Le proteine sono tutte uguali?

L'essere umano è un onnivoro problematico: avendo a disposizione un abbondanza e una varietà di cibi sconosciuta ad altre specie con alimentazione selettiva, deve unire istinto e versatilità per comporre la propria dieta. Essendo l'uomo un animale culturale la sua nutrizione è anche influenzata da scelte di natura etica, religiosa e sociale. La simbologia legata al cibo è molto forte: gran parte dei tabù culturali che la specie umana ha elaborato riguardano proprio il cibo. Nonostante persista un eredità gustativa costruita in millenni di evoluzione la scelta non si limita alla ricerca del cibo grasso, dolce e salato. Questi tre gusti corrispondono alle tre principali categorie di nutrienti fondamentali alla nostra vita: lipidi, carboidrati e proteine. Ma non tutte le fonti alimentari si equivalgono: la scelta rimane ardua.

Nel caso specifico delle proteine abbiamo due possibilità, fonti di origine animale e fonti di origine vegetale. Mantenendoci su parametri scientifici, la valutazione di qualità e quantità si fonda su tre indici principali: il rapporto di efficienza proteica, l'indice chimico e il valore biologico. Il rapporto di efficienza proteica calcola l'aumento di peso in grammi del nostro corpo corrispondente a ogni grammo di proteina ingerito. L'indice chimico invece, mette in rapporto la quantità di un amminoacido nella proteina presa in esame con la quantità dello stesso nella proteina di riferimento. Determinando quindi la presenza di amminoacidi essenziali all'interno di un proteina, ne denota le virtù nutritive. Il valore biologico infine, calcola l'assorbimento da parte del corpo, di amminoacidi e azoto in rapporto allo scarto.

L'utilizzo di questi tre parametri per confrontare proteine animali e vegetali evidenzia la superiorità delle prime, che non a caso sono considerate, a livello storico e popolare, la principale fonte di proteine. Questa considerazione continua a persistere perché la carne e i derivati animali contengono tutti gli amminoacidi essenziali necessari alla sintesi proteica. Esse inoltre hanno un coefficiente di digeribilità pari al 90%, mentre quelle vegetali solo dell'80%. Questo fattore è determinato dall'acidità del nostro apparato digerente, che avendo pH inferiore a sette non è un ambiente ideale per la completa digestione delle leguminose. Questa fonte di proteine vegetali possiede altre criticità legate alla presenza di sostanze tossiche e antinutrizionali, a fattori di fermentazione intestinale e a squilibri di nutrienti. Sostanze come antivitamina E, inibitori della tripsina e emagglutinine vengono completamente neutralizzate con una cottura adeguata. La produzione di gas, da tre a sei volte quello prodotto da altri nutrienti, non è nociva quanto fastidiosa e sgradevole. L'origine di tale fenomeno è da rintracciarsi nella presenza in legumi secchi di oligosaccaridi non digeribili come il raffinosio e lo stachiosio. Questo problema può essere ridotto con accorgimenti nella preparazione del prodotto come: l'eliminazione degli zuccheri mediante ammollo e precottura, l'attivazione di enzimi digestivi tramite fermentazione acida o l'aggiunta di erbe antifermentative (timo, origano e chiodi di garofano) a fine cottura.

Per quanto riguarda gli squilibri nei nutrienti il problema non riguarda solo le leguminose ma anche carne e latticini. Nel caso specifico concerne gli amminoacidi essenziali e il rapporto calcio-fosforo. Combinando le leguminose ai cereali si ovvia la carenza di amminoacidi solforosi, mentre nel consumo di fagioli freschi per non avere squilibri a sfavore del calcio si deve ricorrere a un'associazione con alimenti che ne sono ricchi. Solitamente la nobiltà delle proteine animali è esaltata nel confronto con la semplicità e le problematiche di quelle vegetali. Ma anche le proteine animali hanno il loro tallone d’achille: sono accompagnate sempre da grassi saturi, dannosi per il nostro organismo perché attivano processi infiammatori a carico dei vasi sanguigni e perché interferiscono con il metabolismo degli acidi grassi. Risultano inoltre più acidificanti di quelle vegetali e producono più scorie azotate tossiche come ammoniaca, creatinina, acido urico e urea. Le scorie azotate in eccesso creano difficoltà nel ricambio e nella ricostituzione di nuove strutture cellulari, affaticano reni e fegato, abbassano il pH del sangue e generano disturbi digestivi. Per facilitare l'eliminazione delle scorie azotate in una dieta ricca di proteine animali vi è un incremento dell'apporto di acqua ( fino a 7 millilitri per ogni chilocaloria di origine proteica), bisogna quindi fare attenzione ai livelli d'idratazione.

Paragonate a queste criticità, le mancanze prestazionali delle proteine vegetali sembrano esigue e risolvibili. Per sopperire alla carenza di uno o più amminoacidi infatti si ricorre all'associazione di fonti proteiche diverse, sfruttandone il principio di complementarietà. I legumi poveri in cisteina e metionina vanno accompagnati da cereali, abbondanti di questi amminoacidi ma limitati in lisina e triptofano. Questa particolare alleanza svolge vantaggiose funzioni a livello metabolico: aumenta il senso di sazietà, inibisce la fame e accelera il metabolismo con effetti positivi sul controllo del peso. Inoltre i benefici delle proteine vegetali non si limitano a questo, svolgono anche funzioni preventive. Per l'assenza di grassi saturi, diminuiscono la presenza di colesterolo LDL nel sangue, prevenendo malattie cardiovascolari dovute all'aumento della pressione arteriosa. Per la contenuta presenza di scorie azotate vi è inoltre una diminuzione dell'incidenza tumorale. Le principali fonti di proteine vegetali sono legumi, cereali, frutta secca e alghe. Le motivazioni per prediligere una dieta vegetariana rispetto a una onnivora sono svariate, ed esulano dall'ambito salutistico-nutrizionale. Ragioni di tipo etico, morale, ambientale ed economico vanno prese in considerazione.

Dannata Frugalità

Con l'avanzare del benessere nel XXI secolo abbiamo assistito a un miglioramento delle condizioni di vita su larga scala: l'incremento della popolazione mondiale ne è la palese dimostrazione. I progressi in campo medico e scientifico hanno portato a un'estensione sensibile dell'età media anche in paesi in via di sviluppo. Ma il miracolo del progresso non ha portato con sé solo doni: molti dei vizi delle società occidentali si sono trasferiti ai "buoni vecchi selvaggi". Si assiste allora all'insorgenza di gravi paradossi come la convivenza all'interno del medesimo paese e della medesima classe sociale di obesità e malnutrizione. I meccanismi della globalizzazione e del capitalismo spinto hanno magicamente trasformano i bisogni fondamentali in lussi esclusivi e inutili futilità in esigenze imprescindibili. Riuscire a portare sulle tavole di tutto il mondo bevande gassate piuttosto che acqua potabile, è lucroso per pochi ma socialmente dannoso per molti. La diffusione su scala globale di prodotti a buon mercato nocivi per la salute dei consumatori è un dato di fatto verso il quale troppo spesso sfoggiamo ignoranza e disinformazione.

Abbandonare le tradizioni culturali, per affondare nell'insanità del "progresso" porta a derive locali e globali. Con l'introduzione di cibi estranei e insalubri il singolo soggetto ne risente fisicamente, ma anche il contesto ambientale viene segnato da pratiche non sostenibili. La diffusione di sindromi metaboliche e disturbi alimentari è legata al consumo di cibi spazzatura e all'abuso di grassi animali. La dieta arricchita da un alimento caro e "nobile" come la carne è stata vista dopo lunghi periodi di carestia e povertà come un riscatto, un'ostentazione di acquisita ricchezza. Per le generazioni passate in Occidente e per classi emergenti nei paesi in via di sviluppo, il ricorso a un'alimentazione iper-proteica e ricca di grassi appare come una compensazione psicologica. La fine della condizione di stenti va mostrata quotidianamente, con l'abbandono degli alimenti "poveri" e della loro immagine degradante. Le proteine vegetali hanno subito così un ostracismo dalle tavole, che ha generato condizioni sfavorevoli sia ai consumatori che all'ambiente.

Per far fronte a una richiesta crescente di carne infatti si è ricorsi ai metodi d'allevamento intensivo: milioni di animali stipati in spazi angusti, ingozzati di cibo insalubre, bombardati di ormoni della crescita e gonfiati di antibiotici. Una forzatura perversa del ciclo vitale e degli equilibri naturali che accumula malessere lungo tutto il percorso, per riversarlo sull'anello finale della catena alimentare: noi. Il sensazionalismo moderno si accontenterebbe di citare le chimere che questo sistema ha generato: encefalopatia spongiforme bovina, influenza aviaria e suina, epidemia da escherichia coli... ma ciò che si cela dietro a queste pratiche malsane di alimentazione è più tangibile e quotidiano. Più di 1,4 miliardi di persone nel mondo sono in sovrappeso e più di 500 milioni sono obese. Più di 42 milioni di bambini con età inferiore a 5 anni è sovrappeso. Ogni anno 2,8 milioni di persone muoiono a causa dell'obesità e del sovrappeso. Il 65% della popolazione mondiale vive in un paese dove il sovrappeso e l'obesità sono più letali della malnutrizione. Su scala mondiale il 44% del diabete, il 23% delle cardiopatie ischemiche e dal 7 al 41% di certi tumori sono imputabili a obesità e sovrappeso.

Questo disturbo del comportamento alimentare implica tutta una serie di patologie strettamente interconnesse: l'aumento dell'insulino resistenza porta a un incremento del glucosio ematico e della pressione arteriosa, nonché a dislipidemie. Queste a loro volta implicano l'insorgenza di diabete di tipo due e di malattie cardiovascolari. Inoltre l'incidenza tumorale di soggetti obesi è sensibilmente più alta della media per quanto riguarda tumori al seno, all'esofago, al pancreas, al colon retto, al rene e all'endometrio. Ecco che l'olismo del corpo si riflette anche nelle nostre malattie.

Altri argomenti che esulano dalla salute potrebbero aiutare ad avvalorare la tesi a favore delle proteine vegetali. I fattori ambientali legati alla produzione di carne su scala industriale e intensiva non preoccupano solo uno sparuto manipolo di fricchettoni. L'impronta ecologica è proporzionale alla dieta malsana: più fai male alla terra più male ti fa. Molti dei problemi ambientali che affliggono il pianeta sono la conseguenza di un'azione quotidiana, compiuta da miliardi di bocche: mangiare. Deforestazione, riduzione della biodiversità, desertificazione, depauperazione del suolo e delle risorse idriche sono imputabili all'allevamento. Un quarto delle terre emerse, sono destinate a monocolture (spesso e volentieri OGM) usate per sfamare animali da carne. Queste alienate forme di animalità sono frutto dell'uomo: una mucca si trasforma in una macchina da carne idrovora ed energivora. Il consumo di risorse, di una persona che mangia carne è di 4 mila metri quadrati di terreno contro i mille sufficienti a un vegetariano. Non resta che scegliere.

Modelli di "Sana Povertà"

I fattori ambientali e sociali giocano un ruolo chiave nel determinare i disturbi del comportamento alimentare. La necessità di un'adeguata informazione da parte governativa e il diritto alla salute e al benessere incrementano consapevolezza e accrescimento culturale. Modelli alternativi di alimentazione non sono elucubrazioni di moderni luminari della dietetica, sono l'eredità culturale di ognuno di noi. In svariati angoli del pianeta possiamo rintracciare esempi di alimentazione virtuosa a base di prodotti locali, genuini e sani. In Italia la cucina regionale propone una vasta serie di piatti nutrizionalmente equilibrati. Per ogni legume si hanno almeno una decina di ricette, con le relative varianti; l'avvicendarsi delle stagioni è preso in considerazione e offre ricette a base di legumi secchi in inverno e freschi in primavera.

La Grecia dalla cultura plurisecolare vanta una gastronomia complessa, genitrice della cucina e della dieta mediterranea. Tecniche e abbinamenti sono il frutto di commistioni elleniche, bizantine e ottomane. La struttura del pasto si articola in più portate. Tra i mezédes (antipasti) possiamo trovare: dolmades, involtini di riso ricoperti di foglia di vite conditi con salsa di uova e limone; pitakia, sfogliatine di pasta fillo ripiene di verdure; spanakopita, sfornati a base di verdure; keftédes, polpettine fritte di legumi; companatici di accompagnamento alla pita, un pane non lievitato di frumento tenero. Essendo una nazione dedita alla pastorizia, non possiamo trascurare il ruolo centrale dei latticini. La produzione vanta svariati formaggi, solitamente di origine ovina: feta, kaséri, manouri, metsovone, giagurti (yogurt) con miele e noci, formaggi bianchi e gialli della Tessalia. Le buone condizioni climatiche permettono alla Grecia di avere una produzione di frutta e ortaggi di ottima qualità. La traduzione culinaria di questi doni è universalmente conosciuta: la koriatiki salata, un insalata a base di cetrioli, pomodori, cipolla rossa, peperoni, olive nere, feta, origano e olio d'oliva extravergine. Per quanto riguarda i dolci, l'influenza mediorientale è innegabile; le preparazioni sono tutte a base di frutta secca, frutta candita, miele e sesamo. Anche se non vi è una dieta esclusivamente a base vegetale vi sono periodi dell'anno, imposti dal calendario religioso, che escludono qualsiasi tipo di grasso e proteina proveniente dal regno animale.

Il Marocco affacciandosi sul Mediterraneo condivide l'impostazione alimentare delle due precedenti nazioni. Vi è una storia di contaminazioni culturali molto forte: influenze arabe, mediterranee e sefardite. I cereali principalmente consumati sono grano duro e orzo, accompagnati da verdure e legumi come ceci, fave e lenticchie. La frutta secca (mandorle, pinoli, noci, uvetta, prugne ed albicocche) arricchisce i piatti di consistenza e colore. I condimenti sono delegati a salse di ceci (hummus) e di sesamo (tahini). Tutti questi ingredienti vanno a comporre cous cous, zuppe e tajine.

In Sri Lanka la maggioranza della popolazione è buddhista, questa dottrina religiosa professa il rispetto di tutte le forme di vita orientando i fedeli verso una dieta vegetariana. L'abbondanza di frutti forniti dalla foresta equatoriale rende il consumo di carne assolutamente superfluo. Banane, mango, cetrioli, karavila e cocco sono presenti in diverse varietà. Di sole banane ne esistono sessanta tipi. Il cocco invece è utilizzato in base alla varietà per produrre i maggior condimenti dell'isola, olio e latte di cocco, con i quali si effettua la maggior parte delle preparazioni culinarie. Il riso a chicco lungo caratteristico del subcontinente indiano è meno apprezzato rispetto a varietà indigene a cariosside tonda come: samba, nadu e kekulu. La cottura di questi risi viene fatta al vapore o nel latte di cocco, per essere poi accompagnato con il mundal, una lenticchia locale di colore verde pallido. I semi di fiori di loto sono impiegati nella cucina cingalese per le loro proprietà nutritive e curative, oltre ad essere un'ottima fonte di vitamine, sono anche un regolatore intestinale, un antipiretico e un cardiotonico. Per quanto riguarda i derivati dal mondo animale vengono apprezzati latte e latticini di bufala, quali yogurt e chrda, un formaggio morbido.

Il Giappone condivide con lo Sri Lanka la fede buddhista, ma essendo una nazione che pratica il sincretismo non ha una dieta strettamente vegetariana. La fama mondiale dei giapponesi riguarda piuttosto il pesce, ma gli amanti del Sol Levante sanno che "non è un paese per gatti", mangiatori di solo sushi. La cucina giapponese è organizzata in più portate servite contemporaneamente. La salubrità e la longevità del popolo nipponico sono legate alla varietà della loro dieta che bilancia sapientemente prodotti del mare, cereali, verdure e legumi. Il riso non è l'unica fonte di zuccheri, i giapponesi infatti consumano molto frumento e grano saraceno sotto forma di "spaghetti" chiamati udon e soba. Soya e fagioli azuki vengono lavorati in molteplici modi per originare alimenti altamente proteici: tofu, natto e miso. La mancanza di calcio di origine animale, dovuta alla lattasi, deficienza che affligge la maggior parte degli asiatici, è compensata dall'uso di sesamo e alghe. Il consumo di carne è sempre stato basso, nonostante la forzata invasione di hamburger durante l'occupazione americana degli anni Cinquanta. Solo chi pratica la shoojin ryoori se ne astiene completamente. Shoojin significa allontanarsi dalle distrazioni e purificare il proprio corpo. La prassi per chi voglia migliorare la "Via del cuore". Questa cucina è lo specchio della dottrina buddhista zen, che ricerca rigore e semplicità. Seguire il precetto di non uccidere nessun animale e trattare con rispetto i vegetali ha portato all'elaborazione di una serie di piatti raffinati. Esaltazione di erbe, fiori, foglie, semi, germogli, piante selvatiche, radici e funghi. Armonia di sapori e colori per un pasto che porta il necessario conforto alla pratica della disciplina.

Bolivia. Il clima andino non perdona. Le velleità di spirito qui si trasformano in necessità. E di necessità virtù. L'altopiano ospita coltivazioni poco esigenti ma molto utili all'uomo. I primi della lista sono i tuberi, con il loro apporto calorico elevato contribuiscono a sfamare più bocche di quanto non farebbe un ranch. La biodiversità delle patate andine è straordinaria. Ma non potendo vivere di soli zuccheri si ricercano fonti proteiche in minuscoli semi dalle proprietà miracolose. Quinoa, amaranto e chia approdano ora nel mercato occidentale, ma sono conosciute da millenni in Sud America. Amminoacidi essenziali, potassio, magnesio, ferro, calcio e vitamina C sono i componenti di questi cibi in miniatura. Per non parlare delle varietà di legumi che si consumano da secoli insieme al mais, appositamente processato con la calce (nixtamalizzazione) per ovviare alle carenze di vitamina B3 ed eludere l'azione antinutrizionale dei fitati.

Se questa è povertà...