Cosa vuole raccontarci di lei?

Non è facile parlare di se stessi. Cinquantenne, due figli (figlio vent’anni, figlia dieci anni) che, è banale dirlo, amo molto. Matrimonio naufragato, quasi sempre amori difficili e maledetti. Pochi amici fidati, da cui torno sempre. Due genitori senza il cui sostegno non sarei riuscita a fare nulla. Un lavoro che mi piace e mi coinvolge moltissimo: sono architetto, professore associato al Politecnico di Milano e mi occupo da anni di progetto in aree archeologiche e in contesti antichi. Potrei aggiungere che La Grecia è il mio diapason. Ricomincio sempre partendo dalla Grecia (e tutto quello che riguarda parti del Mediterraneo con respiro greco), intesa come cultura (antica e non), come paesaggio dove non c’è mai un orizzonte vuoto, ma punti vista privilegiati da un luogo a un altro. Dico “ricomincio”, perché mi è capitato di dovermi togliere da situazioni in cui stavo male o in cui non trovavo vie d’uscita.

La sua immagine esteriore come “personaggio” e il suo sentire come persona

Non credo di avere questa dualità, sono sempre poco personaggio. Anche se so di avere nel profondo del mio carattere due aspetti contrastanti. Capita che le persone, a seconda dei casi, possano confondersi e vedere uno solo di questi aspetti. Un aspetto serio che mi porta a fare fatiche fuori da ogni unità di misura, spinta dalla passione per quello che sto facendo; una parte di me che mi rende abbastanza fuori dal comune, ma che tendo a non far pesare sugli altri. All’opposto sono molto infantile e a tratti potrei sembrare frivola oltreché molto estroversa. Ma credo che la “frivolità” sia una qualità di difficile acquisto, che viene soltanto dopo una lunga giornata di fatica. Racconto una cosa divertente. Le mie amiche quando mi presentano spesso usano questa premessa: “la vedete così, ma in realtà è una macchina da guerra, sul suo lavoro è una persona importante”. Come per giustificare la mia allegria un po’ mediterranea.

Si sente di raccontare il suo sogno?

Di sogni ne ho tanti e non è facile scegliere, molti per i miei figli, per me, e di conquista intellettuale. Difficilmente riesco a dirmi “cosa vuoi di più dalla vita”. Probabilmente quando non avrò più sogni sarò pronta a morire.

Per lei piacere è...

Piacere è fare quello che faccio, mettendoci sempre una grande passione. È quando sto in compagnia dei miei figli, della mia famiglia, dei miei amici. Mi piacciono molto le feste. Mi butto su tutto con piacere, ma sempre con la consapevolezza di dover sapere quando e come uscirne. È anche sì amare, anche sesso. Mi viene in mente Omero che fa allungare indefinitamente la notte per permettere a Ulisse di raccontare. Ecco, alle volte spero di poter allungare indefinitamente il tempo, magari allungare indefinitamente la notte, mentre fuori il giorno inizia il suo giro. Piacere è anche riuscire a condividere il silenzio con le persone che ami e non c’è niente di più difficile.

La donna oggi: liberazione o integrazione?

Liberazione forse non ancora del tutto. Ci sono troppi ostacoli, troppi contesti dove inculcano ancora idee stantie. Non mi piace la faccenda delle quote rosa. Potrei anche decidere di vestirmi di rosa, ma vorrei che mi si desse un incarico, un ruolo per le mie competenze, per il contributo che potrei dare. Mi sento abbastanza uno spirito libero.

Donna e/è potere... cosa ne pensa?

Donne di potere ce ne sono. Poche ma ce ne sono. Tuttavia più si sale nella scala del potere e meno donne vedo. Qualsiasi ruolo una donna acquisisca c’è sempre il dubbio che lo abbia ottenuto con le note scappatoie e ogni volta è necessario dimostrare che sei competente, che le cose te le sei conquistate lavorando sodo. Gli uomini questa fatica non la conoscono e spesso c’è la battuta, fatta in segno di ammirazione, “quella ha le palle”. Allora è meglio vedere sempre tutto con ironia e con il dovuto distacco.

Stereotipo e realtà della donna milanese

Lo stereotipo è la donna indaffarata. C’è un’osservazione di mia mamma, palermitana di nascita e cuneese di adozione, che trovo molto calzante: "le donne milanesi camminano per strada e non guardano negli occhi nessuno". Questo può sembrare come un segno di presunzione e poca umanità. Poi col tempo mi sono accorta che anch’io lo faccio, ma non è presunzione. Vivere a Milano implica necessariamente che anche mentre cammini devi pensare a cosa devi fare, agli spostamenti, agli orari. E quindi finisce che di sorrisi al prossimo per strada se ne fanno pochi.

Il rapporto della donna con l’uomo contemporaneo: confronto o scontro?

Direi confronto. Credo che il periodo del cosiddetto "Contrattacco" sia finito. Ognuno ha i suoi pregi e il proprio carattere. Non vedo più donne che tentano di sembrare maschi per potersi affermare, ma vedo sempre di più donne consapevoli dei tanti ruoli che hanno nella vita. Anzi, vedo più disorientamento tra gli uomini.

Sessualità, maternità, lavoro: tre fili che s’intrecciano, confliggono o si elidono?

Rispondo con una citazione (giusto per restare sempre in tema greco) da Zorba il Greco di Nikos Kazantzàkis: “Lasciamo la nostra porta aperta al peccato. Non chiudiamo le orecchie al canto delle sirene, e non ci leghiamo, presi dalla paura, alla prua di una grande idea. Neanche abbandoniamo la nave per perderci a baciare le sirene. Ma continuiamo il nostro viaggio. Prendiamo le sirene con noi e viaggiamo tutti insieme. Questa è la nuova ascesi”.

Qual è il ruolo dell’architetto contemporaneo?

Potrebbe sembrare un po’ antiquata la risposta, ma direi che è quello di sempre. Cambiano le tecniche e le abitudini ma il ruolo dell’architetto non cambia. “Architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo spostamento dei pesi e mediante la riunione e la congiunzione dei corpi, opere che nel modo migliore si adattino ai più importanti bisogni dell’uomo”. Lo scriveva Leon Battista Alberti nel su De Re Aedificatoria. L’opera, aggiungerei, ogni volta che appare (e per opera intendo quella realizzata, ma anche il progetto di ideazione) fa scoprire nuove configurazioni, nuovi accordi, che prima erano nascosti, non si percepivano, ma c’erano. Il progetto pertanto è una responsabilità (una scelta) e contiene in sé un delicato equilibrio tra preparazione culturale e abilità pratica, tra consapevolezza critica e competenza tecnica. Tutto entro la capacità di invenzione e del saper riconoscere. Un’opera è bella se te ne richiama delle altre di altre epoche. Se genera catene genealogiche, anche impensate. Nel mio caso, lavoro all’interno di una Università, il progetto è soprattutto il testo scientifico di una ricerca, è una presa di posizione nei confronti di un luogo (l’oggetto della ricerca) e non solo il soddisfacimento delle richieste e degli scopi da conseguire.

L’architetto donna ha una particolare sensibilità?

Questa domanda mi fa venire in mente un episodio. Durante la conferenza stampa per la presentazione alla città di Mantova del mio progetto in piazza Sordello è intervenuta una signora che, molto interessata, mi ha fatto i complimenti e poi ha aggiunto: si vede che il progetto l’ha fatto una donna... Ci ho pensato a lungo ma non so come sia possibile. Posso spiegare cosa faccio io e poi lascio le conclusioni a chi legge. Mi occupo da anni di un filone di ricerca che riguarda il progetto contemporaneo in aree archeologiche. Progettare con l’archeologia significa affrontare questioni poste su piani diversi ma correlati fra loro. L’architetto conosce attraverso il progetto. Il caso vuole che i luoghi, i miei luoghi di conquista della conoscenza siano legati tra loro da un filo rosso. La Grecia, nel senso della cultura greca, quell’inconfondibile costruire e comporre lo spazio, le architetture, i luoghi, assecondandone le caratteristiche e trasformando ostacoli in occasioni straordinarie. Mi sono fermata in luoghi in cui trasudava la Grecia. Mi sono spinta fino in Afghanistan. Lì ho preso un premio d’onore, donna in un paese musulmano. Ho trasformato aree archeologiche dentro queste città in itinerari museali all’aperto con mercati, scuole, abitazioni. Ecco, forse adesso penso alla frase di cui ho detto all’inizio e alla domanda, e mi viene in mente che sì ci sono dei particolari caratteri che forse potrei attribuire vagamente alla sensibilità femminile: ironia e leggerezza. Come se la smisurata fatica nel fare le cose non ci sia stata, come se tutto fosse il risultato di un andamento naturale. Ma in realtà di naturale non c’è niente. Leggerezza non superficialità, c’è differenza.

Ci può parlare della sua attività nell’ambito dell’insegnamento universitario?

Sono professore di Composizione architettonica e insegno nei Laboratori di Progettazione architettonica. In poche parole insegno a progettare, ad affrontare il mestiere nella sua complessità. Nel laboratorio infatti sono presenti, oltre alla disciplina della Composizione, altre discipline necessarie ad affrontare tema della costruzione. Siamo in un momento molto difficile in cui l’architettura viene da un lato delegittimata e sostituita da altre discipline e dall’altro sovrastata da linguaggi e strumenti operativi desunti da nuove tecnologie. È importante quindi indirizzare lo studente a un processo inventivo che è discernimento, selezione, conquista faticosa, conoscenza della realtà, tensione verso la conoscenza. Il progetto non consente nessun arbitrio, al contrario è il risultato di rigorose costruzioni logiche e impiego di tecniche della composizione adeguate: consapevolezza critica e controllo esercitato sulle scelte sono il veicolo più appropriato per l’acquisizione del sapere nel fare e del fare con sapere.

A che cosa attribuisce lo storico degrado architettonico delle nostre città?

Le città fatte senza amore sono degradate, gli edifici sono omologati e tutti uguali ovunque. Le costruzioni fatte senza amore portano degrado. Capita poi che le grandi città contemporanee siano città di gente di passaggio, che ci viene per lavorare. E invece nelle città degradate (quasi tutte), dietro al mercato, dietro agli edifici distrutti, sporchi, uguali, omologati, abbandonato e nascosto c’è un tesoro, un’altra città in mezzo al cemento (e specifichiamo, a me piace il cemento quando è usato sensatamente). Un pezzo di anima dei luoghi finito dall’altra parte della vita. E il lato oscuro è qui dove viviamo. I grandi architetti (e i grandi artisti) sanno leggere quest’anima nascosta e sono grandi proprio per questa capacità di vedere dove gli altri non vedono, di mostrarla attraverso le loro opere.

Cosa proporrebbe per rendere le periferie milanesi più umane e vivibili?

Mi rifaccio a ciò che ho detto poco fa, cioè che nei luoghi c’è sempre un qualcosa di specifico su cui fare leva per ribaltare le situazioni. In particolare a Milano, dove la periferia storica ha una connotazione molto precisa nell’immaginario e in certi aspetti della cultura milanese. Faccio un esempio, la Bovisa, il quartiere con i gasometri, le ciminiere, il tram di piazza Bausan, personaggi messi in scena nei celebri quadri di Sironi. Negli anni '90 del '900 uscì dal degrado in cui era caduto grazie all’insistenza di alcuni docenti della Facoltà di Architettura (cito uno fra tutti Lucio Stellario d’Angiolini, urbanista) che insistettero affinché il Politecnico si espandesse in questo luogo, perché tra l’altro poteva diventare contesto chiave per le relazioni con il resto della Lombardia, allora interpretata come grande Città policentrica. E in un certo senso così è stato.

Qual è stato il periodo architettonicamente più produttivo e originale nella storia di Milano?

Credo il Novecento. È stato un secolo in cui da Milano passava tutto, si sperimentava di tutto, anche nell’architettura e nel design. Diverse generazioni di architetti hanno costruito la cosiddetta tradizione della Scuola di Milano. C’erano riviste importanti Casabella-continuità e Domus. Questa tradizione trovò modo di rinnovare tale identità anche al Politecnico tra gli anni '60 e '70 affermandosi quale luogo dove la conoscenza non viene semplicemente trasmessa, ma viene prodotta secondo orientamenti riconoscibili e riconosciuti. Le personalità dei docenti, autorevoli e allo stesso tempo differenti, sono accomunate, oltre che dalla profonda condivisione di idee sull’architettura, sul progetto, sull’insegnamento, anche dalla capacità di collocarsi in termini politici nel rapporto con la realtà. Con questi presupposti si rifonda la tradizione e si traccia criticamente una linea di continuità con l’eredità dei maestri. Più in particolare, quella che veniva compiuta era la sostanziale rifondazione della composizione architettonica, affermando la rilevanza storica e operativa della disciplina. Anche a livello internazionale veniva riconosciuto questo sforzo conoscitivo, radicato su una storia profonda e comune dell’architettura e degli architetti; il contributo fondamentale alla nozione stessa di progetto urbano e l’identificazione della città come campo di studio e terreno di rifondazione teorica costituivano un riferimento certo, destinato e resistere nei decenni successivi. Gli studi analitici e la pratica del rapporto con la realtà mettevano in luce il ruolo civile dell’architettura, riprendendo la lezione dei maestri del dopoguerra; per altro verso la ricerca sul terreno della tipologia tentava di superare la dimensione individualistica nella quale si era confinata la loro poetica.

Ci può suggerire monumenti, ambienti, strade milanesi da riscoprire?

Milano archeologica è poco conosciuta. Propongo di visitare il Museo Archeologico in corso Magenta. Un luogo inaspettato insediato in uno dei più importanti monasteri femminili, il Monastero Maggiore con la chiesa di San Maurizio (sorprendenti gli affreschi all’interno di Bernardino Luini). Questo luogo, risultato di ricostruzioni, adattamenti e restauri del cenobio medievale, raccordati in chiostri, giace a fianco del muraglione romano con la Torre detta di Ansperto e sopra i carceres (cioè i cancelli di partenza dei cavalli) dell’antico Circo. È un luogo sorprendentemente emblematico di Milano, complessa e articolata nei percorsi, nel sistema di ‘segni’ che si intersecano, si negano, si propongono apparentemente senza ragione. Suggerisco poi di seguire luoghi della Milano antica come se fossero percorsi museali en plein air seguendo due percorsi. Una promenade archeologica che da via Brisa e dal Monastero Maggiore piega a sud, lungo il tracciato del Circo (via Cappucci e via Morigi) verso porta Ticinese, attraversa il quartiere del Palazzo imperiale e conduce all’Anfiteatro, passando per San Lorenzo, basilica paleocristiana a pianta centrale. Nascosti fra gli edifici e le corti della Milano del Rinascimento si rivelano i frammenti della Milano antica. I ruderi dell’Arena affiorano entro un’area sistemata a verde pubblico. L’ingresso è attraverso l’Antiquarium Levi-Spinazzola in via de Amicis. L’altro itinerario prende avvio da Porta Romana, segue il corso, l’antico asse cardinale della città con la via porticata, fino ad arrivare a piazza Missori con il rudere dell’abside della chiesa di San Giovanni in Conca (e l’inaspettata cripta al di sotto della piazza), fino all’area del Foro romano, cioè piazza San Sepolcro con le due chiese sovrapposte e l’Ambrosiana, la biblioteca voluta dai Borromeo agli inizi del Seicento. In queste promenades la Milano Antica convive con la Milano Cristiana: i monumenti pubblici – dal circuito degli edifici da spettacolo (teatro, anfiteatro, circo) alla mole del palazzo imperiale e alle poderose mura – sono testimonianza e memoria del suo antico splendore civile. Ad essi si aggiungono le grandi basiliche paleocristiane, talora ancora conservate nell’impianto originario, dopo che l’imperatore Costantino con l’Editto del 313, promulgato proprio a Milano, concesse la libertà di culto ai Cristiani. Edifici come la chiesa del Santo Sepolcro costituiscono infine un punto di incontro simbolico tra sfera civile e religiosa, essendo collocata proprio sopra al Foro romano di Milano, dove decumano e cardo si incrociavano.