”), ovvero per assumere un’esposizione ad un certo sottostante al fine di conseguire un profitto, anche attraverso operazioni di “arbitraggio”. Le tipologie più diffuse sono i contratti “forward” e “future”, i contratti “swap” e le “opzioni”, rientranti tutti, pur con differenti caratteristiche tecniche, nello schema del contratto di scambio a termine.

Il mercato dei derivati è divenuto nel tempo il più grande mercato globale di strumenti finanziari. In base ai dati più recenti pubblicati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali – BRI (Bank for International Settlements – BIS), la stima dei derivati esistenti a livello mondiale, aggiornata alla prima metà del 2017, ammonta ad un valore nozionale di 542 trilioni di USD, ossia 542 mila miliardi di dollari americani, pari a circa 7/8 volte il Prodotto interno lordo mondiale (PIL stimato intorno a 75 mila miliardi di dollari). Anche se vengono comunemente percepiti dall’opinione pubblica come strumenti finanziari generati dall’economia moderna, soprattutto in seguito alla loro massima diffusione negli ultimi 50 anni, i derivati in realtà hanno un’origine antichissima.

Si ritiene infatti che i primi prototipi di contratti derivati siano rintracciabili già nella Mesopotamia del XIX secolo a.C. Gli studiosi assiriologi hanno infatti ritrovato diverse tavolette d’argilla risalenti a tale epoca, pervenute fino ai nostri giorni, recanti i primi esempi di “contratti a termine” volti ad annullare il rischio delle consegne future di merci a fronte di pagamenti ricevuti in anticipo per le stesse. In particolare, viene ritenuto come derivato il caso di un contratto (probabilmente di finanziamento) nel quale un soggetto riceve una certa quantità di argento obbligandosi a consegnare in futuro al creditore una certa quantità di orzo stabilita in base al tasso di cambio argento/orzo che sarà in vigore al momento della consegna dell’orzo: ne deriva, pertanto, che al momento della consegna dell’argento nessuna delle due parti contraenti è in grado di sapere quanto orzo dovrà essere consegnato successivamente in cambio dell’argento oggetto della transazione documentata dalla tavoletta cuneiforme. Le popolazioni medio-orientali conoscevano e utilizzavano i contratti “future” sui prodotti agricoli: le promesse di pagamento e gli scambi prefissati delle merci in una data futura garantivano la possibilità di sostentamento, anche in caso di condizioni climatiche avverse.

Un altro antico esempio di contratto derivato, assimilabile alle prime “opzioni” dirette a limitare a una somma predeterminata il rischio della mancata consegna futura di merci, viene rintracciato dagli studiosi assiriologi nella legge n. 48 del Codice di Hammurabi (1800 a.C. circa), secondo cui: “se qualcuno ha un debito per un prestito, e una tempesta danneggia i cereali, o il raccolto perisce, o i cereali non crescono per carenza di acqua, in quell’anno non ha bisogno di dare al creditore alcuna quantità di cereali, egli lava nell’acqua la tavola in cui è segnato il debito e non paga alcuna rendita per tale anno”.

Secondo alcuni studi, il più antico esempio di contratto derivato è rintracciabile nella Bibbia (1700 a.C.), laddove si narra (Genesi, 29) che Giacobbe acquistò da Labano, tramite un contratto verbale, l’“opzione” (il diritto, ma non l’obbligo) di sposarne la figlia Rachele (l’underlying asset) in cambio di sette anni di lavoro (il premio). Tuttavia, al termine del periodo previsto, allo scadere dell’“option”, Labano non rispettò l’accordo e sostituì l’“asset” dando in moglie a Giacobbe la primogenita Lia, anziché Rachele. Giacobbe, a questo punto, volendo sposare Rachele, della quale era innamorato, ottenne da Labano la concessione di una seconda opzione, ossia la facoltà di sposare Rachele in cambio di ulteriori sette anni di lavoro gratuito.

Il primo derivato si concluse pertanto con un “default”, in quanto Giacobbe fu costretto a pagare il doppio del prezzo convenuto per ottenere alla fine un “asset” inesorabilmente svalutato dal decorso del tempo. La vicenda di Giacobbe evidenzia come soltanto un adeguato controllo del mercato finanziario e un'attenta regolamentazione consentano di evitare la violazione degli accordi presi e l’insoddisfazione delle parti contraenti, rendendo così più efficienti e sicuri gli scambi, e meno frequenti i fallimenti.

Nell’antica Grecia si ritrova un altro esempio di contratto derivato, raccontato da Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) con l’aneddoto dei frantoi di Talete, riportato nella “Politica”. Aristotele narra che Talete di Mileto (624 a.C. – 547 a.C.), uno degli iniziatori del pensiero filosofico dell’antica Grecia, non godeva di grande credito presso i suoi contemporanei che lo prendevano in giro per la sua povertà, chiara e lampante dimostrazione della inutilità della sua filosofia. Ma Talete aveva una vasta cultura in molti altri settori, anche scientifici, ed infatti fece fortuna, nel 580 a.C., grazie alle conoscenze in materia di astronomia che gli consentirono di prevedere, in pieno inverno, un’estate con un’abbondante produzione di olive. Convinto di ciò, Talete investì i suoi pochi risparmi e prese in affitto tutti i frantoi per la produzione dell’olio presenti a Mileto e nella vicina isola di Chio, dei quali prenotò l’utilizzo pagando un prezzo molto basso, perché era in anticipo, e successivamente, realizzatosi effettivamente il ricco raccolto di olive superiore alle aspettative, ebbe la possibilità di cedere i contratti di affitto contro un corrispettivo molto più alto, in quanto tutti avevano bisogno dei frantoi, e lucrò così il differenziale.

Talete risulta essere il protagonista di una delle più antiche testimonianze storico-letterarie di contratto di opzione “reale”, in quanto stipulò in inverno, quando la domanda era ovviamente più bassa, un’”opzione” sull’utilizzo dei frantoi in autunno, stagione di massima domanda; egli acquistò in anticipo il diritto (non l’obbligo) di poter utilizzare i frantoi a proprio piacimento e vantaggio, quasi fosse in una posizione di monopolio. Nella storia narrata da Aristotele, il valore dell’opzione è dato dalla somma di denaro (i risparmi di una vita) che Talete paga in anticipo ai proprietari dei frantoi, che dipende ovvero “deriva” dal valore dell’attività sottostante (prezzo di noleggio dei frantoi); alla scadenza dell’opzione, maturata la ricca stagione del raccolto, Talete ha il diritto di utilizzare i frantoi al canone tradizionale, ma preferisce cedere l’utilizzo dei torchi spuntando un prezzo superiore, spinto dalla forte domanda di mercato.