Il Serenissimo Gran Duca… a tutti Voi Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute… per il suo desiderio di accrescere l’animo a forestieri di venire a frequentare lor traffichi, merchantie nella sua diletta Città di Pisa e Porto e scalo di Livorno con habitarvi, sperandone habbia a resultare utile a tutta Italia, nostri sudditi e massime a poveri...

Lui era Ferdinando I De' Medici, granduca di Toscana che tra il 1591 e il 1593 promulgò le Leggi Livornine, esempio archetipo di una visione possibilista e di lungimiranza nell'allargare il perimetro dei diritti e delle libertà per essere competitivi sul fronte degli scambi commerciali, culturali e politici e incrementare le proprie potenzialità.

Fu così che Livorno da villaggio di pescatori si trasformò nel più importante porto del Mediterraneo. Firenze l'aveva comprata dei genovesi, la costruì come città ideale e perfetta, inscritta in un pentagono di significato alchemico, città studiata al tavolino, progettata e riempita da gente di ogni nazione, progetto di società globale e multiculturale che ha funzionato alla perfezione fino all'unità d'Italia. Livorno, città modello che farebbe rabbrividire tutti quelli che oggi sono pervasi da paure xenofobe e razziste. Libertà di culto, di professione religiosa e politica, libertà di esercitare qualsiasi tipo di professione purché si risiedesse a Livorno o a Pisa, esenzione di tasse e vendita agevolata di case agli stranieri. Fu la prima città europea ad abolire il ghetto ebraico e consentire l’esercizio delle professioni liberali agli ebrei.

Il modello Livorno ha dato ricchezza, ha coniugato saperi e culture tali da farne la città perfetta “occhio del capo nostro” dicevano i granduchi fiorentini. La comunità ebraica è la stata una delle prime a crearsi e insediarsi a Livorno, raccoglieva essenzialmente ebrei sefarditi in fuga dalla penisola iberica, fra la fine del sec. XVI e l’inizio del XIX rappresentava circa il 10% della popolazione totale della città. La libertà che possedevano nella gestione dei traffici commerciali, nelle intermediazioni, di diffondere l'ebraismo, del poter stampare libri in ebraico, di avere una giurisdizione autonoma, e di poter divenire sudditi toscani ipse facto con il godimento della protezione diplomatica, spiega il gran numero di ebrei in tutto il bacino del Mediterraneo che furono o sono tuttora registrati come ” livornesi”. Nota era infatti nella comunità ebraica di Algeri l'importanza di sposare un ebreo livornese poiché con tale privilegio si acquisivano libertà negate altrove.

Oggi la Comunità ebraica livornese conta circa 700 persone, è ancora molto attiva e attraverso l'iniziativa culturale “Balabrunch con l’autore” promosso dal Comitato per la Rete Toscana Ebraica (RE.TE) in collaborazione con varie città della Regione, tra cui Livorno che con la sua amministrazione compartecipa all'iniziativa, fa conoscere la sua cultura. Spiegano i promotori – “lo scopo è infatti quello di promuovere la cultura ebraica, di far conoscere da vicino gli scrittori, le loro pubblicazioni ma anche la loro storia, il loro vissuto, la loro necessità di scrittura in rapporto al contesto di provenienza. Si presenta l’autore in una chiacchierata il più possibile interattiva e informale. Si fanno domande, si ascolta e al termine si consuma insieme un brunch con prodotti tipici della cucina ebraica e israeliana durante il quale si ha la possibilità di approfondire alcune tematiche emerse”.

Domenica 19 febbraio si è presentato al pubblico labronico Assaf Gavron, i prossimi incontri saranno con Shifra Horn (14 maggio) e Lizzie Doron (11 giugno). Del lavoro La collina di Gavron, edito da La Giuntina di Firenze, specializzata in pubblicazioni ebraiche o a tema ebraico, ambientato in una colonia, o meglio, in un avamposto illegale in Cisgiordania, ne fa una importante presentazione Roberto Saviano, che lo definisce “un grande romanzo perché non si lascia influenzare da pulsioni ideologiche o propositi politici; è un libro che racconta con onestà e umorismo, come solo la buona letteratura sa fare, le vite di uomini e donne che il destino ha collocato su un palco assurdo e sorprendente”. Così come Corrado Augias che afferma lo strano del romanzo, in cui si tratta la questione dei coloni ma non si parla di palestinesi.

Gavron, con estrema semplicità e affabilità ci racconta in un inglese asciutto e chiaro (accompagnato da un traduttore amico) il suo intento di narratore, ci dice “mi piace scrivere di realtà che non conosco a differenza di altri autori che stimo che invece indagano su ciò che conoscono, come Philip Roth”. Continua dicendo: “Cerco di raccontare il mondo con gli occhi degli altri e non attraverso i miei e non mi identifico mai col personaggio che racconto, ma c'è un rischio afferma, che è quello di non raccontare nel modo giusto”. Assaf Gavron ha inoltre creato un videogioco, Peace maker, per tentare di risolvere in modo almeno virtuale l'eterno conflitto. Il pomeriggio con Assaf Gavron, nella cornice della bella Sala degli specchi dell'antica villa Mimbelli di Livorno, vola, in un salotto affollato dove si riconoscono noti esponenti della comunità ebraica livornese. Qualcuno alla fine chiede quale sarà il futuro di Israele con l'America di Trump? Assaf risponde che sarà tutto da vedere anche perché già l'America ha decretato la sconfitta d'Israele a causa degli interessi commerciali che ha con tutto il Medio Oriente e inoltre esiste il problema con la Cina che protegge la Palestina. Gavron è afflitto e consapevole che la sua terra purtroppo sta diventando sempre più debole.