Produco, propongo, compro.
Oggi stiamo assistendo alla nascita di un nuovo fenomeno nella proposta moda: ciò che sfila in passerella, nelle presentazioni, è rintracciabile, nel giro di poco, in vendita al consumatore finale.
Non l'anno seguente, ma nell'immediato della stagione corrente.
Il percorso di riflessione sulle esigenze future dello stile si è trasformato in una costruzione di profilo contemporaneo: non si propone la moda per le frontiere di un domani dell'immagine, ma per il subitaneo confronto con l'esperienza estetica dell'oggi.
Forse che le esercitazioni stilistiche delle correnti più espressioniste della moda abbiano indotto alla convinzione di una mancanza di temporalità negli agenti emotivi che inducono al raggiungimento di quanto il pubblico non sa ancora di poter desiderare?
Oppure è l'esigenza della produzione, di saltare i passaggi temporali, per sovra-stimolare un pubblico sempre più neurologicamente apatico, rispetto all'identità del singolo e bisognoso di riconoscimento sociale e connessione alla rete globale dell'immagine coatta?
Il trascendere la storia della posa estetica dell'uomo non ha forse il valore di non riconoscere la postura identificativa individuale in favore di un costrutto imposto dalla logica del marketing e delle vendite?
In che modo la moda disintegra i passaggi temporali e digestivi delle sue formulazioni estetiche?
La stagione, marcatore di contenuti materici, volumetrici e cromatici, sembra non esistere più, o non la si vuole far esistere perché si viaggia in tutto il mondo e a tutte le latitudini, perché il mondo produce il suo clima a misura di marketing e opportunità preconfezionate: essere un tutto di un tutto.
La crescente ricettività degli stilemi espressivi vestimentari ha prodotto l'appiattimento dell'originale in favore di un multiplo di facile fruizione.
Il multiplo vive di un potente supporto mediatico che lo spinge ad un trono che non risiede nella distanza tra chi lo possiede e chi non l'ha, ma nel valore di una maggioranza che conferma la giusta scelta dell'oggetto perché in piena corrente espressiva.
La parte contenutistica della progettazione, dall'ideazione alle scelte di campo che nascono trascendenti l'ecumenismo e la popolarità, hanno sempre meno luogo e dinamicità nel tempo perché la logica riflessiva del “chi sono” e “dove mi dirigo” non è d'interesse e non genera opportunità produttiva.
La moda spinge verso la disintegrazione del concetto di calendario (marcatore temporale) e presentazione stagionale per andare verso la soluzione della pagina unica per il racconto dell'oggi che salta la semina per raggiungere il raccolto.
Il tempo che ha da sempre il ruolo ritmico dell'ascolto e dell'assorbimento di principio, ha perso il suo incarico nel giro di un ventennio.
La rete per definizione, interconnessione e comunicazione totale, si è sostituita al tempo. Il valore della rete è innegabile, ma si deve comprendere il modo di attrezzare la vita all'esperienza dell'individualità e del conseguente suo bisogno di autodeterminazione.
Il passaggio temporale tra la proposta di una forma espressiva e la sua effettiva esperienza quotidiana ha, nell'uomo, terreno fertile di creazione identitaria, ma con l'immediata fruibilità di oggi non resta tempo per una costruttiva assimilazione.
Non è il bello o il brutto, il giusto o non giusto, ma il “prima”.
Non vi è identità nella vidimazione atemporale dell'immagine, non vi è apprendimento e crescita.
La qualificazione di un percorso esperienziale individuale non è interessante per il marketing, ma da sempre il marketing ti chiama ad essere il suo unico attore per fare parte del suo unico tutto che ti arruola nelle schiere dei soldati dell'economia globale.
La figura del compratore, del buyer moda, è compressa in questo sistema di sovra-produzione che divide le collezioni in una costellazione (pre-collezioni, collezioni, cruise collection, capsule collection, prime e seconde linee...) che non ha altro significato, se non quello di accrescere i volumi produttivi, non considerando le reali necessità dell'utente finale e il reale bacino d'utenza.
Conseguenza di tutto ciò è stata la delocalizzazione produttiva per ragioni legate all'economia d'impresa più che del territorio, dando adito ad una categoria produttiva sovra-umana e onanistica.
La figura stessa del creativo si è sclerotizzata: dalla nascita della Haute Couture di Charles Frederic Worth, nella seconda metà del XIX secolo, dove il pensiero dell'uomo trovava il suo centro nel progetto sartoriale e la personalizzazione attraversava la visione d'insieme dell'unico ideatore, si è giunti alla couture socio politica di Chanel, Balenciaga, Dior, Saint Laurent, sino allo stilismo degli anni '70 e '80 del '900, per finire nel fenomeno della direzione artistica/creativa che dalla metà degli anni '90, ai giorni nostri, è stato l'indicatore di una riqualificazione della creatività del passato attraverso la rielaborazione archivistica. Oggi si è arrivati, attraverso i grandi gruppi, le conglomerate del lusso, alla compressione sotto vuoto delle componenti creative che vengono spremute sino allo sfinimento per inseguire i lanci delle collezioni a livello internazionale.
Forse che si possa preconizzare un futuro posto nelle mani di team creativi anonimi atti alla produzione di letture degli stati d'animo sociali facilmente riproducibili e spendibili ieri per oggi?
Quanto la comunicazione ha contribuito a tutto questo?
Certamente l'avvicinarsi ad un pubblico sempre più vasto ha fatto sì che la moda divenisse patrimonio comune in tutte le sue esperienze.
La comunicazione di settore è divenuta totalizzante negli anni '90, quando chi portava le creazioni moda era più importante delle creazioni medesime (top model) e le riviste assurgevano a fenomeno di costume globale (Vogue), non era più solo abbigliamento, ma tutto il suo sistema relazionale.
Oggi siamo al punto di diffusione massima del fenomeno comunicativo della moda in quanto è divenuto soggetto espressivo della massa (blog) e non più appannaggio esclusivo degli operatori di settore.
Tale sistema comunicativo nasce privo di rischi economici, ma ha creato indotto economico.
Applicando l'opinione del comune cittadino al mondo moda, attraverso i blog, si è collegato un agente inedito che non investe economia, ma la influenza.
Si può dunque affermare che la comunicazione di settore sia forse più significativa nella misura in cui non gli si applica il rischio finanziario?
Oggi si da per assodata la figura del blogger.
Esso è un comunicatore coeso alle tracce di una conoscenza empatica dello stadio della massificazione dei contenuti. L'aspetto sociale che diviene manifesto nel lessico del blog è l'indicazione connessa al desiderio di identificazione nel suo autore e nella visione che esso ha del mondo.
Questa è una traccia editativa del gusto che pur equivalendo a quella del buyer manca dell'oggettiva percentuale di rischio che si ha nell'investimento economico che è proiezione finanziaria conoscitiva di un possibile domani estetico.
Entrambi operano un'acquisizione e entrambi operano una proposta, ma quella del primo è investimento di tempo e intelletto, quella del secondo è anche monetaria legata all'impresa.
Il blogger ha la postura del cliente moda che acquista dalle immagini attraverso il verbo del suo gusto per il consumo immediato di chi lo segue.
Lo sforzo identificativo è opposto a quello del buyer che opera all'esterno di sé per comprendere attraverso il suo occhio e la sua sensibilità i desideri della sua clientela e gli investimenti da attuare permeandoli di una sua volontà espressiva misurata nel territorio.
L'assenza di rischio e d'esperienza nell'espressione d'opinione rende forse l'opinione più efficace?
Cosa rende così credibili gli uni rispetto agli altri?
Forse che sia la fruibilità di un percorso comodo attraverso il proprio mezzo digitale a disintegrare un passaggio che è stato sino a ieri fondamentale?
L'attività svolta dai buyer, di acquisizione e proposta al pubblico attraverso la vendita, comporta un tasso elevato di esposizione economica, ma anche culturale, al contempo ingenera ricchezza di vedute e percorsi plausibili di selezione e comprensione delle politiche comportamentali del sociale e un'archiviazione e conservazione d'esperienza sul campo; il blogger è un attore che vende la sua influenza, come un tempo lo erano i giornalisti e le riviste, ma senza la necessità di una formazione.
A tutto questo si addiziona che al buyer e al negozio tradizionale si è aggiunta la vendita online e anche tale passaggio ha contribuito ad annullare movimento spazio temporale.
L'online è la bidimensionalità transitoria del denaro che si mostra eterico per le opportunità estetiche del pubblico: un servizio privato che arriva nel mondo, sua piazza totale, in un tempo inodore...
La moda, dalla sua nascita ai nostri giorni, è il tratto sensibile dei mutamenti sociali e il suo volto esprime la condizione emotiva della collettività, l'arte stessa è intervenuta nel suo discorso come agente di rilievo addizionale alle sue esperienze.
Il concetto di calendario delle presentazioni si è espresso per le sfilate come approdo alle correnti di emozioni future intuite nell'oggi, ma forse è proprio del tempo che non si ha più bisogno perché ora è il ventre il misuratore che occupa questa distanza: pancia da tenere piena per i desideri che devono essere bisogni e che di “subito” si nutrono.
Curioso è che in simile quadro si parli ancora di stagioni della vita… che ci siano ancora?
E se sì quale stiamo contemplando?