Si racconta che fosse una serata piovosa. Erano all'incirca le 20 del 9 ottobre 1992 e Michelle Knapp, diciottenne statunitense, stava guardando la Tv insieme alla famiglia nella sua casa di Wells Street a Peekskill, una cittadina di 25.000 abitanti dello Stato di New York.

Un fragore improvviso e vicinissimo la spinse a uscire di corsa sulla strada, dove trovò la sua Chevrolet Malibu rossa fiammante, da poco acquistata per 400 dollari, con il portabagagli schiacciato e accartocciato. Poco distante una strana pietra incandescente che odorava di zolfo. Michelle ancora non lo sapeva, ma quel curioso oggetto vecchio di 4 miliardi e mezzo di anni aveva viaggiato centinaia di milioni di chilometri prima di colpire la sua automobile e consegnarsi a lei.

Da quel momento Peekskill non è più nota solo per aver visto nascere Mel Gibson, ma anche e soprattutto per quel meteorite di 30 centimetri e 12 chili a cui in molti furono subito interessati. Sia la roccia che il rottame di auto vennero alla fine venduti al miglior offerente restituendo alla giovane Michelle ben più di quello che era stato speso per la rossa Chevrolet. In fondo il cielo aveva tolto e il cielo restituiva con gli interessi.

Da allora il meteorite è passato di mano in mano ed è stato anche diviso in più parti per accontentare vari collezionisti pronti a pagare cifre ragguardevoli per ogni grammo della preziosa pietra. Il pezzo più grande, poco meno di un chilo, appartiene oggi a Darryl Pitt, fondatore e curatore della Macovich Collection di New York, il quale si è aggiudicato anche l'ormai storica Malibu. Ed è proprio lei, con quella vistosa ammaccatura alla carrozzeria del portabagagli, ad aver lasciato gli Stati Uniti dopo 25 anni dalla 'ferita' subìta e a trovarsi oggi, protetta da una teca di vetro, all'ingresso del Museo Nazionale di Storia Naturale a Parigi dove fino al 10 giugno è in corso l'esposizione Meteoriti: tra Cielo e Terra.

"I meteoriti fanno sognare. Basta tenerli tra le mani per percepire la loro differenza", racconta nel catalogo il curatore della mostra, Matthieu Gounelle. "Sono pesanti e sembrano cedere alla gravità più facilmente rispetto alle rocce terrestri. Ricchi di ferro e contenenti al loro interno polveri di stelle, i meteoriti sono rocce diverse da tutte le altre". L'esposizione parigina, nel bel palazzo della Grande Galerie de l'Evolution, all'estremità dell'Orto Botanico, ce ne mostra centinaia provenienti dalla stessa collezione del Museo di Storia Naturale e da altre raccolte pubbliche e private di tutto il mondo. Un viaggio nello spazio e nel tempo, a partire da quando i meteoriti erano accolti come manifestazioni divine, fino al loro ingresso nel mondo scientifico, agli albori dell'Ottocento, per arrivare alle ultime ricerche e scoperte.

Così oggi sappiamo che quelle scie luminose che popolano le notti di agosto non sono stelle che cadono, bensì meteore, cioè pezzi di roccia e minerali staccati dagli asteroidi del nostro sistema solare e in orbita intorno al sole. Siamo nel momento dell'anno in cui la Terra attraversa lo sciame di quei meteoroidi, alcuni dei quali entrano così nella nostra atmosfera a velocità straordinarie (fino a 50.000 km l'ora). L'attrito con l'aria li frena violentemente rendendoli incandescenti, e ai nostri occhi appaiono per pochi secondi scie luminose, giusto il tempo, secondo una credenza popolare ancora diffusa, di esprimere un desiderio. Subito dopo la meteora si vaporizza, oppure esplode, inondando l'atmosfera di polvere cosmica.

Non sempre, però, la dissoluzione è completa. A volte succede che alcune parti della massa originale sopravvivano all'avventuroso viaggio e allora dal cielo arrivano sulla nostra testa pezzi di roccia, piccoli o grandi, che una volta giunti a terra, cambiano il loro nome e diventano meteoriti, 'ambasciatori' di spazi e tempi infinitamente lontani. Quei brandelli di minerali misti a pietra dal colore scuro, spesso nero, sono infatti vecchi di miliardi di anni e i più antichi ci trasportano ai primordi della formazione del nostro sistema solare.

I ricercatori stimano che circa 500 meteoriti tocchino il suolo terrestre nell'arco di dodici mesi, ma soltanto una decina di questi vengono trovati. L'esposizione parigina ci mostra i ricercatori durante la loro scrupolosa osservazione nelle sabbie del deserto o tra i ghiacci dell'Antartide. Ci fa anche toccare i meteoriti, accarezzare la loro superficie ormai fredda, sentirne le rugosità e persino l' odore. Si arriva addirittura a palpare le superfici di Marte e della Luna, grazie a due rocce 'schizzate' qui dalle loro altezze cosmiche. E se abbiamo la prova della presenza di acqua allo stato liquido nel passato di Marte è perché i 'sassi' che questo pianeta ci ha inviato contengono una grande quantità di argilla.

Tutta l'affascinante storia della nascita del nostro sistema solare è racchiusa in quelle rocce. Cominciò 4 miliardi e mezzo di anni fa, 9 dopo il Big Bang, con l'esplosione di una enorme stella, da cui scaturirono una nebulosa di gas, polveri e detriti. Forze di attrazione, vortici e venti elettromagnetici portarono a nuovi addensamenti di questo materiale, a collisioni e ad altre esplosioni fino ad arrivare alla formazione dei pianeti. Il primo fu Marte. La Terra e Venere arrivarono solo 10 milioni di anni più tardi. La Luna nacque dallo scontro tra la Terra e un altro pianeta, Theia, che scomparve. Asteroidi e meteroidi sono ciò che è rimasto di questo caos primordiale, si potrebbe dire che sono la 'spazzatura', gli 'avanzi' del nostro sistema solare, che talvolta, turbati da eventi cosmici, finiscono come bombe sui vari pianeti. Un grosso problema, che sarebbe ancora più grosso se non ci fosse l'atmosfera a proteggere le nostre teste.

Purtroppo i meteoriti, pur messaggeri di informazioni preziose, non hanno tuttavia la qualità della discrezione. Possono arrivare dappertutto e a ogni ora senza troppo preavviso e senza nessuna attenzione ai guai che sono capaci di procurare. Oltre a Michelle Knapp, ne sa qualcosa anche la signora Ann Elisabeth Hodges che il 30 novembre del 1954 si riposava sul suo divano a Sylacauga, in Alabama, quando venne svegliata repentinamente e seriamente ferita da un meteorite adesso esposto alla mostra di Parigi.

Nel 1972 a Valero, in Venezuela, una vacca fu trovata morta con il collo fracassato da una pietra di 38 chili trovata vicino al suo corpo. Peggio ancora quello che è avvenuto a Celjabinsk, in Russia, la mattina del 15 febbraio 2013, quando una meteora di 15 metri di diametro è esplosa alcune decine di chilometri sopra la città con un'onda d'urto che ha frantumato 200.000 metri quadrati di finestre, le cui schegge hanno provocato centinaia di feriti. Per non parlare, infine, del famoso meteorite di 10 km di diametro che, provocando una catastrofe ecologica, causò l'estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa. Il cratere di Chixculub, nel Golfo del Messico, con i suoi 150 km di diametro, è ancora lì a testimoniarcelo. Sulla crosta terrestre oggi appaiono più di 190 crateri dovuti all'impatto di meteoriti. In Italia l'ultima roccia è piovuta a Fermo il 25 settembre del 1996 e pesa 10 chili. Due grossi esemplari di meteoriti risalgono invece alla fine dell'Ottocento. Uno pesava 200 kg ed è stato trovato in provincia di Brescia, l'altro, di 50 chili, cadde a Bagnone, in Toscana e ora si trova al Museo di Scienze naturali di Pisa.

Proprio perché questi 'signori' ambasciatori non sono di troppi complimenti e non si fanno annunciare, una grande quantità di stazioni astronomiche, compresa la Nasa, scrutano il cielo palmo a palmo cercando di individuare gli elementi volanti più pericolosi. È' vero che nessun meteorite, ad oggi, ha mai ucciso un uomo. È vero che tre quarti della superficie terrestre è composta di acqua e un'altra buona parte da deserti e zone impervie, così che le probabilità di un impatto sui centri abitati diminuiscono in maniera significativa. È anche vero che un urto catastrofico come quello del Golfo del Messico è previsto accadere solo ogni cento milioni di anni, mentre gravi danni in aree ristrette - un esempio è Celjabinsk - si verificano ogni 10.000 anni.

Ma i rischi esistono. Il prossimo allarme è per il 13 aprile 2029, quando l'asteroide Apophis, 27 milioni di tonnellate, passerà a meno di 35.000 chilometri dalla Terra. Sarà catturato dalla nostra forza di attrazione e si fionderà su di noi? Se ciò avvenisse si calcola che provocherebbe un cratere di quasi 3 chilometri e l'impatto sarebbe 65.000 volte più potente della bomba nucleare lanciata su Hiroshima. "In un primo momento Apophis era considerato molto pericoloso, ma oggi la possibilità che possa cadere sul nostro pianeta è totalmente esclusa", ci conforta Alberto Cellino, ricercatore dell'Osservatorio astronomico di Torino, uno dei molti istituti che ispezionano lo spazio.

Ma se oggi non c'è niente di cui preoccuparsi, nel futuro prossimo Apophis potrebbe darci dei grattacapi. "Nel 2029, avvicinandosi molto alla Terra questo asteroide subirà una perturbazione che potrebbe cambiare la sua orbita", spiega Cellino. "Gli effetti di tale mutamento possono essere calcolati solo con una certa approssimazione e quindi non è facile prevedere adesso il suo comportamento al prossimo passaggio previsto per il 2036". Nel frattempo, comunque, si continuano a studiare gli eventuali mezzi per proteggerci dai meteoriti, anche se fino ad ora non ne sono stati trovati di veramente efficaci. "Le probabilità che queste collisioni avvengano sono molto basse, ma, se accadono, i problemi possono essere molto gravi. Il caso peggiore", fa presente il ricercatore italiano "è un oggetto grosso che arriva nel giro di pochi giorni o poche settimane dal suo avvistamento. Allora siamo in grado di fare ben poco, se non organizzare un' evacuazione generale nell'area in cui è previsto cadere. Se invece i tempi dell'impatto sono più lontani, si può pensare di perturbare l'asteroide per fargli cambiare direzione. Si tratta di 'convincerlo' a deviare quel poco che basta a mancarci, ma non è cosa semplice".

Intanto, mentre centinaia di sentinelle tengono lo spazio sotto controllo, i meteoriti mantengono quel sapore esotico che non solo affascina, ma fa anche mercato. L'ultima asta di Christie's dedicata a queste 'sculture' extraterrestri è avvenuta a febbraio a New York. Decine di rocce catapultate dal cielo vendute da un minimo di 625 a un massimo di 237.500 dollari. Per tutti i gusti e per tutte le tasche. Così ognuno può assicurarsi il suo frammento di eternità.

A cadere sulla Terra, però, non sono soltanto i meteoriti. Proprio in questi giorni Tiangong-1, la prima stazione spaziale cinese, sta precipitando sul nostro pianeta dopo aver progressivamente perso quota. Non è la prima volta che strumenti utilizzati per la ricerca scientifica sfuggono al controllo terrestre e oltrepassano l'atmosfera. E non sarà neanche l'ultima. I rischi del rientro imprevisto di Tiangon-1, però, sarebbero bassissimi. Gli scienziati del Laboratorio di dinamica aerospaziale del Cnr di Pisa assicurano che la probabilità di essere colpiti da un fulmine è 130.000 volte maggiore di quella di vedersi piovere in testa uno dei suoi detriti. Anche perché la maggior parte dell'oggetto artificiale finirà col disintegrarsi e solo alcuni frammenti arriveranno a Terra con altissime probabilità che finiscano in mare.

Ma l'intera sorveglianza spaziale è mobilitata da settimane e potenti radar e sofisticati telescopi hanno seguìto la corsa di Tiangong-1 minuto per minuto. In un tempo non molto lontano anche la stazione spaziale internazionale dovrà essere 'rottamata' e il suo destino è quello di tornare - pur se controllata e prevista nella sua discesa - precipitosamente sulla Terra. Anche la scienza ha il suo prezzo. Ed è proprio vero che gli esami non finiscono mai.