In Italia il fenomeno del femminicidio e in generale della violenza sulle donne sembra non arrestarsi, anzi assumere contorni sempre più drammatici. Gli abusi compiuti sulla pelle delle donne riempiono le pagine di cronaca nera, ma cosa sta alla base di questo odioso delitto? Ne parliamo con Silvia Ferrara, psicologa, specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta. Ferrara, che è consulente presso il servizio di Counseling e Psicoterapia dell’Ateneo di Padova e docente al Master sui Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Università di Padova, si interessa da sempre alle problematiche di sviluppo psicologico femminili, in particolare l’accettazione di sé, l’individuazione di genere, l’emancipazione.

Sembra sempre di essere all'anno zero rispetto alla violenza sulle donne. A che punto siamo?

Quello che più mi colpisce nell’affrontare questo argomento è che gli autori di femminicidi sono prevalentemente giovani incensurati, nella fascia di età tra i 28-48 anni e che i più alti tassi di violenza "riferita" sono proprio nei Paesi in cui la condizione della donna è migliore. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 35% della popolazione mondiale femminile è stata vittima di violenza e di questa ben il 30% ad opera del partner. Questo mostra che la prima causa di uccisione nel mondo delle donne, tra i 16 e i 44 anni, è l’omicidio da parte di persone conosciute. Da questo punto di vista la triste analisi italiana è la seguente: nei primi 10 mesi del 2016 sono state uccise 116 donne, come a dire che ogni 48 ore una italiana viene uccisa. Negli ultimi dieci anni secondo i dati dell'Eures le donne uccise nel nostro Paese sono state 1740: 1251 in famiglia e 846 di queste all'interno della coppia; 224, ossia il 26,5%, per mano di un ex.

Quali possono essere le motivazioni? Si è parlato di crisi economica, assenza di prospettive, emancipazione delle donne; o è incapacità del maschio di avere una relazione paritaria?

Credo ci possa aiutare un esempio. Tempo fa ho seguito una paziente che cominciò a parlarmi dei suoi maltrattamenti molto tempo dopo aver iniziato la terapia, cominciata per altri motivi. Era lei la prima a non riuscire a considerarli “abusanti” e parlava di “brutto carattere” del compagno, difendendo il ricordo dei primi indimenticabili mesi della loro relazione, da cui era anche nato un figlio. Ci sono voluti circa 8 mesi per riuscire ad accettare questa deludente realtà e sostenerla nel percorso di separazione da lui.

La violenza che culmina nel femminicidio spesso viene segnalata dalle donne, ma la protezione da parte delle forze dell'ordine sembra essere deficitaria o forse assunta in ritardo. Mancano leggi, manca la volontà di intervenire?

La violenza domestica è un crimine che in Italia non viene denunciato in oltre il 90 per cento dei casi. È doveroso sradicare questa grave violazione dei diritti umani ormai sistemica in Europa. Gli americani sono stati i primi al mondo nel capire l’importanza di intervenire sul femminicidio, mostrando che, dal momento in cui la vittima denuncia lo stalker, il rischio aumenta e quindi la protezione deve essere immediata. Dal 1 agosto 2014 tutti i paesi del Consiglio d’Europa hanno un nuovo strumento, la Convenzione di Istanbul. La sua struttura si basa sulle “Quattro P”: Prevenire la violenza, Protezione e sostegno delle vittime, Perseguimento dei colpevoli e Politiche integrate e globali sull’educazione, la formazione professionale e l'inserimento lavorativo, e raccolta dei dati e ricerca di sostegno in materia di discriminazione contro le donne. Dal 2009 inoltre, anno in cui è stato finalmente introdotto il reato di atti persecutori nel nostro ordinamento, esistono nuovi e importanti strumenti per gli operatori.

I centri antiviolenza sono dei presidi fondamentali che devono fare i conti con scarse risorse. Come e a chi possono rivolgersi le donne abusate e vittime della violenza prima che questa si trasformi in femminicidio da prima pagina?

Il coraggio di denunciare ha origine dalla conoscenza delle istituzioni che tutelano e offrono aiuto e dalla presa di coscienza dei propri diritti. Spesso sono l’ignoranza e l’insicurezza il primo vero nemico di queste donne; è per questo che le minacce dei loro compagni sortiscono effetto, facendo loro temere rischi insistenti, ad esempio di perdere la tutela dei figli. In Italia la Rete Nazionale Antiviolenza risponde al 1522 e offre informazioni e un primo orientamento verso i Cav locali. Tutte le maggiori città del nostro paese sono dotate di propri centri assistenziali, sportelli e associazioni.

Come viene trattata attualmente la violenza sulle donne e il femminicidio dai media? C'è un modo per sensibilizzare l'opinione pubblica evitando il sensazionalismo e i dettagli da talk show pomeridiano?

La violenza ha diverse facce e può essere di diversa natura: verbale, psicologica, economica, sessuale, attraverso i social network, stalking, e infine quella assistita, cioè quella subita dai figli/e la cui coppia genitoriale si relaziona in modo violento. La corretta informazione è un nodo centrale in questo processo di presa di coscienza collettivo. Ci attendono soprattutto dei nuovi percorsi culturali, sia nella consapevolezza da acquisire che nelle responsabilità da assumere. Sono del parere che l’educazione al rispetto della persona, indipendentemente dal genere di appartenenza, sia il punto su cui insistere. Se proseguiamo in una visione sessista, che separa, non faremo che rallentare questo processo.

Il supporto psicoterapeutico funziona e fin dove può arrivare per ricostituire una personalità schiacciata, umiliata, ferita dalla violenza che non è sempre è fisica ma può essere psicologica e altrettanto crudele.

Il percorso che intraprende una donna che subisce violenza è molto faticoso e doloroso e necessita di interventi specialistici complessi e multidimensionali che vedono coinvolte diverse figure. Il supporto psicologico è indispensabile da un lato per offrire sicurezza e sostegno, arrivando a pensare in modo obiettivo. Dall’altro lato serve un supporto legale, a volte un nuovo alloggio, un lavoro per iniziare un cammino di indipendenza.

Ci sono dei segnali che possono essere colti dalle donne come rischio di futura violenza?

Ci sono delle vere e proprie avvisaglie in questi rapporti, come ad esempio varie forme di mancanza di rispetto quali la prevaricazione, la svalutazione, il mettere in discussione con offese, il costante disappunto. Inoltre questo si presenta non da subito, ma nel corso della relazione, confondendo e creando l’aspettativa che sia solo un periodo; si incominciano così a cercare giustificazioni e il sentimento affettivo presente porta a fare un confronto con le altre qualità del partner. La violazione dell’altro inoltre è a volte, come detto, qualcosa di già familiare; si viene da esperienze simili dal passato e inconsciamente si cerca di ripetere l’unico modello affettivo relazionale conosciuto. Manipolazione, isolamento, aggressioni verbali e comportamenti aggressivi passivi, come minacce, umiliazioni, intimidazioni, poiché non lasciano cicatrici fisiche visibili portano a sottovalutare che la denigrazione è un comportamento da perseguire giuridicamente, poiché crea in chi subisce fragilità psicologica e vissuti di denigrazione fortemente invalidanti.