Quella del coach è una professione nuova, esistente da poco più di 20 anni ed è ancora poco diffusa in Italia. Comunque sia quasi tutti abbiamo già sentito parlare di questo argomento, spesso senza capire fin in fondo in che cosa consista. Ho deciso di approfondire l'argomento con Elena Davsar, coach accreditata ECPC e PCC ICF, membro della International Coach Federation dal 2010 e creatrice del metodo Lifecoachdesign.

Elena ha un aspetto molto giovane, è una ragazza esile e molto fragile e sembra impossibile che abbia alle spalle lunghi studi ed esperienze diverse: una laurea in giurisprudenza, vari master in design d’interni, coaching, psicologia cognitiva e intelligenza emotiva, tecniche di terapia provocativa e art terapia.

Elena, come sei riuscita a fare tutto questo?

I’am a student forever! Non ricordo neanche un anno in cui non ho fatto un corso di aggiornamento.

Come hai deciso di diventare un coach?

Volevo chiarire miei obiettivi e miei valori. In un certo periodo della mia vita il coaching mi è sembrato uno strumento fantastico. Dopo aver visto come funziona, ho deciso di diventare un coach e aiutare gli altri.

Puoi spiegare per favore che cosa è il coaching?

Il coaching è un nuovo metodo, una nuova professione che aiuta le persone a creare un piano di azioni per raggiungere degli obiettivi importanti, chiarisce la visione del futuro. Funziona come un catalizzatore nel processo di sviluppo personale.

La tecnica del coaching è ancora molto giovane, puoi raccontarne brevemente la storia?

I fondatori del metodo sono Timothy Gallwey (americano) e Sir John Whitmore (inglese). La teoria è nata nel mondo sportivo con la preparazione degli atleti per i campionati. Allora per coaching si intendeva “motivatore”, dopo si è sviluppata una nuova professione. Ora esiste la Federazione professionale del coaching che stabilisce gli standard professionali e certifica i coach di tutto il mondo.

Coaching funziona solo sul campo professionale oppure anche sul campo emotivo?

Nell’ambito del lavoro ci focalizziamo sugli obiettivi professionali, nell’ambito emotivo possiamo lavorare su temi come “bilanciamento del lavoro e vita privata” oppure “sfera emotiva”; ho avuto richieste del tipo “come trovare l’armonia nella propria vita”.

Lavori con una persona alla volta o anche con gruppi?

Lavoro spesso con privati, ma esiste anche il team coaching. In questo caso il coach lavora con un gruppo, guidandolo nello raggiungimento di un obiettivo professionale.

Quanto può durare il lavoro con una persona o un gruppo?

Di solito facciamo i pacchetti di 10 sessioni, incontri settimanali o bisettimanali, dove ogni sessione dura circa un'ora e mezza, ma dipende ovviamente dall'obiettivo.

In che modo si svolge una sessione? Dai dei consigli pratici ai tuoi clienti?

Il coach non dà mai consigli! A differenza dal consulting il coach non deve essere specialista nella professione del suo cliente. Il compito mio è fare delle domande che aiutino a cliente ad arrivare a un nuovo livello di consapevolezza e avere una nuova visione rispetto alla sua situazione, tutto attraverso tecniche che stimolano la creatività nell’arrivare a soluzioni nuove.

Mi puoi fare un esempio della tua pratica? Forse un caso clamoroso di un tuo cliente che ha raggiunto un obiettivo molto ambizioso?

Capita spesso perché lavoriamo con obiettivi molto ambiziosi. Un cliente si rivolge a un coach quando ha un obiettivo sfidante da raggiungere. Quello che mi viene in mente ora è il caso di un cliente russo. Aveva una posizione molto importante, lavorava in un ministero e ha dovuto lasciarlo. Non voleva accontentarsi delle proposte che gli arrivavano, quindi abbiamo iniziato con sedute finalizzate a riportarlo allo stesso livello o addirittura a una posizione superiore rispetto a quella che aveva precedentemente. Era una grande sfida nel contesto politico-economico di quel momento. Dopo circa tre mesi l’obiettivo è stato raggiunto e il mio cliente ha avuto una proposta molto importante, è tornato nel ministero.

Raccontami anche del metodo che hai creato tu - il "lifecoachdesign". Come è nata questa idea rivoluzionaria?

Lifecoachdesign è nato quasi 15 anni fa dalla mia voglia di sperimentare mentre studiavo le tecniche di coaching e stavo per arredare la mia prima casa a Mosca. Ho cercato di collegare le idee legate ai miei obiettivi personali con lo spazio. All’inizio tutto era molto intuitivo, ho cercato di rispecchiare nell'ambiente le associazioni con le cose che contano per me nella vita. L’ho fatto attraverso i colori, le forme e la scelta degli oggetti. Ero contenta del risultato ottenuto e ho continuato sperimentare, lavorando con i miei clienti. Sono molto grata a loro, erano molto aperti ai miei esperimenti. Con il passare degli anni ho creato il mio metodo di lavoro, che permette di aumentare la crescita personale attraverso l’organizzazione dello spazio di una casa o di un ufficio.

Chi sono stati i tuoi primi clienti? Erano persone che lavoravano con te come coach o come designer d’interni?

Lavorando come designer, ho capito che quando ti chiedono di arredare una casa, in realtà sotto c’è una richiesta più profonda, un cambiamento della vita. Una casa nuova è sempre un passo in avanti, un miglioramento della qualità della vita. Progettando interni, facevo delle domande ai miei clienti anche fuori dal l'ambito del design, cercando di capire come vedevano il loro futuro. Parlando con loro mi sono venute in mente nuove idee e nuove tecniche.

So che insegni e mi ha colpito la storia di quando hai proposto ai tuoi studenti di meditare durante la lezione. Raccontala per favore.

Sì, ora ricordo. Era un progetto comune fra 4 scuole di design milanesi: IED, Domus Academy, NABA e il Politecnico. Lo scopo era creare un mobile per la meditazione personalizzabile rispetto agli schemi mentali del cliente. Ho fatto un piccolo workshop con i ragazzi per spiegare le basi di lifecoachdesign, che dovevano poi applicare alla realizzazione del mobile. Per capire meglio come doveva essere il mobile, abbiamo deciso di meditare. Successivamente i prototipi sono stati presentati alla Triennale di Milano.

C’è qualcosa in comune fra il coaching e la meditazione?

Direi di no, ma conosco tantissimi colleghi coach che meditano, perché questo aiuta a entrare nello stato di presenza durante la sessione, e aiuta a gestirla più efficacemente. Non è necessario meditare per essere un coach, ognuno inventa un suo modo per restare in contatto con il cliente.