Ora a correre per cercare di vedersi assegnati i Giochi olimpici estivi del 2024, per i quali Roma si è tirata indietro, restano Parigi e Budapest, in Europa, e Los Angeles negli Stati Uniti. "Abbiamo un'avversaria in meno", titolava forse gongolando il Los Angeles Times, con ciò riconoscendo alla annunciata, e poi ritirata, candidatura di Roma una valenza notevole. Non da meno la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo (sono sempre più numerose le donne a capo delle amministrazioni civiche), che ha invitato i candidati alle presidenziali di Francia dell’anno prossimo a manifestare il loro sostegno per la candidatura della Ville Lumière alle Olimpiadi previste tra otto anni. La scelta, ricordiamo, verrà fatta dal Comitato olimpico internazionale a settembre 2017, ma le candidature, corredate di tutti i “timbri” richiesti, devono essere presentate entro ottobre.

Per loro dunque, per Parigi, Budapest e Los Angeles, il sogno continua. Ed è, par di capire, un sogno che merita un seguito, forse a prescindere dalla situazione socioeconomica che fa la differenza tra le varie città candidate. Roma, come s’è visto, si è tirata indietro: annunciato fin dal tempo della campagna elettorale per l’elezione del sindaco, il niet dei grillini è stato ufficializzato nei modi inusuali ampiamente descritti dai media – e sui quali non si placherà mai la polemica - in una conferenza stampa convocata dalla sindaca contemporaneamente a un incontro con il massimo rappresentante dello sport italiano, incontro che non si è svolto per il ritardo con cui Raggi ha raggiunto la sede capitolina.

Virginia Raggi (qualcuno ha parlato di longa manus del Grillo parlante) ha dunque detto no alle Olimpiadi del 2024 per Roma. Lo ha fatto, dopo settimane di conciliaboli, di verosimili incontri, di attesa "per rispettare la tregua olimpica", nel corso di una conferenza stampa in Campidoglio che di fatto ha sostituito l’annunciato incontro con il presidente del Coni, unico rappresentante, finché la legislazione non viene modificata, dello sport italiano. "È da irresponsabili – ha detto Raggi - dire sì a queste Olimpiadi. Stiamo pagando ancora i debiti di quelle del 1960. Non abbiamo mai cambiato idea, non ipotechiamo il futuro di Roma. Ci chiedono di fare altri debiti per i romani: noi non ce la sentiamo. Per questo diciamo no alle Olimpiadi del mattone". "Meritavamo più rispetto - ha commentato a caldo Giovanni Malagò - ho sentito tante falsità figlie della demagogia e del populismo", soprattutto sul versante dei costi.

Sembra dunque proprio inevitabile che Roma non avrà più, per lo meno a breve, la possibilità di rivivere, e far rivivere, l’atmosfera olimpica che la rese giustamente famosa nel 1960 (ma anche di utilizzare, senza sprechi, il fiume di entrate che l’Olimpiade comporta). Prima dell'odierna chiusura, Roma aveva cercato la candidatura e/o l’assegnazione già altre volte: battuta da Atlanta nel 1996, da Sydney nel 2000, da Atene nel 2004, e rinunciataria per volere del governo Monti per il 2020. Nel 2004, forse lo si ricorderà, il Comitato olimpico internazionale assegnò i Giochi ad Atene, che premeva da tempo e che avrebbe voluto ospitare la grande manifestazione già nel 1996, per celebrarne il centenario, ma che, per la prevalenza di altre logiche (la logica della Coca Cola, si disse con malizia, ma anche la logica dei sistemi di comunicazione), quell’anno si era vista soppiantata da Atlanta. Quattro anni dopo, Sydney soffiò l’organizzazione dei Giochi a Roma che ambiva gestirli nel ricordo quarantennale dell’Olimpiade del 1960. Dopo Atene 2004, c’è stata l’operazione “Nido d’uccello” (tale era il nome dell’inutilmente avveniristico stadio costruito nella capitale cinese, vera e propria cattedrale nel deserto), vale a dire i Giochi di Pechino, assegnati alla Cina non senza polemiche prima, durante e dopo, ed è un dopo che dura ancora, non solo negli ambienti direttamente interessati.

È chiaro: il sì all’organizzazione di una manifestazione come le Olimpiadi ha un prezzo che non è, non può essere, né il credito a suo tempo vantato da Atene per la mancata designazione delle Olimpiadi del Centenario, né - per quanto riguarda Roma - la memoria del 1960 o l’illusoria speranza che solo a Roma si possano ancora presentare e gestire altri Giochi a misura d’uomo (ma di quale uomo si parla, quando si parla di sport?). Con un business ormai plurimiliardario, l’organizzazione di un’Olimpiade, lo si capisce chiaramente, assume contorni ben diversi. A tal punto che le news dello sport andrebbero inserite, di là dalle cronache tout court, nelle pagine o comunque negli spazi che ospitano abitualmente notizie e commenti di economia e finanza.

La Sindaca ha accennato agli aspetti economici dell’operazione, che a suo dire il Campidoglio non sarebbe in grado di sopportare. È bene tuttavia non dimenticare che senza spinte di questo tipo la gestione amministrativa è forzatamente costretta a ripiegarsi su se stessa: la Via Olimpica, a Roma, per esempio, è tuttora una apprezzata e frequentatissima arteria di scorrimento che congiungeva, e congiunge, il polo sportivo del Foro Italico e il polo olimpico dell’Eur (e relative pertinenze residenziali e commerciali). La citazione non ci fa naturalmente dimenticare gli obbrobri delle inutilizzate stazioni di Farneto e Vigna Clara, di una via del ferro solo e sempre invocata ma difficilmente attuata, e che tuttavia ricadono sulla gestione dei Mondiali 90, non sulle Olimpiadi di Roma 60.

Quanto infine al rapporto con i cittadini, senza bisogno di ricorrere ai sempre invocati “soccorsi” della rete grillina, ad agosto un autorevole istituto di ricerca socioeconomica quale il Censis aveva effettuato un sondaggio tra i romani proprio sulle Olimpiadi di Roma: e aveva vinto il “sì”. Le Olimpiadi di Roma 2024, secondo i romani, devono essere organizzate perché sono un’opportunità per nuovi investimenti e per migliorare la città. Il sondaggio aveva ha infatti interrogato gli abitanti della capitale che avevano risposto in questi termini. Su un campione di 1.000 persone “statisticamente rappresentative dell’universo di riferimento” - come ha spiegato il d.g. del Censis, Massimiliano Valeri, illustrando i risultati - il 50,2% si è detto favorevole alla candidatura e dunque alle Olimpiadi 2024, mentre il 36,2% si è schierato contro (gli indifferenti sono l’11,3% e il restante 2,3% non ha saputo rispondere). La “forbice” si è ampliata nelle risposte degli intervistati in provincia: in questo caso i favorevoli sono stati il 55,2%, a fronte di un 25,1% dei contrari. La media totale è stata dunque di 51,9% a favore, e 32,5 contrari. Dai dati della ricerca sarebbe emerso chiaramente che le Olimpiadi sono ben volute; inoltre un altro dato dimostra che circa un terzo di quanti hanno risposto “no” sarebbero stati disposti a cambiare giudizio “se fossero messi in campo meccanismi di garanzia assoluta (ad esempio organismi di vigilanza) per controllare e correggere i rischi di corruzione, costi elevati e sprechi”.