Medico, Presidente della Federazione Italiana delle Associazioni e dei Medici Omeopati (FIAMO) e Coordinatrice del Comitato permanente di Consenso per le Medicine Non Convenzionali in Italia, Antonella Ronchi da più di vent’anni esercita a Milano come libero professionista utilizzando la medicina omeopatica classica e svolgendo un’impegnata attività di ricerca e divulgazione.

Cosa vuole raccontarci di lei?

Credo di essere una persona soprattutto fortunata: fortunata per essere nata in una famiglia solida e amorevole, e in una città e un ambiente ricchi di opportunità; per aver potuto scegliere una mia strada; per aver incontrato tante persone che mi sono state maestri preziosi e soprattutto per aver avuto la possibilità di rendermene conto.Se devo identificare un mio mantra, mi approprio di quello letto nel diario di Dag Hammarskjold: al passato, grazie, al futuro, sì.

Trova sintonia tra la sua immagine pubblica, esteriore, come “personaggio” e il suo sentire come “persona”?

Da sei anni sono coordinatrice del Comitato di Consenso per le MNC e da ormai più di tredici anni sono Presidente della Federazione Italiana delle Associazioni e dei Medici Omeopati, e la mia, allora, fu un’elezione “per caso”, non cercata e inaspettata. Anche per questo non mi sono mai sentita un “personaggio”, ma mi rendo anche conto che negli anni un po’ lo sono diventata: è come se il ruolo avesse tirato fuori una serie di qualità che nemmeno io sapevo di avere e probabilmente è per queste qualità che la mia presidenza è stata rinnovata ancora per la quinta volta l’anno scorso. Quindi c’è certamente una sintonia tra quello che io sono e il ruolo che ricopro: mi vengono riconosciute capacità di ascolto, di mediazione, ma anche fermezza e lucidità nel perseguire obiettivi. Quello che io mi posso riconoscere è una dedizione che nasce dalla passione con cui affronto le cose.

Esiste una sensibilità femminile nell'approccio alla medicina?

Certamente sì, anche se nella formazione attuale del medico queste attitudini non vengono valorizzate, ma semmai compresse. Una cultura medica meccanicista, che si affida a protocolli, che misura tutto in termini economici, in primis il tempo dedicato al paziente, non permette di esprimere quella sensibilità femminile imperniata sull’accudimento, sull’ascolto, sulla valorizzazione delle emozioni. Adesso si fa un grande parlare di “umanizzazione” della medicina, di medicina centrata sulla persona, ma vedo con molta difficoltà la possibilità di invertire la rotta. Che è poi invece il percorso che ho fatto io più di trenta anni fa, passando dalla cardiologia all’omeopatia, cioè a una medicina che deve assolutamente prendere in considerazione la persona nella sua totalità col suo corpo fisico, la sua mente, la sua anima. In questo senso la mia scelta ha permesso certamente di esprimere al meglio la mia sensibilità.

La donna oggi: liberazione o di integrazione?

Io sono diventata grande prima del '68, anno in cui ho fatto la maturità, e se guardo le foto di classe del mio liceo, vedo che non sono sostanzialmente diverse da quelle dei miei genitori e dei miei nonni. Tutto sembrava immutabile, codificato per sempre. Poi il '68 ha letteralmente spazzato via molti vincoli, molte forme, è arrivata la pillola a rivoluzionare la sessualità e i rapporti uomo/donna, o almeno la possibilità di cambiarli. Ma nella mia pratica di medico, nell’ascolto di tante donne, una profonda liberazione ancora non è avvenuta. Le cose non sono più come prima, ma è difficile vedere con chiarezza come costruire una nuova identità. È un processo in corso, sicuramente le opportunità sono cresciute per molte donne, ma credo che ci vorranno altre generazioni perché si possa parlare davvero di liberazione e integrazione.

Donna e/è potere…

Chi arriva al potere per la prima volta, e spesso è così per una donna, può viverlo con maggior difficoltà: spesso la donna in quella posizione tende a sviluppare qualità più maschili, a “rinnegare” la sua sensibilità per essere meglio accettata, più rispettata, e si vedono molte donne in posizioni di comando che sono dure, rigide, dei colossi dai piedi d’argilla. Alla fine come sempre quello che conta è il percorso, la crescita individuale, e se questa c’è stata, le donne di potere sono una benedizione per chi lavora con loro: capacità di lavoro d’équipe, attenzione al clima emotivo, senso di giustizia.

Anche partendo dai suoi incontri nella pratica clinica, cosa può dire del rapporto della donna con l’uomo contemporaneo: confronto, scontro o...

Faticoso cambiare schema mentale! Sicuramente la donna adesso è più cosciente dei suoi diritti, e questo vale ovviamente per le più giovani, ma anche per quelle più mature o anziane, per cui ci sono maggiori aspettative, c’è una pretesa maggiore nei confronti dell’uomo. Le conseguenze di questa presa di coscienza sono molto diverse a seconda del percorso interiore di ogni donna: se è matura, e questo non dipende dall’età, bilancia questa sua nuova spinta con il rispetto dei tempi o i limiti di evoluzione dell’uomo con cui si trova a che fare, altrimenti è guerra, dichiarata o sotterranea.

Sessualità, maternità, lavoro: tre fili che s’intrecciano, confliggono o si elidono?

Se la sessualità si è svincolata dalla maternità, invece la relazione maternità e lavoro è molto problematica. Alla base di tutto credo stia questa mancanza di idee chiare su che cosa si vuole fare della propria vita: sempre più giovani donne dichiarano di non voler assolutamente costruire una famiglia, dentro o fuori dal matrimonio, fare figli, o perlomeno spostano ogni decisione avanti nel tempo, salvo poi rincorrere ansiosamente l’orologio biologico intorno ai 40 anni. Pongono la loro realizzazione in un lavoro, visto come base di una nuova libertà, che poi spesso non c’è o non risponde a quelle aspettative di cui era stato caricato. Anche su questo tema, sottolineo la diversità di approccio tra giovani ben strutturate e persone ancora in una fase adolescenziale protratta. Ecco, forse la nostra generazione ha prodotto spesso figli ultraprotetti, che faticano ad assumersi delle responsabilità in tempi adeguati.

Cosa s'intende per “medicine non convenzionali”?

Questa definizione è la fotografia dello stato delle cose, indica cioè medicine che sono fuori dall’alveo della medicina accademica, che non sono insegnate ad esempio all’Università. È chiaro che si tratta di una definizione contingente, relativa all’ambiente in cui viene adottata: ad esempio la medicina ayurvedica è non convenzionale in Europa, ma è assolutamente convenzionale in India. Lo stesso per la medicina tradizionale cinese e la Cina. Queste medicine vengono anche chiamate Medicine Complementari e alternative (CAM), o, come proposto recentemente dall’OMS, medicine tradizionali e complementari, per sottolineare la necessità della loro integrazione. Qui ci sarebbe un lungo discorso, io amo più parlare di interazione, perché se l’integrazione avviene tra soggetti che hanno tra loro un peso squilibrato, il rischio è quello dell’assimilazione, che cioè la parte più debole, meno potente, perda in questo processo le proprie caratteristiche.

Quali sono i pregiudizi più radicati sull'omeopatia?

Innanzitutto che funzioni solo per effetto placebo, dato che non si riesce a dare ancora una spiegazione definitiva del meccanismo con cui agisce. Ma l’azione in campo veterinario e addirittura in agronomia dovrebbe far almeno riflettere. Poi che sia lenta ad agire, mentre i tempi di reazione dipendono dalla reattività della persona e dal tipo di patologia: una forma acuta deve risolversi velocemente! Ancora, che sia una moda un po’ new age, senza tener conto che 150 anni fa in Italia c’erano addirittura molte condotte omeopatiche e i medici trattavano ogni genere di patologie. O ancora che l’omeopatia sia una specie di fede, che curarsi con l’omeopatia voglia dire rifiutare la medicina convenzionale.

Cosa si intende in omeopatia per “segni” e “sintomi”? Lei parla anche di “segni di seconda mano”…

L’organismo vivente si esprime attraverso segni oggettivi e sintomi. Se il paziente viene per una dermatite, ad esempio, segni sono le caratteristiche della lesione, ma sintomi sono le modalità reattive, il miglioramento o peggioramento col caldo o il freddo, ad esempio, o le e concomitanze o causalità. In realtà anche la medicina convenzionale sta rendendosi conto di questo: la psiconeuroendocrinoimmunologia ha messo in evidenza la complessità che governa il funzionamento dell’organismo vivente, ma è difficile per chi non ha uno specifico strumento terapeutico utilizzare queste conoscenze, se non tornando a scomporre gli interventi: per cui si rimanderà il paziente allo psicoterapeuta, all’endocrinologo, all’allergologo e così via. Nell’omeopatia invece il medicinale è stato studiato nell’insieme delle sue relazioni e quando si arriva a delineare il puzzle che corrisponde al quadro del paziente, si tratta di trovare quello specifico rimedio omeopatico che abbia la massima similitudine col quadro rilevato.

Il termine “ispezione” nella fase diagnostica può essere interpretato come una modalità intrusiva per cogliere i segni e i sintomi del paziente: in realtà come si pone il medico omeopata nell'incontro con l'altro?

Credo che ciascun omeopata metta in questo processo la sua personalità, e ogni paziente trova quindi la sintonia con un determinato medico, piuttosto che con un altro. Ci sono pazienti che accettano, quasi richiedono, un atteggiamento molto diretto e direttivo, altri che fuggono a gambe levate di fronte a un tale approccio. Nel mio caso, l’essere poco intrusiva fa certamente sfuggire qualche informazione, ma se il rapporto si consolida, potrà emergere in un secondo tempo, quando si tratta di seguire una condizione cronica. Di fatto, la presa in carico di un paziente è un processo, sia per lui che per il terapeuta, che deve man mano affinare la sua conoscenza della persona che ha davanti

Qual è, nella sua visione personale, il racconto/sogno che può fare dell'omeopatia?

Che questo strumento sia a disposizione di tutti per accompagnare ogni processo di cura dal suo inizio. Questo renderebbe superfluo il ricorso a tanti altri approcci e farmaci, e forse anche proprio per questo viene ostacolata la sua diffusione.