Tra le tante criticità che conosce il nostro Paese, ve ne sono alcune - forse apparentemente eterogenee - che sono invece strettamente connesse tra di loro. Consumo di suolo ed ‘emergenza’ abitativa, abusivismo e finanziarizzazione del settore immobiliare, concorrono a formare un nodo rilevante nel quadro socio-economico nazionale.

La conformazione orografica dell’Italia, fortemente antropizzata (oltre 60 milioni e mezzo di abitanti, su 301.340 km²), e con solo un quarto del territorio costituito da pianure, ha un esigenza primaria di ridurre al massimo il consumo di suolo. Oltretutto, la presenza di catene montuose importanti, e la natura sismica del territorio, rendono necessaria una cura e una particolare attenzione alla quantità e alla qualità dell’impatto antropico, in quanto questo è spesso causa dell’amplificazione esagerata dei fenomeni naturali - con gravi conseguenze umane ed economiche.

Limitare al massimo il consumo di suolo, significa innanzitutto combattere con decisione l’abusivismo edilizio, non solo in quanto fattore primario di espansione delle aree urbanizzate, ma anche e soprattutto poiché questa espansione si verifica in special modo nei territori più a rischio, ed è sottratta a qualsiasi controllo di compatibilità ambientale e sicurezza strutturale.

Per contrastare efficacemente l’abusivismo, è necessario muoversi su tre assi diversi, ma assolutamente paralleli: rafforzando al massimo il controllo sul territorio, per ‘prevenire’ l’abusivismo, o quanto meno per assicurare l’intervento prima del completamento dei fabbricati; intervenendo tempestivamente con l’azione demolitoria e sanzionatoria; eliminando a monte le cause per il cosidetto “abusivismo di necessità” (peraltro in realtà del tutto minoritario).

Ma, ovviamente, l’abusivismo è - per definizione - un fattore antropizzante incontrollato, ma certamente non l’unico. In Italia abbiamo uno sterminato patrimonio immobiliare abbandonato, spesso anche di pregio, che fa capo sia alla proprietà privata che a quella pubblica, e che non è soltanto con destinazione abitativa (anche se questa è prevalente). Ciò nonostante, abbiamo da un lato una crescente ‘emergenza’ abitativa, a cui non si da alcuna reale risposta, e dall’altro una persistente ‘cultura del mattone’, che vede nell’edilizia un fattore di sviluppo.

Per cui la questione si presenta con tre ‘corni’: grandi quantità di immobili vuoti, una forte domanda di alloggio ‘popolare’ inevasa, un settore edilizio che continua a edificare, prediligendo ovviamente investimenti ad alta redditività (abitazioni di prestigio ed immobili per uffici). Il risultato è che una fetta crescente di popolazione, anche a causa degli effetti prolungati della crisi, stenta a soddisfare il bisogno primario della casa, nelle città (ma non solo) si presentano ‘sacche’ di degrado e di insicurezza, per via di fabbricati inutilizzati e spesso fatiscenti, mentre la ‘capitalizzazione’ immobiliare si sta del tutto ‘finanziarizzando’, attraverso la ‘cartolizzazione’ del patrimonio immobiliare.

La Costituzione della Repubblica Italiana, al primo e secondo comma dell’articolo 42, dice: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale”.

Avendo chiara l’esigenza fondamentale, quale delineata precedentemente (riduzione drastica del consumo di suolo, soddisfacimento della domanda abitativa, contrasto all’abusivismo), e a partire proprio dai principi enunciati all’art.42, è possibile immaginare una strategia di medio e lungo periodo, capace di affrontare le problematiche e di trovarvi soluzione, all’interno del quadro costituzionale.

La prima misura è la disincentivazione all’inutilizzo del patrimonio abitativo, attraverso una tassazione maggiore e crescente nel tempo, per le unità immobiliari non occupate. Superato un determinato lasso di tempo, persistendo l’inutilizzo dell’immobile la gestione dello stesso passerà a un apposito ente pubblico (preferibilmente di competenza comunale), che provvederà alla locazione e alla rimodulazione della tassazione, in modo da garantire ad un tempo l’utilizzo dell’immobile e il giusto reddito per la proprietà. Tale gestione avrà una durata minima quinquennale, rinnovabile concordatariamente tra ente gestore e proprietà. Ugualmente, a tale ente dovrà essere conferita la gestione di tutto il patrimonio immobiliare abitativo di proprietà pubblica inutilizzato, indipendentemente dall’ente proprietario.

La seconda misura è l’incentivazione del recupero degli immobili inagibili, siano essi di proprietà pubblica o privata, attraverso interventi di sostegno a forme cooperative finalizzate sia all’auto recupero che al recupero attraverso l’attività di imprese specializzate. Tali interventi potranno attenere sia il credito agevolato per le attività di recupero, sia la scalabilità del valore del recupero stesso sull’importo della locazione.

Una terza misura è la valorizzazione e/o la demolizione del patrimonio immobiliare non abitativo. Gli immobili con destinazione d’uso commerciale, industriale o comunque non residenziale, qualora cessino definitivamente le attività in essi collocate dovranno, entro un ragionevole lasso di tempo, essere riconvertiti - laddove possibile, e a cura e onere della proprietà - a uso abitativo. Diversamente, la proprietà dovrà procedere alla demolizione del fabbricato. In mancanza degli interventi di recupero o di demolizione, dopo cinque anni l’immobile sarà confiscato, e affidato ad apposito ente pubblico, il quale provvederà (se necessario) alla demolizione, ovvero metterà a bando l’assegnazione in comodato d’uso gratuito per nuove attività di natura sociale, culturale e imprenditoriale - cui spetterà l’onere del ripristino.

Queste misure possono apparire di estrema radicalità, ma sono l’unica via per affrontare in modo rapido ed efficace le problematiche qui più volte richiamate. E sono comunque pienamente coerenti, come già rilevato, con il quadro costituzionale; che, al citato art.42, non manca di sottolineare come la proprietà privata (lungi dall’essere intangibile e quasi ‘deificata’, come ritiene il prevalente senso comune) possa e debba essere sottoposta a limiti, al fine di garantirne la “funzione sociale” e (non secondariamente) di “renderla accessibile a tutti”. Poiché anch’essa è soggetta ai “motivi d'interesse generale” che sempre devono prevalere.

D’altronde, l’eccezionalità della situazione richiede misure straordinarie.