In mare ne accadono di tragedie, è la storia delle genti che si avventurano per lavoro, per sfida, per viaggio o per fuggire dalla propria terra in cerca di salvezza. Alcune di queste hanno connotazioni che sono proprie di errori umani, di mal gestione dell'emergenza, quel che è inaccettabile è che talvolta l'errore umano o il mancato soccorso venga nascosto per vari motivi e la tragedia diventi beffa nei confronti di chi ha perso i suoi cari nel disastro e mancanza di rispetto nei confronti di chi ha perso la vita.

Ci sono “stragi” che ancora chiedono giustizia: le 140 vittime del traghetto Moby Prince, lasciato bruciare per ore senza che il coordinamento dei soccorsi organizzasse una ricerca sistematica della nave investitrice, poi trovata casualmente, e che tentasse di portare soccorso alla vita delle persone a bordo, poi morti tutti, fatto salvo un mozzo che si salvò da solo; i 32 deceduti della nave da crociera Costa Concordia, lasciata imbarcare acqua per troppo tempo, prima che ne fosse richiesto l'aiuto, con un comandante che nel frattempo aveva pensato bene di abbandonare la nave e che voleva far credere che stava gestendo le operazioni di soccorso delle oltre 4000 persone da terra: circa 300 persone morte, tra cui 60 bambini, sotto gli occhi di due strutture di soccorso (Italia e Malta) che si rimpallavano la responsabilità del coordinamento degli interventi. Per queste e per altre storie, il dovere morale di tutti è chiedere verità e giustizia e che sia punito chi ha avuto la responsabilità del verificarsi di tante morti.

La strage dei bambini, così è stata definita dai media, è inaccettabile così come si è svolta quel 11 ottobre del 2013. Fabrizio Gatti, giornalista dell'Espresso, ha condotto un inchiesta su questo caso, ricostruendo attraverso il recupero delle telefonate satellitari e di quelle intercorse a Roma tra le sale operative, la tragedia accaduta. È straziante ascoltare la richiesta di aiuto disperata dell'unica persona che sapeva parlare inglese, un medico siriano che tentava di raggiungere Lampedusa con la famiglia insieme ad altre centinaia di persone, che fu snobbato.

La nave Libra della Marina Militare Italiana è a poche miglia dal barcone che sta affondando ma nessuno ordina di procedere e sta lì ferma per ore senza fare niente. Alle 12,39 a 61 miglia a sud di Lampedusa e a 118 miglia a sud-ovest di Malta, arriva la prima telefonata dal medico siriano Mohanad Jammo a Roma al Comando Generale della Guardia Costiera italiana: egli spiega con agitazione chi sono, dove sono, quanti sono, fornendo le coordinate GPS, e riferendo che hanno già mezzo metro di acqua nello scafo crivellato di colpi di mitra dai libici, e che a bordo vi sono due bambini feriti; chiedono un mezzo urgente che venga a salvarli: “per favore fate in fretta, fate in fretta, fate in fretta, per favore!”. La Guardia costiera gli risponde “ok” ma non procede al soccorso. Alle 13,17 Mohanad fa la seconda telefonata, questa volta risponde un uomo che gli suggerisce di chiamare Malta perché è più vicina “Chiama Malta per favore, vai, vai, vai”. Sono le 13,48, il medico ritelefona a Roma dicendo che ha chiamato Malta ma Malta ha detto che sono molto più vicini a Lampedusa e che quindi spetta alle autorità italiane intervenire “per favore stiamo morendo, 300 persone stanno morendo! Non abbandonateci, il credito nel telefono è finito, siamo senza credito” e che cosa rispondono dal comando della Guardia costiera? “Chiama Malta!”.

Alle 16,44, dopo una serie di terrificanti telefonate interne della Marina Militare dove addirittura alla Libra dovrà essere detto di allontanarsi dall'obiettivo, “che non deve stare tra i …” e che si tenga a una distanza di contatto tale da “poter vedere se sta pisciando in un cestino di frutta oppure se sta lanciando missili balistici” vedi il video dell'Espresso, la sala operativa di Roma chiama quella delle Forze armate di Malta e spiega che non può mandare la nave da guerra Libra che, come dice Malta dal suo aereo ha visto che è la più vicina, perché altrimenti non potrà continuare il pattugliamento per la sorveglianza dell'area.

Sono le 17,07, la tragedia si sta compiendo, da Malta telefonano alla Guardia costiera a Roma dicendo che dall'aereo hanno visto che il barcone si è rovesciato, le persone sono in mare ed esortano a inviare con velocità la nave Libra sul punto nautico per recuperare i superstiti. Quel pomeriggio, in quel caos operativo, per non voler farsi carico, secondo “Dublino III”, dei migranti e muovere una nave da guerra italiana che in un'ora e mezza avrebbe raggiunto il barcone salvando tutti i passeggeri ma che doveva rimanere a pattugliare la zona, sono morte 268 persone tra cui 60 bambini in fuga dalla guerra civile in Siria.

La maggior parte di quei corpi o quel che resta giace ancora in fondo al mare. Per questa vicenda come per altre è necessario che venga istituita una commissione d'inchiesta, che lavori a un unico scopo, il traguardo della verità. Che il sommerso che fino adesso ha protetto i colpevoli venga alla luce scardinando logiche sbagliate, il capitale umano di tutte le vittime ha un peso enorme, ci auguriamo che questo porti allo scoperto chi questo peso ce l'ha addosso.