È nel XVIII secolo che il Carnevale di Venezia raggiunge il suo massimo splendore e riconoscimento internazionale, diventando celeberrimo e prestigioso in tutta l'Europa del tempo, costituendo un'attrazione turistica e una mèta ambita da migliaia di visitatori festanti, anche se ci sono notizie certe che lo fanno risalire addirittura all’anno 1296 con un editto ufficiale del Senato della Repubblica. Ma anche al giorno d’oggi non è da meno, e i festeggiamenti iniziano pubblicamente e privatamente anche molto prima del periodo designato.

Camminando dopo una pizza volante in Piazza San Marco, qui a Venezia anche nei primi giorni di febbraio ci si può imbattere in una casa privata, con un grande portone e con dei bracieri ai lati che illuminano una stradina un poco in penombra, e da lontano vedere arrivare dei piccoli motoscafi con delle strane maschere sopra, che si avvicinano e attraccano, le maschere scendono e si avvicinano al portone, due tre colpi e qualcuno viene ad aprire, a questo punto la luce che proviene dall’interno unita a quella esterna riescono a mostrare la maschera così come si vedrebbe nel tardo pomeriggio. Sono tutte maschere classiche della tradizione veneziana, qui si dice che "una maschera dice più di un volto" e forse è vero.

Un abito blu scuro, gonna larga, giacchetta nera e cappellino scuro con pizzo cadente, una maschera nera sul viso, con la forma del naso e della bocca e con la curvatura delle guance, ma solo con due aperture per gli occhi, è la maschera della Moretta, la carnagione della ragazza è chiara oppure resa tale magari dal trucco, questo è lo stile di questa maschera che in effetti, è anche arma di seduzione, che rende la donna intrigante e piena di segreti. Perché, le impedisce di parlare o di far finta di non poterlo fare e le offre l’occasione di valutare a chi rivolgere la parola, di svelare, cioè, il proprio volto e i propri sentimenti, soltanto a chi lei desidera. La tradizione vuole che la maschera oltre ad essere sostenuta da un laccio sia sostenuta dalla donna che la indossa trattenendo un bottone fra i denti, in questo modo certamente è impossibile parlare, è una maschera inquietante e silenziosa, ma nello stesso tempo affascinante e misteriosa, certamente ancora di più se indossata da una donna dalle forme giuste. In tempi passati questa era la maschera delle serve, che dovevano rimanere zitte, o la maschera delle amanti che non si volevano far riconoscere dalla voce.

Subito dietro ad accompagnare la Moretta, facendola entrare per prima nel portone, con un gesto cavalleresco pur sempre in voga, si riesce a vedere un uomo con un nero mantello, molto largo e che facilmente volteggia nell’aria anche con il minimo movimento, un cappello a tre punte sovrasta un volto bianco, un po’ allungato che evidenzia le forme del naso e degli zigomi e anche in questo caso lascia solo le due aperture per gli occhi: è la maschera della Bauta, che è il travestimento veneziano per antonomasia, già utilizzato dal 1600 venne considerato come un vero e proprio abito, che proteggeva da sguardi indiscreti specialmente in occasione di feste e incontri serali, era indistintamente portata sia da uomini che da donne e da tutti i ceti sociali, proprio perché eliminava ogni divisione e poteva capitare in qualche occasione che si trovasse nella stessa situazione, nello stesso ambiente, un nobile ed un povero.

Behüten, “proteggere”: il nome “bauta” deriva da questo verbo tedesco, un nome che si addice completamente all’abito, insomma, perché la bauta protegge la privacy di chi la indossa. Sembrerebbe un travestimento semplice, ma non lo è, a seconda delle classi sociali i materiali del cappello e del mantello potevano cambiare, ma le parti che la costituiscono restano le stesse. Così come la forma della maschera, detta “larva”. Larva: altro nome che non viene casualmente scelto, deriva dal latino “maschera teatrale”, ma anche “spettro”, che inquieta e tormenta i vivi; un nome che suscita mistero per una maschera dai molti lati oscuri. La forma allungata quasi a becco e studiata per poter mangiare e bere senza difficoltà, ma anche per cambiare leggermente la voce di chi si nasconde dietro la maschera, quindi il travestimento risulta perfetto per essere qualcuno che si vuole essere e non essere quello che in realtà si è.

In ultimo entrano una coppia di "gatti", ben vestiti, ma con il volto di gatto, sono due persone mascherate da Gnaga, una classica maschera veneziana, le cui origini si perdono nell’antico Egitto dove il gatto era venerato, ed è sicuramente il verso del gatto "miao" che in veneziano si dice "gnau" che poi dà origine al nome della maschera. Poteva essere usata sia da uomini che da donne in questo modo vi era la parità di sessi, e anche gli omosessuali si potevano vestire da donna senza essere arrestati, perché con la maschera tutto era permesso, anche offendere i passanti in modo volgare e quindi durante i festeggiamenti i "travestiti" da gnaga si aggiravano nelle osterie, e nei locali fino anche alla centralissima San Marco e si intrattenevano con ospiti e con amanti occasionali, senza rischiare di essere scoperti e senza infastidire nessuno. Un piccolo escamotage dell’epoca che sembrava quasi anticipare i tempi moderni. Anche la voce veniva cambiata tanto da entrare nella tradizione, infatti era usanza, nei modi di dire veneziani, usare l’espressione "ti ga na vose da gnaga" – “hai una voce da gnaga” per indicare un tono di voce stridulo.

Entrate le ultime due maschere il portone si richiude, lasciando la penombra di volta in volta diradata dalla luce delle due fiaccole, che nel silenzio della sera fanno un rumore che si accompagna al ritmo del legno dell’imbarcazione che aveva portato gli ospiti e che era ormeggiata li vicino. Forse rimanendo si potrebbero ancora osservare altre maschera veneziane, ma la notte avanzava sempre veloce e con essa il fresco delle correnti dei canali veneziani, quindi è certamente meglio affrettarsi e raggiungere velocemente la camera dell’hotel.