Una decina di chilometri a ovest della penisola di Klias, la punta sud-occidentale del Sabah, sorge l’isola pianeggiante di Labuan (92 kmq), unico porto franco del Borneo e punto di transito obbligato tra Sabah, Sarawak e Brunei. I turisti che vi approdano sono principalmente attratti dall’esplorazione d’importanti relitti marini, dalla pesca subacquea, dalle banche offshore e da trust companies, dai negozi esentasse e dalla “vida allegre” proibita altrove, con sale da gioco, bevande alcoliche libere, prostituzione e contrabbando, gestito perlopiù da immigrati filippini. Per la sua posizione geografica, Labuan è stata spesso teatro di vicende storiche turbolenti, tuttavia l’isola del nuovo millennio è un luogo decisamente piacevole e ordinato, considerato dai viaggiatori un must da non perdere. Territorio federale della Malaysia, indipendente dagli stati malesi di Sabah e Sarawak, grazie ai piani di sviluppo in corso di attuazione, Labuan si è conquistata lo status di paradiso fiscale e sta rinascendo a nuova vita. Essendo Labuan l’unico “duty free” della regione, gli orari delle attività commerciali sono più estesi che nel resto della Malaysia, in particolare durante i fine settimana, quando il flusso dei compratori provenienti dalla terraferma è maggiore. Ma Labuan è anche un’isola in gran parte vergine, ricoperta per oltre il 70% da una fitta vegetazione: un romantico gateway con albe e tramonti ricchi di suggestione.

La perla di Labuan

Nei suoi romanzi ambientati nel Borneo, Emilio Salgari fece più volte riferimento a Labuan e alla stessa capitale Victoria. Immaginò che la bella Marianna Guillonk, detta “la perla di Labuan", vivesse con lo zio in una grande villa a pochi chilometri dalla città. Fanciulla amata da Sandokan, l'eroe del ciclo indo-malese del celebre autore. Il loro era un amore "impossibile" poiché Lady Marianna era nipote di un lord inglese (James Guillonk), stretto collaboratore del governatore James Brooke, detto "lo sterminatore dei pirati", ovvero l'antagonista per eccellenza del pirata della Malesia (vedi Salgari e l’utopia del viaggio, del 17 febbraio prossimo). Labuan, il cui nome deriva dal malese Labuhan (ancoraggio), vanta anche spiagge immacolate, moderni yacht club per barche di ogni tipo, curati campi da golf rivolti a un turismo elitario in costante aumento. Sull’isola, e sui fondali della sua costa, dove ci si può immergere alla scoperta di navi affondate nel recente passato, restano anche tracce e memorie della Seconda guerra mondiale, che qui infierì in maniera impressionante producendo danni ancora oggi visibili. La popolazione residente conta 80 mila abitanti, ripartiti fra diversi gruppi etnici: in maggioranza malesi, seguiti da cinesi, indiani e stranieri.

Fino al 1846 l’isola di Labuan fece parte dei possedimenti del sultano di Brunei. In quell’anno, sotto la pressione delle forze navali britanniche, il sultano fu costretto a cedere l’isola alla Gran Bretagna. Gli Inglesi fecero affidamento sullo sviluppo della nuova colonia quale centro del traffico commerciale del Borneo settentrionale, ma le loro aspettative furono deluse anche a causa della scarsa qualità delle risorse carbonifere del territorio. Nel 1890 il British Colonial Office non esitò a cedere l’amministrazione dell’isola al British North Borneo, il nuovo Stato che successivamente prese il nome di Sabah. Nel 1905 ritornò al British Colonial Office, che, due anni più tardi, la inserì nella colonia degli Insediamenti degli Stretti (Straits Settlements), amministrata da Singapore.

Labuan rimase una parte economicamente arretrata di questa colonia fino al 1941, quando sbarcarono i giapponesi. In quei tre anni e mezzo d’occupazione l’isola prese il nome di Maida (MaIdashima), in memoria del comandante in capo ucciso nel cielo di Bintulu (Sarawak). Fu proprio nella piccola Labuan che deposero le armi le truppe nipponiche d’occupazione del Borneo settentrionale. In quest’isola ebbe anche luogo il processo, per crimini di guerra, istruito dalla Corte australiana contro gli ufficiali giapponesi responsabili della “marcia della morte”*. A conclusione della guerra, Labuan tornò a far parte della colonia britannica del North Borneo e, con la costituzione della Federazione Malese, nel 1963 ottenne l’indipendenza come territorio facente parte dello Stato del Sabah. Il 16 aprile 1984 la giurisdizione dell’isola si staccò dal Sabah e fu trasferita a quella del Territorio Federale con capitale Kuala Lumpur.

La capitale Bandar Labuan (Città di Labuan), ex Victoria, nome ora relegato al nucleo storico cittadino, sorge nella zona a sud-est, protetta da un’insenatura interna punteggiata da alcuni pittoreschi insediamenti sull’acqua o kampung ayer. Ha un centro compatto e ordinato, con assolate strade arredate da folte aiuole che fanno da spartiacque; gli edifici raramente raggiungono i quattro piani e piccole piazze interne dividono coppie di abitazioni poste una di fronte all’altra. Un piccolo, ma attivo porto di mare con marinai e commercianti provenienti da diverse parti del mondo, mobilita un significativo turismo mercantile e non solo. Lungo Jalan Merdeka, la strada a più corsie che costeggia il mare, si trovano il terminal dei ferry, il porto maggiore e numerose agenzie marittime. La stesso corso raccoglie ristoranti, empori, banche, l’imponente edificio del Labuan Hotel, la Telekom e l’ufficio turistico, cento metri oltre la rotatoria, di fronte al Padang (campo erboso).

Pantai Pancur Hitam è la più popolare tra le spiagge dell’isola, una lunga lingua di sabbia inserita in un bel paesaggio ricco di grossi pini e di verde, aree di ricreazione con tavoli per i pic-nic e bagni pubblici. L’altra pantai (spiaggia) molto frequentata nei fine settimana è Layang-Layagan, sulla costa di nord-ovest, all’estremità di un parco percorso da piste ciclabili, dotato di maneggio, bancarelle con cibi e teatrino all’aperto, dove normalmente si esibiscono bande musicali e complessi rock locali. A Layang Layagan c’è pure il Peace Park, che custodisce il piazzale circolare del Surrendered Point, il luogo dove il 9 settembre del 1945 avvenne la resa di 32 militari giapponesi di stanza sull’isola: evento che sancì la fine dell’occupazione da parte dell’Impero del Sol Levante. Nella stessa area settentrionale dell’isola, dove risiede pure il Manikar Beach Resort, ha sede il giardino botanico nell’ex “Government House”, la bellissima villa coloniale del 1852, posta dietro il vecchio aeroporto. Sulla strada per Tanjung Kubong, il luogo dove furono attivate le miniere di carbone nel 1847, incontrate le tre cupole del Bird Park, voliere che ospitano centinaia di specie ornitologiche tropicali, situato non distante dalla Chimney (ciminiera), l’antica torre di 36 metri simbolo di Labuan. Tutte queste località sono collegate alla capitale da un servizio regolare di minibus in partenza dalla stazione di Jalan Bunga Melati.

Il Parco Marino di Labuan e le isole dei dintorni

Il Labuan Marine Park, un triangolo di 10 kmq che comprende le isole di Kuraman, Rusukan Besar e Rusukan Kecil, inizia ad appena 2 km da Capo Punei, l’estrema punta meridionale di Labuan, e vi si giunge con le lance in partenza dal Sea Sport Complex, purché vi sia almeno una decina di passeggeri. Oltre a un mare cristallino, qui trovate un ambiente intatto e selvaggio composto da lunghe strisce di sabbia, appartate lagune lambite da onde gentili, vaste aree coralline e sentieri ben marcati, che consentono di esplorare la giungla abitata da rare specie di farfalle. Snorkelling e siti per sub introducono il visitatore nel magico mondo sommerso del parco, ricco di vita marina e di qualche relitto navale da esplorare. Al Labuan Marine Park, inserito nei programmi quinquennali per lo sviluppo dell’eco-turismo nella regione, proseguono i lavori per estendere l’installazione dell’acquedotto e della rete elettrica allo scopo di aumentarne il numero di moli, chalet e campeggi. Entro il perimetro del parco sono proibiti pesca e ancoraggio; coloro che viaggiano in yacht possono ormeggiare all’esterno e raggiungere il parco col tender. L’unica eccezione, infatti, viene concessa alle imbarcazioni inferiori a tre metri purché usino l’ancora a sasso. Si può invece girare liberamente in kayak, veleggiare, fare esplorazioni marine e terrestri e fotografare a piacere.

Pulau Kuraman è la più grande e la più attrezzata a ospitare turisti, con un jetty sul lato sud-orientale e un resort con alcuni bungalow; Pulau Rusukan Besar è un’isola perfetta per pic-nic, nuotare e fare snorkelling, mentre la più piccola Pulau Rusukan Kecil, tranquilla e particolarmente inviolata, si offre quale luogo ideale per un’esperienza di campeggio in una dimensione esistenziale e ambientale primitiva. Se cercate un’isola più movimentata, in cinque minuti di barca da Labuan si giunge all’altrettanto bella Pulau Papan, un centro e una spiaggia frequentati da schiere di vacanzieri della domenica, soprattutto da famiglie provenienti dal vicino Brunei. Qui, all’esterno del parco, non è proibita la pesca. Si può anche alloggiare in bungalow, ma la maggior parte dei visitatori preferisce campeggiare in tenda. Altri isolotti vicini, che meritano una visita sono certamente Daat e Burong, habitat naturale di diverse specie animali e vegetali.

Alla scoperta dei relitti sommersi: “wreck diving”

Le acque limpide di Labuan celano i relitti di molte navi, affondate prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. I suoi fondali sono diventati la meta di molti ricercatori di relitti sommersi: per gli amanti del “wreck diving”, alcuni operatori locali organizzano spedizioni a quattro delle più importanti navi affondate: Cement, Australian, American e Blue Water, considerate tra i migliori reperti di naufragi dell’intero sud-est asiatico. La Cement è una nave moderna di 105 metri, situata a circa 21km dalla costa di Labuan, a est dell’isola di Kuraman. Si dice che la MV Tung Hwa (vero nome della nave) stesse portando il suo carico di cemento nel vicino Brunei, quando cozzò il banco di Samarany e affondò (1980). Adagiata in posizione retta a una profondità di 30 metri, la sommità del suo albero maestro si trova ad appena 8 metri dalla superficie e il corpo a 14 e 19: un’immersione facile, indicata anche per i principianti. Tuttavia, divemaster esperti calano la catena dell’ancora e accompagnano i sub nella perlustrazione, facendo molta attenzione a non danneggiare corallo e relitto. Migliaia di pesci esca salutano i subacquei nella discesa e non appena gli occhi si adattano alla scarsa luminosità che domina l’interno dello scafo, la nave rivela un’enorme profusione di corallo e di vita marina: pesci pipa, cardinale, damigella, falco, ghiozzi, ma la varietà e la ricchezza del corallo, che comprende anche il "fiore del sole" (Tubastrea sp.), attrae anche animali più grossi, come pesci pipistrello, fucilieri, arcobaleno, barracuda e molti altri. Tra i relitti affondati, la Cement è la più fotogenica.

La Australian non è una nave australiana, ma il soprannome dato dai locali al relitto che fu affondato da un aereo australiano durante l’ultimo conflitto mondiale. La nave si trova a 23 km da Labuan, sulla secca di Barat a sud-est dell’isola di Rusukan Besar, e giace a una profondità di 21 metri. In origine era un mercantile olandese, requisito dai giapponesi, dotato di mitraglie e utilizzato come vascello cargo fino al suo inabissamento avvenuto nel 1945. Una placca ne identifica la costruzione a Rotterdam nel 1900. Lungo un centinaio di metri, ha lo scafo spezzato e la coperta in legno ampiamente deteriorata. La struttura della nave, abitata da pesci rana, è ricoperta da trecce di corallo nero, fruste marine e idroidi pungenti. Il suo interno viene spesso visitato da grossi grouper, ma i sub devono prestare attenzione a dove poggiano le mani per l’abbondanza di pesci leone e pesci sasso mimetizzati negli angoli bui dell’Australian.

La American, un dragamine statunitense identificato col nome di USS Solute, si trova anch’esso sulla secca di Barat a un chilometro e mezzo dall’Australian. Durante i preparativi per l’invasione della Baia di Brunei da parte degli Alleati, il segmento centrale della nave fu colpito da una mina e prima di inabissarsi si girò sul fianco e colò a picco con la prua rivolta verso l’alto. Il relitto poggia sul fondo sabbioso a 33 metri, avviluppato da metalli e cavi. Questo wreck diving è indicato per sub esperti, che dovranno prestare particolare cautela a causa del fitto garbuglio di cavi ritorti. Quando si galleggia in cerca di punti d’appoggio, occorre fare attenzione a dove si mettono le mani per l’abbondante presenza di ricci di mare neri. Giungono qui in pellegrinaggio, per posare corone di fiori accanto ai resti della nave i parenti delle vittime. La carcassa è l’habitat di crostacei, echinoderma (varietà d’animali marini che hanno un dermascheletro calcareo) e banchi di pesci labbra-dolce, che perlustrano in continuazione il relitto al pari di sentinelle silenziose. Rovistando fra i rottami, emergono cartucce e bossoli di obice, utensili da cucina, stoviglie, fili del telegrafo e conchiglie. L’altra oasi sommersa rappresentata dal mercantile Blue Water, affondato nel 1980, si trova poco più a nord-ovest. La penetrazione nelle navi è consentita solo a sub adeguatamente addestrati a questo genere d’esplorazioni. Per coloro che desiderano apprenderne le tecniche, le agenzie Borneo Divers & Sea Sports e HMD Tours & Travel organizzano corsi speciali di wreck diving, ma anche l’immersione senza entrare nel relitto è ugualmente emozionante. Il wreck diving può essere pericoloso, chiedete sempre l’equipaggiamento di sicurezza, in particolare per le pause di decompressione. Il periodo migliore è compreso fra marzo e ottobre.

  • Con l’invasione dei giapponesi tra il 1941 e il 1945 lo Stato del Sabah subì pesanti devastazioni e fu teatro di una tragica vicenda nota col nome di “marcia della morte”; 2400 prigionieri di guerra tra cui militari australiani, inglesi e alcuni volontari malesi, da un campo di prigionia a Sandakan furono costretti ad attraversare la giungla a marce forzate in direzione di Jesselton (ora Kota Kinabalu). La meta non fu mai raggiunta, il tragitto s’interruppe a Ranau nell’agosto del ’45, in quanto tutti i prigionieri non sopravvissero, a eccezione di sei australiani che riuscirono a fuggire.