Con una certa tristezza, frequentando le biblioteche, mi accorgo che troppo spesso i personaggi non "in voga" vengano coperti da un impietoso velo di oblio; generalmente questo accade solo perché questi autori, soddisfatti e compresi nella loro missione, non hanno voluto inserirsi nel filone vincente, cosiddetto "impegnato", nonostante avessero speso la loro vita di studio al servizio della comunità: come se le opere dovessero ammantarsi di panni rosso scarlatto o nero piceo ovvero essere redatte da chi usi riposare le stanche membra sotto querce o ulivi per ottenere una patente di merito.

Il personaggio che amo portare all'attenzione, non certo per campanilismo, è Gaetano Drago, uno dei tanti studiosi, figli della Trinacria; per la lunga amicizia che ci ha legato credo gli debba una doverosa rispolverata, ad uso dei compilatori di quelle benemerite raccolte di "cittadini illustri" che quasi ogni decennio vedono la luce qua e là. Reputo di doverlo fare perché ancora non trovo una sola pubblicazione, fra le tante consultate, nella quale questo emerito studioso sia degnamente ricordato. Ma soprattutto perché in tempi ancora pionieristici diede alle stampe due libri rari, scritti a seguito del suo viaggio nella terra degli Eschimesi[1] : vengono narrati vita, arte e costumi di un popolo del quale erano nozioni per pochi amanti dell’avventura, ancora negli anni Sessanta del secolo XX.

Fu un sacerdote degli Oblati di Maria Immacolata: uno di quei personaggi che collocato in qualsiasi settore della società avrebbe lasciato un segno evidente del suo passaggio. Già da giovane, in tempi diversi, nel convento di Roviano [2] ne lasciò testimonianza con dipinti a tempera sullo stile delle catacombe cristiane o rappresentanti figure mitologiche e cristiane, simboli religiosi, elementi floreali e zoomorfi [3]. Notevole inoltre è il suo bagaglio monografico davvero non composto dai soliti stucchevoli testi agiografici. Alcuni di essi, dal titolo, sarebbero subito posti in tale categoria [4]; grosso errore: per riqualificarli sarebbe sufficiente … leggerli. In loco, di questo insigne studioso ne ho parlato [5]; ma ben flebili rimangono le voci di quanti – me compreso - non stampano per le grandi case editrici.

Questo tema mi si presenta idoneo, occasione oblata, per segnalare il vecchio problema della catalogazione dei libri editi in Italia. Fu un argomento del quale ebbi amichevole informazione da Federico Zeri, in occasione della “Mostra del libro” tenutasi a Genova nel mese di marzo del 1987 [6]. Mi disse che quel giorno vi era stata la seconda riunione dell’Associazione Casse di Risparmio d’Italia, mostra che mi definì “molto interessante”; che dei libri vi era un catalogo del quale ne aveva avuto una sola copia (“non lo danno a nessuno”); che per ciò vi erano “state vivacissime proteste, soprattutto da parte delle università e delle biblioteche”. Specificò: “Noi ne recensimmo, anzi la signora Nicoletti, per la quale io scrissi l’introduzione, ne recensì circa 1300; adesso siamo arrivati a 1500. […] In questa mostra ho visto dei libri che non avevo mai visti, dei libri importantissimi, dei facsimili preziosissimi. Mostra divisa per argomenti: sezione storico-artistica, sezione notarile, sezione architettonica, sezione sociale … ne è venuta fuori una cosa sorprendente” [7]. Ovviamente nelle mostre ‘interessanti’, libri come questi di Drago non hanno spazio: è il motivo per il quale con questo articolo intendo darne visibilità.

Gaetano Drago [8] nacque a Galati Mamertino ed ivi completò le scuole dell'obbligo; entrò poi nella Scuola Apostolica della Provincia italiana degli Oblati di Maria Immacolata istituito nel comune di Tortorici sulla catena dei Nebrodi [9]. Questa istituzione, voluta dal Capitolo per la nota inclinazione dei nativi verso la vita religiosa, tuttavia non riuscì a superare il quinto anno per motivi vari, non ultimo quello della difficoltà di collegamento viario con la rete nazionale, al tempo ancora particolarmente carente. La "regola" del fondatore, mons. Eugenio de Mazenod, aveva però affascinato numerosi giovani sicché alcuni decisero di attraversare lo Stretto pur di continuare il percorso intrapreso, e fra loro il nostro religioso. Gaetano Drago tornò a Galati per celebrare la "prima Messa" davanti ai genitori nel 1910, dopo un corso di studi condotto con estrema serietà sotto la guida di un grande educatore, figlio a sua volta degli aspri Nebrodi: padre Destro da Tortorici. Conseguito successivamente il dottorato in Filosofia e Teologia fu assegnato al Ginnasio di S. Maria a Vico ove per 20 anni insegnò materie classiche [10].

Nel 1931 fu chiamato a Roma con l'incarico dell'insegnamento e della predicazione; egli però seppe sfruttare l'opportunità della presenza delle tante biblioteche per approfondire le sue conoscenze. Rimase in tale sede sino al 1942, con una breve interruzione per recarsi in provincia di Avignone ove curò il restauro della cripta del secentesco Santuario di Notre Dame des Lumiéres [11]. Nel lungo periodo di frequentazione romana entrò in rapporto di missione sacerdotale con l'élite della capitale, essendo la sua Casa nel cuore di quella "Roma bene e salottiera" che ancora viveva l'ultimo momento magico antecedente lo sconvolgimento del secondo conflitto mondiale. Ancora le serate si usava spenderle, in quell'ambiente, nel bel conversare, ma specialmente nelle tornate letterarie, musicali, teatrali che arricchivano la mente e impreziosivano il costume. Egli certamente in quegl'incontri apportava la buona parola e in cambio ne riceveva un affinamento sociale che assimilò come abito di sartoria.

Negli anni, intrattenersi con padre Drago diventerà una gioia per lo spirito: si andava dall'aneddoto al carme, dall'episodio di vita vissuta alle impressioni di viaggio e solo al termine della conversazione ci si rendeva conto che era trascorsa una intera serata. Nel 1942 si trasferì a Firenze per fondare e dirigere la nuova casa a "Villa de Laugier", ove si fermò sino al 1947, anno in cui fu eletto dal Capitolo Generale all'alta carica di Assistente Generale, carica che mantenne per sei anni. In tale veste si recò in Canada per fare la Visita Canonica alle Case di Formazione e Missione di quella Nazione: fu un lavoro faticoso che gli occupò un intero anno e che lo portò nelle riserve dei Pellirossa dell'Ontario e sin nelle plaghe più sperdute, che chiamiamo la terra degli Eschimesi.

La missione degli Oblati in questa terra era iniziata nel 1912: nell’introduzione l’Autore ne riporta le vicissitudini dei primi missionari-esploratori che, tuttavia superate le mille difficoltà dell’incontro con primitivi dei quali non comprendevano lingua e usanze, riuscirono a impiantare una stabile presenza.

Le condizioni di vita – scrisse Drago [12] – erano insostenibili in quelle latitudini: bisognava accettare senza previo allenamento il modo di vivere degli Eschimesi, farsi a una temperatura che scendeva fino ai 50 ed ai 60 gradi sotto zero, affrontare la diabolica ostilità dei pochi Eschimesi incontrati dopo settimane e mesi di vagabondaggio nei deserti di neve, senza conoscere una sola parola della lingua di quella gente. Viene da meditare su cosa riesca a fare la fede! Leggere i due volumi citati nella «nota 1» fa comprendere cosa voglia dire la parola “credere”.

Alla ripresa dell'attività p. Drago tornò a dirigere in Roma la Chiesa di S. Nicola dei Prefetti, ove rimase sino al 1964. Questo periodo fu particolarmente fecondo. Rimise in ordine il frutto delle sue esperienze, specialmente canadesi, e diede alle stampe i due lavori sicuramente più interessanti dal punto di vista culturale per l'unicità dell'esperienza e per la vivacità narrativa: Il mio viaggio nell'Artide descrive le tappe di quella preziosa avventura, mentre fa conoscere il territorio e la vita degli Eschimesi; è il racconto originale e affascinante di quello che era allora un viaggio per pochi privilegiati, poiché a nessuno, tranne che ai missionari e a qualche scienziato, il Governo canadese permetteva di fare quel percorso sul suo rompighiaccio. L’incipit immerge subito il lettore nell’avventura:

A bordo del rompighiaccio
* – Il 26 giugno 1952 m’imbarcai sul “Mac Lean” a Québec per recarmi nelle missioni eschimesi dello Stretto di Hudson, Vicariato del Labrador. […] Fui accompagnato alla nave mezz’ora prima dell’orario di partenza, segnato per le quindici, rimasi colpito dall’aria di grande avvenimento che spirava tutt’intorno: affollatissima e rumorosa la banchina per quanto era lunga e larga, persone affacciate a tutte le finestre che davano sul porto, perfino il terrapieno e le terrazze dello storico”Chateau Frontenac” brulicavano di gente che si godeva lo spettacolo dall’alto; in mare gran numero di barche e canotti volteggiavano attorno al rompighiaccio che da quell’accostamento usciva ingigantito …*

ma informa soprattutto su cosa avevano apportato agli Eschimesi i 50 anni della presenza di quei religiosi nuovi arrivati:

Nel giugno del 1962 si celebrò con molta solennità a Chesterfield Inlet il Cinquantenario della prima Missione eschimese e dei primi battesimi di adulti. Cinquant’anni di esperienza e di vita con gli Eschimesi lasciano facilmente intendere quale documentazione abbiamo fornito a quegli uomini. […] I Missionari, fra l’altro, dopo avere imparato a perfezione la loro lingua, ne hanno composto grammatiche e dizionari e da trent’anni insegnano agli Eschimesi a leggere e scrivere la loro lingua… Queste Missioni ebbe mandato di visitare l’autore di queste pagine nell’estate del 1952. Vi si recò col Rompighiaccio del Governo canadese che ogni anno apre la navigazione nei mari semighiacciati del Nord alla fine di giugno e la chiude col viaggio di ritorno alla fine di ottobre.
Queste pagine sono il racconto semplice e schietto di quel viaggio, del mio viaggio.

Arte eschimese, all'epoca testo unico sull'argomento, fu molto gradito agli enti governativi canadesi, i quali fornirono parte della documentazione fotografica. Al libro fu assegnato il "premio per la cultura" della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo volume, soprattutto, fu accolto come novità assoluta poiché si occupava dei soli eschimesi genuini, di coloro cioè che, negli anni Cinquanta del XX secolo, vivevano ancora in piena libertà la vita eschimese dell'Artide canadese. Non si potevano infatti più considerare "liberi" gli eschimesi dell'Alaska statunitense né quelli della Groenlandia, già da oltre un secolo inseriti nella vita civile dei rispettivi paesi (U.S.A. e Danimarca). Già dalle prime pagine l'Autore ‘prende’ il lettore con la descrizione de L'inferno bianco:

Per dieci mesi dell'anno l'inferno bianco è una pesante coltre di ghiaccio e di neve che cancella la carta geografica del medio Canadà fino al Polo Nord, con una temperatura tra i 50 e i 60 gradi sotto lo zero, con una popolazione quasi inesistente se si pensa che in un territorio di oltre 5 milioni di kmq. si muovono circa novemila abitanti.

Padre Drago incontrò questi pochi esseri viventi, ne studiò dialetto, costumi e arte insieme con la vita, le passioni, le sofferenze e gli immancabili momenti di gioia e ce li trasmise in cento sessanta pagine vivide e ricche di illustrazioni assolutamente inedite. Fu in questo periodo che ebbi la fortuna di conoscere e frequentare molto da vicino padre Drago: lo ebbi spesso ospite nella mia nuova casa di Tor Lupara (oggi di Fonte Nuova) e ogni incontro era una scoperta, era un orizzonte che si espandeva sempre più; non si è fatto sfuggire mai occasioni di indagare in tutto il percorso della sua attività; pure da questo viaggio ha voluto dare un segno importante, studiando e tramandando l’Arte Eschimese nelle sue varie forme: architettura, pittura, scultura, manufatti, poesia. La lettura di questo libro, nato dall’esperienza della visita in Artico, apre un mondo forse intuibile ma mai prima documentato con tanta ricchezza di particolari. Scrisse infatti:

La prima idea di questa pubblicazione è venuta in mente all’autore mentre si trovava sulla costa Nord della penisola del Labrador, in visita alle Missioni eschimesi allineate su quella costa. Nel luglio del 1952, visitando la Missione di Suglùk, vide un buon numero di oggetti di vario artigianato e qualche statuina di legno e di avorio di tricheco eseguite con minuziosa accuratezza. In quella e nelle altre Missioni visitate chiese informazioni in proposito e gli fu detto che tutti gli Eschimesi, ottimi artigiani per quello che riguarda le necessità della vita, a tempo avanzato scolpiscono con la locale saponite, una pietra grigia molto simile al nostro bardiglio [13], o con l’avorio di tricheco, statuine raffiguranti animali, cacciatori, scenette familiari. Se tutti sono dilettanti, non tutti, naturalmente, sono artisti. […] Agenti della Compagnia per l’incetta delle pellicce e Missionari si incaricano di far giungere nella Civiltà i pezzi più interessanti …

Nel 1964 gli si manifestarono i primi sintomi del male con il quale dovette convivere sino alla fine; non si fece prendere dal panico e continuò a lavorare anche se spesso doveva ricoverarsi per le opportune cure in ospedale. Intanto pubblicò Un eroe del Laos, nel quale presentò un buon numero di lettere dell'oblato p. Borzaga scritte dall'epoca del Noviziato sino al momento della sua tragica scomparsa nella missione del Laos; l'opera era finalizzata a far conoscere al mondo occidentale le difficili condizioni di vita di quelle missioni sorte su un "terreno scottante di calore tropicale e di guerriglia comunista". Il progredire del male in verità lo crucciava soprattutto perché veniva minato il vagheggiato programma di redigere il disegno storico della Provincia italiana degli O.M.I. [14]. Poiché nel 1966 la fine veniva data per imminente egli non esitò a fare stampare Missionari O.M.I. in Italia e nel Mondo (1° ed. Roma 1967). Nell'anno successivo però la sua fibra ebbe un temporaneo sopravvento sulla virulenza del male. Padre Drago ebbe sempre una forte volontà e una non comune gioia di vivere. Captata la schiarita, pose mano ancora una volta al testo al fine di dargli la veste voluta in origine. Nel leggere specialmente la seconda edizione dei Missionari O.M.I., ciascuno si rende conto del patrimonio lasciato da questo ‘moderno’ prete che così volle introdurre la riedizione del volume:

Non è, questa, una seconda edizione vera e propria ma l’edizione completa quale l’aveva prevista e non poté realizzare lo scrivente per motivi … escatologici personali: una scadenza che si annunziava prossima e improrogabile. La scadenza è scattata puntualmente, nel tempo previsto, ma lo scrivente ha perso il treno. Volle il Signore che l’arte medica lo rimettesse in piedi per un supplemento di vita.

Per la delizia dei lettori penso sia utile, da quest’opera, trarre due semplici e brevi brani che tuttavia lumeggiano lo stile e la grazia con cui porgeva i suoi argomenti [15]:

E la Tetrazzini?...
Cose dell’altro mondo! Dopo una Stagione lirica trionfale al “Metropolitan” di New York, nel 1915 (l’America non era ancora entrata in guerra) il presidente Wilson, nel banchetto di addio che seguì, cedette per quindici minuti i poteri presidenziali alla cantante con atto legale scritto, firmato e controfirmato. Invitata a fare una legge per lasciar traccia del suo Governo, la Presidentessa concesse alla Federazione americana una giornata di “Regime umido”. Tutti sanno che sino a trent’anni fa (corrisponde al 1940, n.d.A.) era severamente vietato per legge a tutti gli americani l’uso del vino, dei liquori e delle bevande alcoliche: era il “Regime secco”. Si beveva ugualmente, ma in gran segreto per la vigilanza della Polizia e per le gravi sanzioni in cui incorrevano i trasgressori. Graditissima perciò la leggina che permetteva a tutti gli americani di bere per 24 ore quanto volevano, liberamente e alla luce del sole, per merito della “President Louise”. La quale morì in Italia nel 1940, ma la gratitudine delle due Americhe le eresse un grandioso monumento a Rosario di Santa Fe (Argentina) dove un tempo si recavano molti americani in devoto pellegrinaggio...

Tramonto d’una civiltà

– Erano anche i tempi in cui si assisteva, senza saperlo, all’ultima stagione del nobile animale che per millenni è stato il compagno dell’uomo sul campo del lavoro e sul campo della gloria. Il cavallo dominava le vie e le piazze delle città e le grandi strade di comunicazione per i trasporti. […] Quanto mai pittoreschi i carri che portavano a Roma il vino dei Castelli; […] spettacolare nei pomeriggi la sfilata delle carrozze nobiliari, tirate da splendide pariglie per il Corso verso Piazza Venezia col cocchiere in livrea e tanto di cilindro in testa; si veniva dai quartieri lontani per assistere all’aristocratica sfilata. Non di rado s’incontrava per via una berlina di Casa Reale, tirata da due o quattro bei cavalli portati in giro perché non ingrassassero troppo nelle scuderie del Quirinale. Altro spettacolo era quello dei giganteschi cavalli normanni della Casa di Traslochi dei fratelli Gondrand, capaci in due di trasportare una casa: le enormi zampe ferrate facevano sprizzare scintille dal selciato. E le belle sfilate della Cavalleria pesante coi magnifici dragoni eretti sulle tipiche selle, elmo in testa e lancia nella destra, o dei Cavalleggeri in colbacco, o dell’Artiglieria a cavallo, quando si recavano dalle loro caserme ai campi di esercitazione o ne tornavano a suon di musica. Il cavallo era parte essenziale e pittoresca del paesaggio di allora...

Ho voluto dare due saggi, dei cento che se ne possano ricavare nei quarantaquattro capitoli che ne costituiscono il volume che, solo dalla copertina, si giudicherebbe ‘agiografico’. Tutte le sue opere hanno invece questa curiosità indagatrice, sempre protesa a immergere il lettore nel contesto umano nel quale le narrazioni si svolgono. La seconda edizione dei Missionari... quindi è davvero eufemistico chiamarla agiografica; in essa infatti l'Autore riversò la sua sapiente e attenta meditazione critica sugli avvenimenti vissuti e sofferti anno dopo anno in un excursus temporale caratterizzato da sconvolgimenti epocali. E' appena il caso di ricordare che egli visse la trasformazione della società da quella prettamente agricola dell'anteguerra 1915-18 a quella industriale fra le due guerre; ai travagli politici che condussero all'instaurazione del regime fascista; al nuovo sconvolgente conflitto e al tramonto della società fondata sulla famiglia patriarcale. Ebbe tuttavia la fortuna di non dover vedere la frantumazione e lo stravolgimento del concetto di fedeltà coniugale, di amore per il nucleo familiare e di sacrificio per quei figli che, nati per libera volontà dei genitori e senza loro richiesta, sempre più spesso si troveranno affidati a uno solo dei genitori o, peggio, sballottati dall'uno all'altro, quasi merce di scambio fra due irrazionali egoismi.

Quest'ultima tematica quindi non dové trattare, mentre si poté soffermare a rimeditare, nei singoli capitoli, su La belle époque, su Le vie del progresso, su Lettere, Arti, Spettacolo, su Leopoldo Fregoli e il Trasformismo, su Francesca Bertini e il "divismo", su Cavalli, Cavalieri e gonne lunghe, su Il Modernismo, sul Patrimonio artistico della Provincia[16], sulle Attività culturali della Provincia... . Un volume insomma che non dovrebbe mancare nelle biblioteche non solo degli Istituti religiosi ma almeno nelle biblioteche della terra di Sicilia. Ogni argomento infatti era per lui motivo di indagine e di raffronti in ogni campo, sì che ogni trattazione conduceva il discorso sull'arte o sulla letteratura, sulla poesia o sulla pittura, sulla mitologia o sulla vita dei nostri giorni. Parlando della fondazione della Casa di Patti, divaga su la Magnanima città di Patti, su Vescovi e Viceré.... Per non tradire il suo modo di confrontarsi con la morte, sul risvolto di copertina di quest’ultimo suo volume aveva addirittura celiato pubblicando una sua immagine con una mano poggiata su un cippo funerario romano e la didascalia All'ombra dei cipressi o ... giù di lì. Dalla data di pubblicazione di quest'ultima opera trascorsero solo pochi e duri anni: la sua penna si arrestò definitivamente la notte tra il 27 e il 28 aprile del 1973.

Note:
[1] Gaetano Drago, Arte Eschimese, Roma 1964; Idem, Il mio viaggio nell’Artide, Roma 1965. [2] L’ex convento O.M.I. di Roviano, comune laziale, si trova su un colle a circa 2 km ad est dell’abitato e venne edificato nel 1899, dopo il passaggio della ferrovia Roma-Sulmona. Dai suoi 550 metri domina con una veduta suggestiva tutta la media valle dell’Aniene. Gli studenti, aspiranti Oblati che venivano da tutto il mondo, avevano a disposizione ogni comodità: silenzio, frescura, bellezza naturale, pineta e una vasta proprietà che saliva boscosa sino alla montagna. All’inizio della seconda guerra mondiale la casa O.M.I. venne utilizzata come deposito d’equipaggiamento della Finanza italiana e alla caduta del fascismo i tedeschi la occuparono trasformandola in “Lazaret”, un ospedale per la cura dei feriti che provenivano dal fronte di Cassino (ancora oggi sono visibili le grandi croci rosse dipinte sulla facciata a Sud). Finita la guerra, la casa venne riabilitata e soprelevata; furono costruiti una piscina, un piccolo campo sportivo, sale giochi e teatrali. Riprese così a svolgere sino al 1970 una funzione tutto sommato positiva anche per i giovani rovianesi, i quali vennero iniziati a sport allora “sconosciuti” e immersi in un mondo immaginato solo sui libri di scuola, fatto di lingue e tradizioni diverse. D’estate i ragazzi venivano “presi” dagli studenti e, oltre che catechizzarli, venivano invogliati a partecipare a rappresentazioni teatrali, gite ed escursioni in montagna e lungo il fiume Aniene. Ancora vivi sono i ricordi delle facce stralunate dei ragazzi rovianesi mentre scoprivano i pop-corn scoppiettare e formarsi nelle grandi padelle fra le quali armeggiavano gli studenti americani! [3] Salvatore G. Vicario, Da Chala’ad a Galati Mamertino, contributi alla storia di Sicilia, Patti 2012, pp. 123-132; Artemio Tacchia, Intrecci di storie durante la costruzione del Convento O.M.I. a Roviano, “Aequa”, n. 5, giugno 2011, pp. 74-76.
[4] Drago, Dalla pagoda alla croce, Milano 1963; Gingindlovu lo stregone, racconto sudafricano, Milano 1934; L’Apostolo della Corsica (prefazione di Piero Bargellini), Roma 1942; Galati Mamertino e la Calacte di Ducezio, Roma 1959; S. Nicola dei Prefetti, coll. “Le Chiese di Roma illustrate”, Roma 1960; Santa Maria di Vallaspra all’Atessa, Roma 1961; La Provincia d’Italia dei Missionari O.M.I., 1a ed., Roma 1967, 2a ed. 1970.
[5] Salvatore Vicario, Gaetano p. Drago, "Un paese in montagna", Zuccarello ed., Sant’Agata Militello 2002, pp. 109-113; Idem, P. Gaetano Drago a Roviano, "Da Chala’ad… ", cit.
[6] Il mio archivio conserva una vasta documentazione in CD, nei quali ho riversato le conversazioni che negli anni ebbi con il Professore. Cfr. Franco Fanelli, Il dottore del Professore, Il Giornale dell’arte, n. 291, ottobre 2009, p. 24, I col.
[7] Per chi possa essere interessato all’argomento inserisco il seguito della conversazione: “Ieri mattina c’è stato il convegno, l’introduzione, c’era un sacco di gente. Dopo pranzo, prima ho aperto io, ho parlato della parte storico-artistica, un altro ha parlato della possibilità di fare i libri sulla geografia e sulla regionalità … Non credo che la stampa darà molto spazio. La cosa sorprendente è la quantità di libri. Io mi do da fare però ne ho meno del 10%, sono centinaia, ma poi quale libri… E ieri è quello che ho detto .. è inutile fare dei libri importantissimi, preziosissimi quando poi io stesso che mi occupo di questa cosa, certi libri li cerco da dieci anni, me li vengono a offrire a lire 1.800.000 a volume. Allora si è detto che si dovrebbe seguire la prassi di stamparli prima per la banca e poi di metterli in circolazione sul commercio, come fa già Pizzi di Cinisello Balsamo. Ieri ho dato delle indicazioni su eventuali collane da aprire e soprattutto io vorrei una collaborazione con l’estero. Infatti la Francia sta incominciando ... all’estero non c’è questo ... in Francia hanno fatto un volume, ne ho trovati due svizzeri, ne ho trovato uno spagnolo... è introvabile quello spagnolo ... mi scrisse la banca che non lo avevano più ... ma è incredibile che non si sappia nemmeno quali siano ... Il presidente della Cassa di Risparmio di Genova mi ha detto: Ma come, non ha i miei libri... Telefonata ... è arrivato un camioncino con tutti i libri, di tutti ne avevo solo uno ... a Palermo hanno stampato la villa di Bagheria … La pesca del tonno in Sicilia ce l’ho ...”. Questo era il modo di conversare con me del Professore; riuscivo a seguirlo perché conoscevo gli argomenti ai quali si riferiva. [8] Galati Mamertino, 28 marzo 1887 – Roma, 28 aprile 1973. [9] Credo sia opportuno testimoniare le difficoltà che si presentavano ai giovani di quel comune, arroccato sui monti Nebrodi, con la viabilità ancora allo stato di ‘trazzera’, adatta solo ai quadrupedi, qualora si fossero voluti avventurare nella cultura superiore alle elementari. Per questi arditi, ancora sino agli anni Quaranta del secolo XX, vi erano solo due strade, o offrirsi alla Santa Madre Chiesa come aspiranti sacerdoti, o arruolarsi nelle Forze Armate.
[10] In quel collegio era costume, anche per distrarre e impegnare i giovani, organizzare lavori filodrammatici; spesso però i testi non entusiasmavano gli attori in erba che però ebbero la fortuna di incontrare in Gaetano Drago un buon autore teatrale. Fu così che negli anni scrisse per l'occasione una serie di opere teatrali sfortunatamente inedite e probabilmente alcune perdute: L'ora dei forti, dramma di contenuto storico ambientato in epoca romana, nel quale si svolgeva il tema della vittoria dei martiri sul paganesimo; Nostra Donna della Mercede, ambientata in epoca medievale, nella quale si trattava il tema del ritorno di una Padre Mercedario dalla volontaria cattività; Il pugnale gemmato, ambientata a Venezia ove veniva attualizzato un episodio della serrata del Gran Consiglio di Venezia; Geta e Caracalla, una farsa redatta nel clima dell'episodio dello "smemorato di Collegno". Gaetano Drago fu sacerdote rigoroso e maestro per una vita. In questo articolo mi riprometto di ricordare soprattutto il “maestro”.
[11] Prima di lasciare Roma diede alle stampe L'apostolo della Corsica, con prefazione di Piero Bargellini (Istituto Grafico Tiberino, Roma 1942) nel quale parlava di p. Carlo Domenico Albini: "è la sola biografia completa del p. Albini in tutta la Congregazione, accettata dalla S. Congregazione dei Riti nella nuova documentazione del Processo di Beatificazione" (G. Drago, Missionari O.M.I. in Italia e nel Mondo, O.M.I. ed., Roma 1970, p. 398). [12] Drago, Il mio viaggio, cit., p. 12.
[13] Il bardiglio, nelle sue varietà di colore, appartiene alla famiglia dei marmi di cui fanno anche parte i marmi bianchi, i cipollini, le brecce ed altri ancora. Sono materiali di media durezza e facile lavorabilità. [14] O.M.I. = Oblati di Maria Immacolata [15] Drago, Missionari O.M.I... , 2a ed., 1970, pp. 26-28.